Attività sanitaria tra Università e Ssn. Arriva la proposta del Mur

Attività sanitaria tra Università e Ssn. Arriva la proposta del Mur

Attività sanitaria tra Università e Ssn. Arriva la proposta del Mur
Lo schema, dopo 15 anni di inerzia assoluta di ben otto Governi, tenta di adempiere alle prescrizioni recate, per l’appunto, dal comma 13 dell’art. 6 della legge 240/2010, dal titolo “Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo”.

Il MUR ha elaborato l’allegato “Schema tipo per il Protocollo di Intesa tra Regione e Università per regolare i rapporti in materia di attività sanitaria tra Università e SSN- Articolo 6, comma 13, legge n. 240 del 30 dicembre 2010” e sottoposto all’attenta lettura della CRUI.

Per intanto occorre comprendere cosa si rileva dalla fonte legislativa alla quale l’iniziativa si ispira, più precisamente alla Legge cosiddetta “Gelmini”, funzionale a riformare l’organizzazione universitaria e ad implementarne gli obiettivi formativi relativi. Più esattamente, l’anzidetto schema, dopo 15 anni di inerzia assoluta di ben otto Governi, tenta di adempiere alle prescrizioni recate, per l’appunto, dal comma 13 dell’art. 6 della legge 240/2010, dal titolo “Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo”. In buona sostanza, il MUR di oggi tenta di fare quanto previsto entro i primi di maggio del 2011, con un grave vulnus di ritardo quindicennale per il sistema sanitario di godere delle prestazioni assistenziali di quello universitario. Prestazioni, queste ultime, regolate per la loro erogazione da un importante atto avente valore di legge: del decreto delegato 21 dicembre 1999 n. 517, attuativo della legge delega (art. 6) n. 419 del 30 novembre 1998.

Preliminarmente, occorre sottolineare che la ratio del suddetto art. 6 della legge “Gelmini” teneva, nell’ottica dello spirito della riforma che recava, a dare specificatamente consistenza “alle strutture cliniche e di ricerca traslazionale necessarie per la formazione nei corsi di laurea di area sanitaria di cui alla direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005” e non già ad influenzare l’organizzazione del Servizio sanitario nazionale, come invece sembra di leggere nella bozza licenziata dal MUR (regolamentativa più che regolativa per come si evince dall’originario testo di legge “Gelmini” «delle convenzioni al quale devono attenersi le università e le regioni per regolare i rapporti in materia di attività sanitarie svolte per conto del Servizio sanitario nazionale».

Di conseguenza, il manufatto giuridico del Mur posto all’attenzione della Conferenza dei Rettori sembra fuori contesto. Lo stesso tenta infatti di assumere le vesti di un regolamento che, come tale, non può assolutamente derogare alle leggi ordinarie e né tampoco (ri)disciplinare materie coperte da riserva di legge.

L’ordinamento posto a tutela del diritto alla salute individua tre fonti erogative di assistenza pubblica, oltre agli IRCCS che sono tutt’altro: le aziende sanitarie territoriali, le aziende ospedaliere e le aziende ospedaliere universitarie. Queste ultime le uniche e sole a garantire il perfezionamento esclusivo dei rapporti tra il Ssn e le università. Ciò trascorsi i quattro anni di transitorietà previsti dall’art. 2 del d.lgs. 517/99 che consentivano l’esistenza – da dovere poi sanare definitivamente sotto il profilo giuridico con il rilascio di apposito Dpcm costitutivo di AOU, ai sensi del successivo art. 8 del decreto legislativo medesimo, di due policlinici (oramai soppressi): uno a gestione diretta delle università e un altro cosiddetto misto che prevedeva l’individuazione temporanea delle cosiddette “aziende di riferimento” ove concretizzare per la durata massima del quadriennio una conduzione commista.

Meraviglia, e non poco, come lo schema elaborato dal MUR faccia ancora riferimento a siffatte tipologie aziendali, dal momento che sono trascorsi più di vent’anni che le uniche aziende ove potere materializzare la pratica assistenziale assicurata dal Ssn in combine con le Università, implementato dalla didattica e la ricerca da rendere disponibili dagli studenti in medicina-chirurgia e dagli specializzandi sono esclusivamente le Aziende ospedaliere universitarie. Una tipologia conosciuta nel Paese solo nella carta, da momento che delle 31 operanti, 30 sono sine titulo costitutivo e, dunque, sedicenti. L’unica ad essere tale, secondo i crismi del diritto, è quella di Salerno: l’AOU “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona – Scuola medica salernitana” riconosciuta con Dpcm del 31 gennaio 2013 (G.U. 56 del 6 marzo 2023), che metteva fine ad un non breve giudizio conclusosi con l’unica sentenza consolidata che sancisce l’obbligatorietà del rilascio del Dpcm, al verificarsi delle condizioni di diritto e di merito.

Il tema della inesistenza giuridica di 30 AOU su 31 è da dovere risolvere e non da peggiorare, così come farebbe la messa a terra di un siffatto schema-tipo, che presenta non poche “disattenzioni”. Sono tanti e diversi gli errori di riferimento legislativo, sino a presentare anche una disattenzione letterale di prevedere all’art. 1, comma tre, secondo periodo, il sostantivo obiettivi scritto con la ”b” doppia”, tali da sconvolgere del tutto l’attuale assetto affidato dal legislatore unicamente alle AOU, delle quali viene peraltro scritta erratamente l’autonomia che il d.lgs. 502/1992 definisce imprenditoriale, unificando in essa quelle organizzativa, gestionale, patrimoniale e contabile codificate dall’originario testo modificato del d.lgs. 229/1999, quasi contemporaneo al d.lgs. 517 di fine dello stesso anno.

Quanto al contenuto dello schema-tipo, a proposito di declinazione delle autonomie godute dalle Regioni e dalle Università, necessiterebbe una maggiore precisazione dei loro contenuti. Ciò in quanto non risulta facilmente comprensibile quella riferita alla “autonomia della Regione nella determinazione dei principi generali organizzativi della sanità e autonomia nell’esercizio delle responsabilità gestionali assistenziali da parte delle strutture sanitarie universitarie”, nel senso che essendo le Aou, previste dal legislatore statale a gestione condivisa (valgono ad esempio la elaborazione dei piani sanitari regionali e dei protocolli d’intesa, la selezione del direttore generale, la redazione e approvazione degli atti aziendali, la scelta dei revisori, l’approvazione dei bilanci) non si comprende affatto a cosa si spossano riferire gli esercizi delle due diverse autonomie.

Ciò anche perché al comma successivo viene correttamente precisato che «Regione e Università perseguono entrambe l’obiettivo di ottimizzare, da un lato, la qualità dell’assistenza basata sulla centralità della persona e sulla tutela della salute, dall’altro di promuovere la formazione di figure professionali sanitarie; questo basandosi sulla centralità dello studente, protagonista del proprio processo formativo, che dovrà proseguire in modo permanente durante tutta la successiva vita professionale». Una precisazione dalla quale dipende, nell’ovvietà, che gli atti soggetti ad un siffatto tema afferenti alla formazione in senso stretto siano soggetti ad impugnativa avanti la giurisdizione amministrativa (art. 133, primo comma, lett. a), n. 2, c.p.a), a differenza degli atti aziendali impugnabili avanti l’A.G.O.; questo basandosi sulla centralità dello studente, protagonista del proprio processo formativo.

Da ultimo appare incomprensibile, per la corretta ratio posta a sostegno dell’iniziativa ministeriale che dovrebbe essere quella di contribuire a sanare tempestivamente, attraverso un provvedimento normativo parlamentare le inesistenze giuridiche di 30 AOU – le uniche deputate per dictum legislativo a esercitare didattica, ricerca e assistenza curata da professori universitari e ricercatori – la redazione del comma 2. Inaccettabile è il riferimento all’art. 2 del d.lgs. 517/1999, che prevedeva la “tolleranza” quadriennale dei policlinici da trasformare in AOU con il rilascio dei relativi Dpcm, con la conseguenza (grave) della individuazione di «Azienda Sanitaria di Riferimento che ai sensi del presente protocollo e del tutto assimilata all’AOU». Allo stesso modo risulta poco opportuno, considerato il proliferarsi di università telematiche, ogni genere di riferimento erogativo afferente alla formazione attraverso strutture private accreditate. Ma forse una siffatta conclusione è certo da addebitare a qualche lapsus freudiano.

Ettore Jorio

Ettore Jorio

25 Luglio 2025

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