In Europa, milioni di persone ogni giorno convivono con difficoltà che raramente fanno notizia, ma che pesano come macigni sulla qualità della vita. Il nuovo rapporto di Eurostat 2025, dedicato a salute, disabilità, benessere e discriminazione, racconta un’Europa in cui la disuguaglianza non si misura solo con il reddito, ma si riflette nel corpo, nella mente e nella quotidianità delle persone.
Il dato più evidente è anche il più eloquente: quasi una persona su quattro, il 23,9% degli europei con più di 16 anni, dichiara di avere limitazioni nelle attività quotidiane a causa di problemi di salute che durano da almeno sei mesi. Parliamo di condizioni che vanno dalle difficoltà motorie a quelle sensoriali, cognitive, o legate a malattie croniche. E dietro questa cifra si nascondono storie di isolamento, di minor accesso alle cure, di difficoltà economiche spesso silenziose.
La disabilità, nel contesto europeo, si conferma fortemente legata a fattori come l’età, il genere, l’istruzione e soprattutto il reddito. Più si è poveri, più è probabile essere malati. Più si è istruiti, più è facile godere di buona salute. Le disuguaglianze sociali si traducono in disuguaglianze fisiche, e viceversa. Una persona con un titolo di studio elevato ha quasi il 25% in più di probabilità di dichiararsi in buona salute rispetto a chi ha solo la scuola dell’obbligo. Chi vive nei quintili di reddito più bassi sperimenta una qualità della salute molto peggiore, tanto che il 28,8% delle persone con disabilità si trova a rischio povertà o esclusione sociale, contro il 17,9% di chi non ha alcuna limitazione. È una forbice che si apre ulteriormente nei contesti dove mancano adeguate politiche di welfare o dove la fragilità economica si accompagna a quella fisica.
Le donne, ancora una volta, sono le più colpite. In tutti i Paesi UE, le donne riportano livelli di disabilità superiori rispetto agli uomini, e anche un maggior senso di fatica nel far fronte alle spese quotidiane. E se l’età è il primo fattore che amplifica il rischio — quasi la metà degli over 65 segnala disabilità — non va trascurato l’impatto che tutto ciò ha anche sui più giovani. Tra i bambini sotto i 16 anni, il 4,5% vive con una disabilità moderata o grave, e la percentuale cresce con l’età. I figli di famiglie povere, come spesso accade, sono i più svantaggiati: hanno meno accesso alle cure, meno possibilità di diagnosticare precocemente le difficoltà, meno strumenti per compensare gli ostacoli.
Oltre alla salute, il rapporto Eurostat ci racconta anche qualcosa di più intimo: come ci sentiamo, quanto siamo soddisfatti della nostra vita, quanta fiducia abbiamo negli altri. E anche qui, le disuguaglianze si fanno sentire. Nel 2024, la soddisfazione media per la vita si è fermata a 7,2 su 10, in leggero calo rispetto agli anni precedenti. E mentre in Paesi come Finlandia, Slovenia o Romania si superano i 7,7 punti, in Bulgaria il livello di soddisfazione è appena a 6,2. La fiducia verso gli altri, elemento chiave per la coesione sociale, è ancora più fragile: la media europea è 5,8 su 10, ma in Grecia, Cipro e Lituania scende sotto il 5. Anche qui, il livello di istruzione fa la differenza. Le persone con titoli di studio alti tendono a fidarsi di più, a sentirsi più soddisfatte, a vivere con maggiore serenità.
Infine, ma non per importanza, il rapporto ci mostra un volto ancora troppo spesso ignorato dell’Europa: quello della discriminazione. Il 3,4% degli europei ha sperimentato almeno un episodio di discriminazione in spazi pubblici nell’ultimo anno, una percentuale che sale in modo preoccupante in Paesi come l’Austria e i Paesi Bassi. Ancora più allarmante è il dato su chi ha cercato una casa negli ultimi cinque anni: il 5,9% ha avuto la sensazione di essere stato trattato in modo sfavorevole per motivi legati alla propria origine, genere, età o condizione sociale. In Slovenia, uno su dieci.
Tutti questi dati, messi insieme, compongono un quadro complesso ma necessario. Ci parlano di un’Europa in cui salute, benessere e diritti non sono ancora pienamente accessibili per tutti. Dove le condizioni socioeconomiche influenzano profondamente non solo quanto viviamo, ma come viviamo. Dove la disabilità non è solo una condizione fisica, ma spesso un moltiplicatore di svantaggio.
Eppure, c’è anche un messaggio di speranza. I numeri aiutano a vedere ciò che spesso resta nascosto. E vedere è il primo passo per agire. Serve una politica che non si limiti a compensare le disuguaglianze, ma che le prevenga. Che investa nella salute pubblica, nell’istruzione, nell’inclusione e nella cultura del rispetto. Perché un’Europa giusta non si misura con il PIL, ma con la capacità di prendersi cura di chi rischia di rimanere indietro.