Pronto soccorso e sanità italiana: tra cure, umanità e sfide
Pronto soccorso. 25 luglio, ore 17:30, Terracina. Al mare con Carlotta, la mia nipotina, e il mio cuore malato. Risalgo dal mare per andare verso l’albergo: dieci scalini fatali. Entro in un affanno incredibile, palpitazioni cardiache; solo la responsabilità della piccola mi spinge a trascinarmi, senza cadere. Arrivo nella mia stanza, mi distendo sul letto, misuro la pressione: non ci posso credere. Io, costituzionalmente ipotesa, ho 243/117.
Mi accompagnano alla guardia medica. Dal volto della giovane dottoressa capisco che la situazione è grave: saturazione 82. Bentelan intramuscolo, attesa 30 minuti; la saturazione piano piano risale a 90. La dispnea e l’affanno respiratorio ci sono: consiglio del medico, “Subito al PS”.
Chiedo: dove? Terracina, no; Latina, no; Formia, no: tutto pieno. Roma, a tutta velocità: mia figlia mi carica in macchina e arrivo al PS del S. Eugenio.
Codice rosso: intervengono con immediatezza. Ossigeno e terapie endovena. Il problema è il rischio di un secondo infarto sul mio cuore malandato, già provato dal primo infarto del maggio 2017, a Genova, in Università, mentre facevo lezione.
Meno male che negli anni ero in cura per i diversi controlli proprio con un cardiologo del S. Eugenio: il dott. Gianluca Colloridi. Lo chiamo, mannaggia, è in ferie, ma mi rassicura: rientrerà l’indomani. Mi tranquillizza, mi dice che faranno tutti gli accertamenti del caso. Cerco di non pensare, ma la sala rossa è una specie di girone dantesco: arriva di tutto ogni 3/5 minuti. Comi da eroina, accoltellati da risse, infarti in atto, ictus e via così. Giovani e anziani accomunati da una sorte comune: il dolore e la malattia.
Quest’anno poi ci si sono messe anche le temperature elevate: il 25 luglio 38°, percepito 40. Il riscaldamento del clima e gli eventi di calore estremo stanno diventando più frequenti e intensi. Queste temperature torride comportano rischi significativi per la salute. L’impatto del calore sulle condizioni di salute non è solo una minaccia per le persone sane: può anche peggiorare condizioni croniche esistenti, come:
Malattie cardiovascolari: il calore mette a dura prova il cuore, aumentando il rischio di infarto e ictus.
Problemi respiratori: l’aria calda e umida può peggiorare asma e BPCO, rendendo difficile la respirazione.
Negli anziani, poi, si sa: invecchiando, la capacità del nostro corpo di regolare la temperatura diminuisce. Inoltre, possono essere meno mobili o avere condizioni di salute croniche che li espongono a un rischio maggiore.
Insomma, sotto terapia ad ossigeno e con un po’ di respiro in più, le penso tutte. Nel contempo mi chiedo: come fa il Direttore della sala rossa, nella bolgia infernale dove medici e infermieri si muovono alla velocità della luce con efficienza e tempestività, ad avere per tutti una parola dolce, dal tono buono: “Tranquilla/o tesoro”? È terapeutico, oltre che consolatorio.
Nel cuore della notte vado in sala raggi: TAC con mezzo di contrasto. Anche qui trovo efficienza, attenzione, refertazione quasi immediata, consulto con un bravissimo cardiologo, molto scrupoloso, che consiglia anche un approfondimento polmonare.
Confesso che non riesco a dormire, perché la mia mente corre ai tanti anni di fumo, vero peccato capitale della mia vita, che mi hanno già messo a dura prova con il primo infarto. Da allora, è vero, non ho più fumato. Porto le tracce: lo stent sulla mia arteria discendente anteriore, messo dagli altrettanto bravi cardiologi dell’Ospedale Galliera di Genova, e un po’ di enfisema polmonare.
L’indomani si libera un posto in geriatria: ho un letto confortevole in una stanza a due letti, con due compagne di viaggio, una ottantenne e l’altra novantenne, lucide e intelligenti: Ivana e Milvia, che si è lussata un omero sbattendo alla spalliera del suo vecchio letto in noce. Misuro dal vivo la longevità e le sue fragilità, ma anche quanto conti l’idea delle cure umanizzate, ancorché, per definizione, il paziente debba essere paziente.
Valentina, la nipotina di Ivana, sta per laurearsi in scienze infermieristiche. Brava, competente, si dà da fare. Comprende che le sue colleghe sono sovraffaticate: è dura stare dietro ai campanelli che squillano in continuazione, ma l’amore per la sua futura professione la guida nel rendersi utile.
Non posso dire che qualcosa vada storto in ospedale: anzi, rispetto alla media degli ospedali delle grandi città, il S. Eugenio sembra un’isola felice. La stroke unit diretta dalla D.ssa Letizia Maria Cupini è un gioiellino, l’ortopedia, la ginecologia sono molto apprezzate dai cittadini del nostro quartiere Ottavo Colle. Certo, l’organizzazione si può sempre migliorare, perché ormai siamo tanti, sempre più anziani e con patologie croniche e degenerative.
Frammentazione, disparità di trattamento nelle diverse Regioni, incomunicabilità dei dati relativi ai pazienti tra strutture sanitarie differenti, inevitabile migrazione sanitaria: sono questioni che ci caratterizzano. Ed inoltre i costi non sono indifferenti per il nostro Paese, caratterizzato da un così elevato debito pubblico e da una evasione ed elusione fiscali altrettanto elevate.
Il quadro del futuro è a tinte grigie: una popolazione italiana che diminuirà di circa l’8% entro il 2050, passando dai 59 milioni del 2022 a 54,4 milioni, a causa dell’invecchiamento della popolazione e del calo del tasso di natalità. Entro il 2050, oltre il 35% degli italiani avrà più di 65 anni, mentre i bambini di età inferiore ai 14 anni rappresenteranno solo l’11,7% della popolazione. Un quadro che, in assenza di riforme e riorganizzazioni profonde, metterà a dura prova i sistemi sanitari e di protezione sociale, non solo dell’Italia, ma dell’intero vecchio continente.
Cose da tempo risapute, messe in evidenza dalle maggiori analisi e ricerche del nostro Paese, ma anche a livello europeo: dall’Istat alle fondazioni indipendenti come GIMBE, ASVIS, da diversi istituti di ricerca universitari come SDA Bocconi, CREA, ALTEMPS, ISS, AGENAS, ma anche da società scientifiche come la SIC (Società Italiana di Cardiologia), la Società Italiana di Epidemiologia, la FIMG, la SIMEU ed altre.
Ma la novità, questa volta, sta nel fatto che il j’accuse viene da The Lancet, prestigiosa e stimata rivista internazionale di medicina, che nel fascicolo del gennaio 2025 dedica un editoriale – con tanto di tricolore su sfondo nuvoloso – alla situazione non certo rosea della sanità italiana.
The Lancet: “Un sistema così frammentato non solo delude la popolazione italiana, ma impone anche un considerevole onere economico per il Paese. I pazienti delle Regioni meridionali, che sono tipicamente più limitate nelle risorse, si recano negli ospedali settentrionali più attrezzati per essere curati. Tuttavia, a causa della mancanza di sistemi interoperabili, gli ospedali del Nord spesso non riescono ad accedere alle informazioni sui pazienti, con il risultato di ripetere gli esami diagnostici e di cumulare ritardi nelle cure. Questa duplicazione fa lievitare i costi.
La frammentazione del sistema di dati sanitari in Italia presenta anche notevoli sfide per la ricerca. Senza una piattaforma centrale, i ricercatori devono rivolgersi ai comitati etici e per la privacy delle singole istituzioni, che possono negare le richieste”.
Dal 2010, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15%, segnalando un calo significativo. Quanto alla sanità digitale, le cose non vanno meglio: “Nel 2022, l’Italia ha speso 1,8 miliardi di euro per la sanità digitale, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, non è ancora chiaro se questi fondi siano stati pienamente impiegati e come siano stati spesi, in particolare per quanto riguarda i sistemi di EHR e l’integrazione dei sistemi sanitari regionali e nazionale, dal momento che solo il 42% delle strutture ospedaliere e delle cliniche accreditate ha dichiarato di avere un sistema di acquisizione elettronica dei dati attivo in tutti i reparti”.
A margine, The Lancet cita anche le difficoltà che stanno interessando il Fascicolo Sanitario Elettronico: “La sfiducia dell’opinione pubblica nelle istituzioni regionali e nelle ASL aggrava il problema, con oltre 90.000 italiani che si rifiutano di condividere i propri dati sanitari a causa di problemi di privacy.
Mentre l’Europa ha abbracciato la cosiddetta base giuridica del legittimo interesse, che consente di utilizzare i dati sanitari per la ricerca e l’innovazione senza basarsi esclusivamente sul consenso individuale, in Italia la legislazione restrittiva e la frammentazione regionale ostacolano questi sforzi, non riuscendo a bilanciare i diritti alla privacy con l’interesse pubblico e a migliorare l’assistenza sanitaria.
L’armonizzazione legislativa a livello nazionale è essenziale per creare una rete di dati sanitari unificata in Italia. Questo approccio favorirà l’interoperabilità dei dati, la telemedicina e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, sfruttando allo stesso tempo iniziative europee come il Data Governance Act, che promuove la condivisione sicura ed etica dei dati, lo Spazio europeo dei dati sanitari, che mira all’assistenza sanitaria transfrontaliera e a promuovere la ricerca, e l’AI Act, che mira a regolamentare l’intelligenza artificiale affidabile e trasparente nell’assistenza sanitaria.
Se non si agisce, si aggravano le disuguaglianze, si ritardano i trattamenti e si ostacola il progresso, mentre dare priorità ad una riforma sistemica offre all’Italia l’opportunità di soddisfare le richieste di assistenza sanitaria e di fornire cure eque ed efficienti.”
Nonostante queste innegabili verità, occorre però anche affermare che comunque il sistema ha confermato la capacità di risposta rispetto all’emergenza pandemica, in particolare per l’adesione della popolazione alle disposizioni e alla campagna vaccinale, e per l’impegno e la dedizione del personale sanitario, specie ospedaliero.
Nonostante l’impatto negativo della pandemia, molti indicatori confermano il buon livello qualitativo della sanità italiana rispetto al panorama internazionale, per durata della vita e condizione degli anziani con malattie croniche, e per gli investimenti realizzati sulla prevenzione, solo in parte oscurati da dati storici negativi relativi al debole finanziamento pubblico – sotto la media europea – e al peso significativo e crescente della spesa privata out of pocket, a carico dei cittadini.
Basti dire che uno degli indicatori più importanti, quello dell’età media della popolazione, ci vede in posizione di punta, con i nostri 48 anni rispetto ai 44,4 dell’Europa a 27. La speranza di vita alla nascita, che si attestava nel 2021 su 82,4 anni. L’indicatore di misurazione della salute percepita dagli anziani portatori di patologie croniche mostra invece un miglioramento lento e costante dal 2009 in poi.
La pandemia ha rivelato le lacune e le inadempienze del SSN italiano, in particolare per quanto riguarda i posti letto per abitante, rivelatisi insufficienti, la copertura degli organici – specie infermieristici – la medicina e sanità territoriali ed extra-ospedaliere, l’integrazione socio-sanitaria, la diffusione della telemedicina, le differenze di performance tra regioni e territori.
Le connessioni vanno ricercate anche nella collaborazione necessaria fra le tre anime principali della società contemporanea (statualità, socialità e mercato) e nel superamento delle contrapposizioni tra settore pubblico e settore privato, tra vita privata e vita lavorativa, e tra primo, secondo e terzo settore economico, come nel rapporto tra discipline scientifiche e relativi ambiti applicativi.
Decisamente significativa per l’efficienza e l’efficacia del sistema della sanità italiana è l’azione di realizzazione del PNRR per la sua parte dedicata alla sanità e al sociale. Per quanto riguarda salute e sanità, la Missione 6 si articola in due componenti:
a) le Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina, e in particolare le Case di comunità (CdC) e gli Ospedali di comunità (OdC), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare e l’integrazione socio-sanitaria;
b) le azioni di innovazione, ricerca e digitalizzazione del SSN, con l’ammodernamento delle strutture tecnologiche e digitali, il completamento del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (LEA), l’aumento degli investimenti in ricerca, il rafforzamento e potenziamento della formazione del personale e delle risorse umane.
Secondo il MEF, l’effetto del PNRR sull’occupazione sarà positivo nella misura del 3,2% e, secondo il progetto Re-Start del gruppo Adecco, si avrà un aumento di occupate donne pari a 38.000 unità e di giovani pari a 4.000. Ma i calcoli relativi alle carenze degli organici ospedalieri e al fabbisogno di personale infermieristico, sia per le strutture già esistenti sia per le nuove strutture da creare, indicano cifre ben più alte. Per non parlare della necessaria formazione per i nuovi assunti, specie quelli da inserire nel nuovo assetto.
Occorre avere coraggio: passare da una cultura contrappositiva tra ospedale e territorio a quella della salute come bene fondamentale dell’individuo nella sua unicità irripetibile. Condizione per una realistica soluzione del problema è che si tenga conto di tutte le forze in gioco e di tutti i soggetti che in qualche modo già contribuiscono alla tenuta del sistema, in particolare per quanto riguarda i tanti aspetti e le diverse esigenze disattese.
Non potrà esservi sostenibilità del sistema della salute se non si valorizzerà la mole ingente di risorse umane che vi lavorano, che studiano, che ricercano, che assistono quotidianamente la nostra popolazione. Da qui l’esigenza di immaginare e mettere in campo strumenti e regole nuove, che pongano le basi di una valorizzazione eticamente fondata dell’impegno e delle risorse impiegate dalle famiglie e dai pazienti, attraverso i diversi canali pubblici e privati di finanziamento delle cure.
In altre parole, è evidente la necessità di procedere verso interventi di riforma che sappiano guardare lontano, con occhi scevri da pregiudizi, e verso soluzioni dalla robusta valenza etica, ma anche dalla chiara praticabilità e sostenibilità: non sono ammessi più ritardi nell’adeguamento del sistema alla nuova situazione di longevità della nostra popolazione, con il suo carico di patologie croniche degenerative, di solitudine e, spesso, di abbandono.
Occorre quindi partire dalla constatazione del valore del capitale umano per la qualità delle cure e per il funzionamento del sistema, e dalla necessità di sostenerlo e rafforzarlo.
Quando dalla Geriatria mi hanno trasferita alla Cardiologia, nella UOC diretta dal Prof. Gaspardone – il cui valore è noto in Italia e all’estero – il valore del capitale umano è apparso in tutta la sua evidenza: giovani cardiologi e professionisti con più anni di esperienza, in una relazione fattiva di collaborazione e apprendimento reciproco e continuo. Specializzandi in formazione, la cardiologia interventistica un fiore all’occhiello sapientemente guidata dal Dott. D’Errico e, nel mio caso, dalla Dott.ssa Antonella De Santis, con un medico in formazione specialistica professionalmente attentissimo, ricordo il nome: Federico Di Perna.
Un TSRM (Tecnico Sanitario di Radiologia Medica), un TFCPC (Tecnico di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare) esecutori delicati e collaborativi, nel farmi la coronarografia, a cui ho dato il massimo di me stessa e di fiducia, per coadiuvarli con la respirazione, che mi aiutasse a non sentire dolore nell’ingresso del catetere nell’arteria radiale sinistra. I due infermieri esecutori, Luciano e Giorgio, avendo perfettamente compreso la mia “fifa blu”, hanno fatto di tutto per distrarmi e, venuti a conoscenza che ero genovese, hanno messo la meravigliosa canzone di Fabrizio De André Creuza de mä e di Gino Paoli Il cielo in una stanza.
La potenza della musica cattura il cervello e ti consente di abbandonarti senza opporre resistenza, con grande vantaggio nel sentire meno il dolore. Insomma, la coronarografia non è una passeggiata, ma se fatta, anche qui, con sapienza, perizia e grande sensibilità umana, si possono incontrare umanità e collaborazione per ottenere il miglior risultato possibile.
Il risultato, ahimè, non è dei più edificanti, ma trattandosi di un cuore di 78 anni, con l’infarto pregresso di otto anni fa, l’attuale stenosi del mio vaso coronarico e l’evento accaduto, sono lì a ricordarmi – ora che sono tornata a casa e non mi par vero – che oltre alla buona medicina dobbiamo imparare a prenderci maggior cura di noi, soprattutto quando il tempo scorre inesorabile.
Non dimentico i volti e le cure ricevute dai tanti medici che ho visto scorrere in reparto: dalle Dott.sse Labellarte, Leonetti, Cinque, Licitra, il Dott. Emiliano De Marchis, la Dott.ssa Miriam Iamele. Più donne che uomini, e ciò mi rende orgogliosa di appartenere a un sesso capace, autonomo e intelligentissimo, che si fa strada anche in Italia, anche nelle STEM. Occorre fare maggiori politiche di conciliazione lavoro-maternità, perché le giovani generazioni non siano nell’eterno conflitto lavoro/maternità, per sottrarsi alle mille rinunce cui devono sottostare dopo tanti anni di studio e formazione.
Certamente avrò dimenticato qualcuno o qualcuna e me ne scuso. Ma certamente non dimentico il Dott. Sgueglia, e il mio angelo custode, il Dott. Colloridi, e tutte le meravigliose infermiere che ci hanno vegliato, curato, ascoltato in quel reparto: vere professioniste a passo svelto, per rispondere a tutti con le terapie, l’assistenza, ma soprattutto l’amorevolezza di chi quella professione l’ha scelta non perché non sapeva che fare, ma perché ci ha creduto fino in fondo, sapendo che attraverso una buona assistenza professionalmente riconosciuta e valorizzata il SSN può essere davvero il nostro vanto.
Nomi e volti giovani e meno giovani, oggi con il tablet, il carrello attrezzato: Maria Concetta, Catia, Rosa, Silvia, Alessia, sono state le compagne di viaggio di un forzato soggiorno estivo, che mi ha insegnato ancora una volta come della nostra sanità si farebbe bene a parlarne con cognizione di causa, senza abbandonarsi a contrapposizioni ideologiche o, peggio, a visioni catastrofiste.
Adesso ci vuole determinazione: abbiamo importanti scadenze da onorare. Paghiamo bene le nostre risorse professionali, valorizziamone ruoli e funzioni, rilanciamo la qualità della professione di cura, sia assistenziale che medica italiana, rivediamo i percorsi formativi, lanciamo una “alleanza di ferro ospedale–territorio”.
Ce la possiamo fare, ce la dobbiamo fare. Il paziente francese che era ricoverato con me in Cardiologia, a cui ho fatto da interprete nel rapporto verbale con medici ed infermieri, curato a Parigi al noto Ospedale Pitié-Salpêtrière, me lo ha detto chiaramente: “Merci Madame, dites aux médecins et à tout le personnel que je n’ai jamais reçu à Paris une assistance telle que celle que j’ai reçue ici”.
Ho gongolato: un ringraziamento così, sentito da un francese, non mi era mai capitato nella mia lunga carriera di economista sanitaria.
Prof.ssa Grazia Labate
Ricercatrice senior, già Sottosegretaria alla sanità
08 Agosto 2025
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