Gentile Direttore,
la DGR 473/2025, adottata ad agosto senza istruttoria né confronto, applica i fabbisogni solo al 6% e rispolvera i tetti del 2014. Una programmazione che svuota un obbligo giuridico e scarica sui cittadini e sui territori le conseguenze di scelte illogiche.
La sanità lucana vive in queste settimane una delle pagine più controverse della sua storia recente. Con la DGR 473/2025 la Regione Basilicata ha ridefinito i tetti di spesa per le strutture sanitarie accreditate, ma lo ha fatto in un modo che lascia sconcertati: un atto adottato in pieno agosto, senza alcuna istruttoria trasparente, senza consultazione preventiva, e soprattutto ancorato a criteri che appaiono più frutto di una lotteria che di una programmazione razionale.
Il punto centrale riguarda i fabbisogni sanitari, cioè il parametro che dovrebbe guidare ogni scelta allocativa. La Regione è stata obbligata dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8472/2024, a censirli finalmente dopo anni di inerzia. Eppure, quando è arrivato il momento di tradurli in tetti di spesa, se ne è fatto uso solo in misura minima, pari al 6%. Per il resto, si è tornati al congelamento della spesa storica, prendendo addirittura a riferimento la distribuzione del 2014, come se i bisogni di oggi – per prestazioni e per territori – coincidessero con quelli di dieci anni fa.
Ne risulta una programmazione che collide non solo con il buon senso, ma con i principi stessi di una corretta governance sanitaria: regole chiare, fabbisogni reali, trasparenza nelle decisioni. Al loro posto, i cittadini lucani si trovano a fare i conti con prestazioni tempo-dipendenti sospese, liste d’attesa che si allungano e territori che si sentono abbandonati.
Un nodo giuridico che diventa paradosso programmatorio
In questo scenario, alcune considerazioni si impongono.
Primo: la scelta di ricorrere alle assegnazioni del 2014 sembra trovare giustificazione nella sentenza n. 635/2019 del TAR Basilicata. In quel pronunciamento, riferito al criterio per la determinazione dei tetti di spesa della specialistica per il periodo 2015–2018, il giudice amministrativo ritenne che, “nell’attuale stato di fatto, e a notevole distanza di tempo dalla conclusione delle singole annualità, il criterio dotato di maggiore attendibilità e obiettività (…) fosse quello del riferimento al consuntivo dell’esercizio 2014”. Una scelta dettata allora dalla necessità di dare una cornice di certezza postuma ai rapporti giuridici e di tutelare l’affidamento delle strutture.
Secondo: questo criterio è stato già applicato nel 2022 con la DGR 482, che in quell’occasione ha retto al vaglio della giustizia amministrativa. Paradossalmente, un metodo che nulla ha a che vedere con la doverosità di rispondere ai fabbisogni sanitari è risultato “giuridicamente solido” proprio perché, a quella data, i fabbisogni non erano ancora stati censiti. Giova ricordare che tutte le delibere di assegnazione dei tetti approvate fra il 2015 e il 2020 erano state annullate dal giudice amministrativo; e che anche la delibera adottata per le annualità 2023 e 2024 è stata a sua volta annullata. Nel 2025 la Regione ha riproposto quasi integralmente lo schema del 2022 – anche questa volta nel mese di agosto – come se la reiterazione in quel periodo potesse surrogare la mancanza di una vera programmazione. Con una differenza non marginale: questa volta i fabbisogni erano già stati censiti nel 2024, su precisa imposizione del Consiglio di Stato, che in caso di ulteriore inerzia avrebbe persino nominato un commissario ad acta.
Terzo: appare evidente che la definizione tardiva dei tetti sia divenuta una scelta sistematica e forse premeditata. Posticipare le decisioni consente di legittimare, in sede contenziosa, il ricorso al “criterio dotato di maggiore attendibilità e obiettività”, quello del consuntivo 2014, anziché poggiare la programmazione su dati di fabbisogno reale. È un espediente giuridico che tutela l’affidamento amministrativo, ma non la salute dei cittadini.
Le domande aperte del diritto
A questo punto la domanda è inevitabile: davvero tutto ciò trova protezione nel diritto? Che fine fa, in questo schema, l’obbligo di utilizzare i fabbisogni sancito dagli artt. 8-quater e 8-quinquies del D.Lgs. 502/1992? Che ne è dei principi di trasparenza e partecipazione previsti dalla L. 241/1990 e dalla L. 190/2012? E delle regole a tutela della concorrenza e del pluralismo sancite dal diritto antitrust? E il diritto del cittadino di libera scelta del luogo di cura?
Se le risorse continuano ad essere distribuite non sulla base dei bisogni di cura ma di logiche retrospettive e difensive, si finisce per garantire non il diritto costituzionale alla salute, ma tutt’altro. E la programmazione sanitaria, da strumento di equità e razionalità, diventa una formula che salva la forma giuridica sacrificando la sostanza della tutela.
Uno sguardo oltre la Basilicata: quando i fabbisogni diventano davvero programmazione
Il paradosso lucano emerge con ancora più forza se messo a confronto con quanto accade in altre regioni. In diverse realtà, il principio dei fabbisogni sanitari è stato assunto come cardine della programmazione, con esiti che – pur tra limiti e difficoltà – hanno garantito maggiore coerenza tra risorse allocate e bisogni della popolazione.
In Toscana, la metodologia di calcolo dei fabbisogni integra indicatori epidemiologici, demografici e di utilizzo dei servizi, con una distribuzione delle risorse che tiene conto dei diversi territori e delle tipologie di prestazioni.
In Emilia-Romagna, il sistema di “budget di salute” incrocia i fabbisogni rilevati dalle Aziende USL con i livelli di assistenza definiti a livello regionale.
Il Veneto ha consolidato un modello ex ante, con tetti di spesa definiti a partire dai fabbisogni stimati e soggetti a monitoraggi periodici.
La Lombardia ha tradotto i fabbisogni in piani di offerta integrata, combinando il fabbisogno con la libertà di scelta del cittadino e la concorrenza tra pubblico e privato accreditato.
Queste esperienze mostrano che è possibile fare dei fabbisogni la bussola della programmazione sanitaria. In Basilicata, al contrario, i fabbisogni sono stati censiti solo perché imposti dal Consiglio di Stato e, con la DGR 473/2025, sono stati svuotati riducendoli al 6%, mentre il criterio dominante resta quello del consuntivo 2014.
È in questa sproporzione che si coglie il carattere anomalo della DGR 473/2025: un atto che appare giuridicamente difensivo ma programmaticamente regressivo.
Tra diritto e buon senso, la sanità non può aspettare
La DGR 473/2025 non è un semplice atto tecnico-amministrativo: è lo specchio di una concezione della programmazione sanitaria che guarda più al passato che al presente, e che tradisce la sua funzione primaria. Sul piano giuridico, si è scelto di ripiegare su criteri già bollati come emergenziali e postumi. Sul piano della politica sanitaria, si è svuotato di sostanza l’obbligo di utilizzare i fabbisogni appena censiti, ridotti al 6% e quindi resi irrilevanti.
Il risultato è che i cittadini lucani non vedono garantito il loro diritto costituzionale alla salute, ma subiscono le conseguenze di un impianto difensivo che produce interruzioni improvvise, tagli lineari, disparità territoriali e aumento della mobilità passiva.
Il raffronto con altre regioni dimostra che un’altra strada è possibile: programmare ex ante, monitorare, correggere, fare dei fabbisogni la vera bussola delle scelte.
In Basilicata, invece, la programmazione resta ostaggio di contenziosi, rinvii, scelte tardive adottate nel cuore dell’estate, senza trasparenza e senza confronto con i territori.
La domanda è allora inevitabile: può la sanità lucana permettersi di restare prigioniera di questo schema, che salva le forme giuridiche ma sacrifica la sostanza delle cure?
Occorre un cambio di rotta. Non bastano i richiami alla legittimità formale né gli annunci rassicuranti sulle liste d’attesa. Serve assumere finalmente la responsabilità di una programmazione basata sui fabbisogni, trasparente, partecipata, capace di dare risposte concrete ai cittadini.
Perché, al di là di ogni disputa giuridica, la misura della buona politica sanitaria non si trova nei consuntivi del 2014, ma nella capacità di assicurare oggi che un paziente abbia accesso a 100 prestazioni quando ne ha bisogno, non solo a 6.
Michele Cataldi
Presidente USC Basilicata
Unione Sanità Convenzionata