Il paradosso dell’articolo 32: tra identità smarrite e la necessità di un nuovo diritto alla salute

Il paradosso dell’articolo 32: tra identità smarrite e la necessità di un nuovo diritto alla salute

Il paradosso dell’articolo 32: tra identità smarrite e la necessità di un nuovo diritto alla salute
Io vengo da questa scuola, da quella di un sindacato che sa bene che cosa sono le contraddizioni e che sa bene che esse, una volta rimosse, alla fine cambiano la società. Ma sa altrettanto bene che esse, se non sono rimosse, rischiano di portarci indietro, di farci regredire e, alla fine, di farci fare una brutta fine. Senza diritti, la Cgil non è la Cgil, o meglio non è il sindacato che ho conosciuto io

La scorsa settimana, presso la Camera del Lavoro di Milano, Adriano Sgro, il coordinatore delle “Radici del Sindacato”, un’area programmatica della Cgil, ha organizzato la presentazione del mio ultimo libro “Art. 32. Un diritto dimezzato”. Non sono mancate le solite apologie dell’art. 32 (Agnoletto), ma sono anche venute fuori interessanti aperture sulla necessità di superare le sue clamorose contraddizioni politiche (Stanzione, Greco, Agnoletto).

L’ircocervo
È del tutto casuale che la presentazione sia avvenuta dopo due flop politici importanti:
– la sconfitta referendaria
– l’aborto della “via maestra”
Due importanti fatti politici che, per me, sono due prove significative, direi “patognomoniche”, della difficoltà profonda in cui oggi versa la Cgil, della sua difficoltà a elaborare una strategia adeguata alle complessità del tempo (e che complessità!), della presenza di forti contraddizioni strategiche che rischiano addirittura di compromettere la sua identità politica, quella per intenderci descritta sia nel suo “Statuto” che nel suo “Codice Etico”.

Oggi, la Cgil, rispetto alle cose affrontate nel mio libro, mi appare come il famoso “ircocervo” citato da Aristotele: per metà progressista e per metà neoliberista, quindi come una vera antinomia politica, concetto che in logica significa qualcosa che, se affermato o negato, comporta necessariamente sempre un risultato contraddittorio. La sconfitta referendaria e l’inconcludenza della terza via per me sono un risultato contraddittorio. Oggi la “mia” Cgil è come se fosse imbrigliata o impaniata in scelte dalle quali non riesce a districarsi, passando suo malgrado da una contraddizione all’altra.

Il rischio della subalternità
Non molto tempo fa, e in tempi del tutto non sospetti, rivolgendomi lealmente alla “mia” Cgil, ho lanciato proprio su questo giornale un allarme preoccupato (QS, 1 febbraio 2022), che oggi, dopo la sconfitta referendaria e la prova inconcludente della via maestra, ribadisco più preoccupato di prima. Il rischio che corre la Cgil, sulle questioni affrontate dal mio libro, è semplicemente quello della sua subalternità al pensiero neoliberista.
Una regressione senza dubbio, ma anche un grande tradimento delle proprie regole e dei propri valori, e quindi – direbbe Adriano Sgro – delle proprie “radici”.

Prigioniera di scelte sbagliate
Per capire le ragioni delle difficoltà in cui oggi si trova la Cgil, è necessario risalire a scelte politiche secondo me incaute e poco meditate fatte in passato e rispetto alle quali essa risulta paradossalmente quasi costretta ad essere coerente con le proprie contraddizioni. Quando, al contrario, le contraddizioni, dovrebbe rimuoverle.

Sono queste scelte sbagliate del passato che spiegano l’assurdità non solo di fare referendum improbabili e senza speranza, ma anche di delegare l’elaborazione della via maestra proprio ai principali responsabili delle svolte neoliberiste avvenute negli anni ’90. Svolta dalla quale, ricordo, sono nate le più pesanti e le più distruttive controriforme della sanità: quelle, per intenderci, che hanno ridotto il diritto fondamentale alla salute a un diritto potestativo, quindi negoziabile e subordinabile al mercato.

Sono probabilmente queste scelte sbagliate che oggi spiegano la ragione vera per la quale la Cgil ha deciso di mettere a guardia del proprio orto – quindi alla faccia del proprio Statuto e del proprio Codice Deontologico – le principali capre del neoliberismo sanitario in Italia. Mi riferisco, tanto per essere chiaro, alla Bindi quanto alla Dirindin.

Il bleffeur
In un mio libro recente (“La sinistra e la sanità”, Castelvecchi 2021), ho definito la Bindi un bleffeur, cioè un personaggio abile, ambiguo e spregiudicato, ma soprattutto la rappresentante più autorevole del pensiero neoliberista in sanità. La linea politica della Bindi, alla quale la Cgil sembra essersi accodata, oggi è quella di chiedere più soldi per la sanità, ma a controriforme invarianti. Una linea, vorrei far notare, che può essere vera e falsa, dal momento che essa dipende effettivamente dalle condizioni sulla base delle quali la sanità è finanziata.

Un conto è finanziare una sanità pubblica, un conto è finanziare una sanità ibrida, mezza pubblica e mezza privata. Se il finanziamento avviene a deriva neoliberista invariante, cioè seguendo le controriforme della Bindi, la sanità pubblica è perduta. Apparentemente, quindi, quella del rifinanziamento della sanità sembra una linea molto avanzata, ma in realtà è la più regressiva e la più subdola, perché essa non muta mai la propria strategia neoliberista di fondo. Con il neoliberismo, per il diritto alla salute non può esserci futuro.

Ragioni e contraddizioni
Che la Cgil abbia deciso di incollarsi un mucchio di contraddizioni per andare dietro al neoliberismo della Bindi lo si capisce da tante cose.
Io ne cito solo due:
– aver promosso un referendum contro il Jobs Act senza dire una parola contro il welfare aziendale, cioè mantenendo l’art. 9 sui fondi integrativi della controriforma della Bindi del ’99
– allargare giustamente la responsabilità sugli infortuni sul lavoro agli appaltatori, quando il problema vero in realtà, appalti a parte, è non avere più infortuni sul lavoro. Infortuni che però, se faccio saltare il diritto alla salute, non possono che aumentare.

Il welfare aziendale non è il meglio per un lavoratore
Ma le contraddizioni della Cgil sono anche altre:
– non potremo mai finanziare la sanità come propone tutta l’opposizione, fino a quando abbiamo una sanità privata sostitutiva favorita fiscalmente dal fisco. Oggi la spesa per incentivare il privato toglie risorse al servizio pubblico
– non potremo mai avere la tutela dei diritti di cui parla la Cgil se i diritti saranno messi a mercato con i fondi integrativi non potremo mai avere dal privato le garanzie di cura che solo il servizio pubblico può garantire.

La Cgil è convinta che con il welfare aziendale di aver fatto ai lavoratori un grande regalo. Ma i dati, anche internazionali, mostrano che non è così. Più si privatizza e più cala quella che in epidemiologia si chiama la “sopravvivenza in salute”, soprattutto quando la salute è messa a mercato. Nel mercato si sopravvive mediamente di meno, mentre con i diritti si sopravvive mediamente di più. Oggi nel nostro Paese l’aspettativa di vita è in aumento, ma la “sopravvivenza in salute” è in calo, soprattutto per le donne, per le generazioni più giovani e per i soggetti socialmente più deboli e svantaggiati.
Il welfare aziendale riduce la sopravvivenza in salute. La Cgil non può pensare di avere la botte piena e la moglie ubriaca, cioè mettere insieme il neoliberismo della Bindi e difendere i diritti fondamentali della Costituzione. Interessi e diritti, come dice anche lo Statuto della Cgil, non sono facilmente compatibili.

Una exit strategy per uscire dall’empasse
Come ho spiegato alla Camera del Lavoro di Milano, serve come il pane la definizione di una exit strategy per uscire dall’empasse nel quale oggi si trova la Cgil.
Non è pensabile che la Cgil sia strumentalmente messa a guardia del bidone del pensiero neoliberista. La mia proposta è di ripartire proprio dall’art. 32, ma per andare oltre e più avanti. Non è vero, come ha detto Agnoletto nella presentazione a Milano, che esso è un diritto che non è stato applicato. In realtà esso è stato:
– applicato, ma in un modo inevitabilmente sbagliato, seguendo la teoria della patogenesi, quindi vittima delle sue tante aporie, delle sue tante semplificazioni e delle sue compatibilità
– controriformato (concetto diverso da quello della disapplicazione), per mezzo di politiche controriformatrici di marca neoliberista, fatte dalla sinistra e sottoscritte dalla Cgil.

Art. 32: significato e senso

Il pensiero moderno (soprattutto Frege e Wittgenstein), dice che il “significato” dell’art. 32 dipende dal senso contestuale, quindi dal contesto sociale e politico. Se questo contesto è controriformato in senso neoliberista, anche il significato dell’art. 32 risulta a sua volta inevitabilmente controriformato.
In un contesto neoliberista si compromette sia il significato che il senso dell’art. 32.

Esso non è più uguale a quello che aveva in un contesto welfarista. Per me oggi l’art. 32 è ormai “out of play” e, con le contraddizioni che ha accumulato, limitarsi a farne l’apologia è un errore. È difficile, dopo le controriforme che esso ha subito, rimettere il dentifricio dentro il tubetto.
Ma se esso è ormai irrimediabilmente compromesso, a questo punto non ci resta che cambiare gioco e alzare il livello della proposta.
La buona notizia è che questo è possibile, usando la Costituzione che abbiamo, cioè gli art. 9 e 41, e definendo per legge un modo nuovo di concepire e organizzare la salute.

Il metadiritto
I nuovi articoli della Costituzione, approvati solo un paio di anni fa, dichiarano chiaramente una cosa che è del tutto assente dal vecchio art. 32, una ragione in più per non farne l’apologia: essi impongono all’economia un limite preciso.

In Costituzione si ribadisce il principio della libertà di iniziativa economica privata, ma nello stesso tempo all’economia si impongono dei freni. La Costituzione oggi chiarisce senza ambiguità che “l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, né in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e all’ambiente”. La mia proposta di “metadiritto” ha lo scopo di consentire l’applicazione effettiva dell’art. 41. Oggi per legge non è più consentito né danneggiare gli equilibri ecologici, quindi l’ambiente, né danneggiare la salute delle persone e delle collettività.

Oggi, grazie a questi articoli, siamo ben oltre la logica della compatibilità e della tolleranza tipica dell’art. 32 e entriamo nel campo di una logica nuova (tutta da costruire) e che nel mio libro ho definito “compossibilità”, cioè una metodologia in grado di rimuovere tutte le contraddizioni che esistono tra economia, ambiente, salute e società, che oggi, con le nuove possibilità offerte dalla tecnologia informatica, è del tutto alla portata di mano.

Si ritorni alle radici
Se il metadiritto ci dà la possibilità di superare le contraddizioni dell’art. 32 e di andare oltre la sua semplice, ma anche inutile, apologia, in Cgil resta da risolvere il problema del welfare aziendale. Ricordo, ormai tanti anni fa, che la Cgil fu costretta, all’indomani della riforma sanitaria del ’78, a fare le assemblee nelle fabbriche per convincere i lavoratori a lasciare le mutue, ma offrendo loro in cambio l’art. 32 e una sanità universale, solidale, equa e gratuita. Oggi dobbiamo fare più o meno la stessa cosa, ma questa volta per convincere i lavoratori a lasciare il welfare aziendale, offrendo loro quello che non hanno più, cioè dei servizi pubblici veri, quindi delle valide alternative ai fondi e dei diritti veri.

E quindi offrire loro quella che nel mio libro ho chiamato il diritto alla durata, cioè un vero diritto alla vita, al benessere e alla salute. Cioè alzare “a gratis” il grado di “sopravvivenza in salute” dei nostri cittadini e dei nostri lavoratori. La prima cosa da fare è creare le condizioni giuste perché i cittadini, per curarsi, non siano costretti a ricorrere al privato. Al problema delle liste di attesa dobbiamo rispondere aumentando il grado di accessibilità di tutti ai servizi pubblici.

Le precondizioni
Le possibilità che abbiamo, ma che non enumero, sono tante e diverse, ma esse si basano semplicemente su tre condizioni preliminari di fondo:
– mettere mano a una “quarta riforma” per aggiustare gli errori fatti in passato, ma anche per spingere in avanti un processo riformatore che, a causa delle controriforme, si è interrotto finendo con l’abortire
– offrire più sanità pubblica e meno sanità privata, quindi superare la folle idea di ammettere la sanità sostitutiva
– riconvertire la spesa enorme a carico del bilancio pubblico, impiegata per incentivare il privato e de-finanziare il pubblico
Ma soprattutto, insisto ancora: si tratta di offrire a tutti, lavoratori e cittadini, qualcosa di meglio dell’art. 32, cioè offrire un metadiritto che metta insieme il diritto alla vita, al benessere e alla salute.

Conclusione
Sono convinto che questa exit strategy sia perfettamente coerente sia con lo Statuto della Cgil, sia con il suo Codice Etico, e soprattutto con le sue radici storiche e i suoi ideali politici. Io vengo da questa scuola, da quella di un sindacato che sa bene che cosa sono le contraddizioni e che sa bene che esse, una volta rimosse, alla fine cambiano la società. Ma sa altrettanto bene che esse, se non sono rimosse, rischiano di portarci indietro, di farci regredire e, alla fine, di farci fare una brutta fine. Senza diritti, la Cgil non è la Cgil, o meglio non è il sindacato che ho conosciuto io. Alla Cgil, per il bene del Paese, auguro che esca presto dalle sue incertezze, dalle sue aporie e dalle sue contraddizioni.

Ivan Cavicchi

Ivan Cavicchi

27 Giugno 2025

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