Ad agosto, quando la maggior parte dei cittadini si prepara alle ferie e il Paese sembra sospeso in un’atmosfera rarefatta, la politica ha trovato un nuovo terreno di confronto: il Nitag, il Comitato nazionale tecnico-scientifico per le vaccinazioni. Un organismo tecnico, chiamato a dare pareri basati su evidenze scientifiche, che improvvisamente è diventato argomento di scontro politico.
La vicenda è emblematica di un atteggiamento ormai ricorrente: la sanità entra nel dibattito pubblico quasi esclusivamente quando vi è la possibilità di utilizzarla come strumento di contrapposizione. Non è la sostanza dei problemi a dettare l’agenda, ma l’occasione di polemizzare e di occupare la scena mediatica.
La discussione attorno al Nitag si è trasformata in una partita tutta politica, con accuse, sospetti e rivendicazioni. In questo modo si perde di vista ciò che dovrebbe essere al centro: come garantire ai cittadini un servizio sanitario moderno, equo e sostenibile.
Il vero punto è come rafforzare la governance della sanità pubblica, come valorizzare i pareri scientifici e come integrare questi strumenti nei processi decisionali senza esporli alle oscillazioni della contesa politica.
Mentre si litiga su comitati e procedure, restano fuori dal dibattito i nodi concreti:
-la carenza di personale, che mette a rischio interi reparti e costringe molti ospedali a ridurre servizi;
-le liste d’attesa interminabili, che trasformano il diritto alla cura in un percorso ad ostacoli;
-le disuguaglianze territoriali, con Regioni che garantiscono livelli di assistenza molto diversi tra Nord e Sud;
-il sottofinanziamento strutturale, che da anni erode la capacità del Servizio sanitario nazionale di rispondere ai bisogni crescenti di una popolazione che invecchia.
La tendenza a concentrare l’attenzione su singoli episodi o organismi è il riflesso di un problema più ampio: la difficoltà della politica italiana a elaborare una visione di lungo periodo per la sanità. Le riforme si rincorrono, spesso dettate dall’urgenza del momento o da logiche di consenso immediato, mentre manca un piano strutturale che affronti le grandi sfide: digitalizzazione, riorganizzazione della medicina territoriale, formazione di nuove figure professionali, sostenibilità economica.
La sanità diventa così terreno di battaglia solo quando offre la possibilità di contrapposizione, ma raramente occasione di riflessione strategica. Il risultato è un sistema che continua a funzionare grazie all’impegno straordinario di medici, infermieri e operatori, ma che rischia di non reggere l’urto delle sfide future.
Luciano Fassari