La sanità di oggi, oltre che essere scesa a livelli erogativi nettamente al di sotto dell’accettabile e infernali nel Mezzogiorno, è paragonabile – quanto ai suoi bilanci – alla tradizionale groviera. Pieni zeppi di buchi mal rattoppati a tal punto da emergere alla prima attenta occhiata, ma passati inosservati agli organismi di revisione, aziendali e regionali, e finanche ai due Tavoli romani guidati dal MEF, quanto a verifica dei saldi.
Il Ssn, così come ridotto oggi, necessita una profonda riorganizzazione disegnata in una riforma strutturale (la quater) da mettere subito a terra e un rigoroso recupero della legalità, pena l’utenza sempre più sofferente, il debito alle stelle, la nazione allo sbando e soprusi diffusi della politica.
Un difetto “contabile” divenuto strutturale, in una sanità che non funziona, che fa debiti perché spende male, che mette impropriamente e strumentalmente mano sui conti per manipolarli, che gode di un management – che gira da una parte all’altra del Paese peggio di come avveniva con i vecchi cappotti rivoltati – francamente inadeguato alle esigenze.
Per non parlare di quanto, di gravissimo, è stato scoperto e stigmatizzato dalle Sezioni di controllo regionale della Corte dei conti, specie in sede di parificazione dei bilanci regionali, che svolgono attentamente il loro lavoro. Di quelle Sezioni riluttanti ad ogni cortesia indebita, così come avvenuto nella Città eterna e in quella che fu la prima capitale (Torino), per quattro anni dopo l’Unità d’Italia. Una situazione che ha attratto il naturale e obbligatorio interesse delle Procure della Repubblica delle due medesime città. Senza contare quanto di peggio in gran parte del Sud, ove tuttavia i controlli in tal senso non sono esempi di brillante attività.
La sanità laziale
Nei giorni scorsi ci notiziano di intervenute pressioni sui giudici istruttori del controllo per evitare di portare a compimento la loro attività di verifica di qualche bilancio sanitario.
L’accaduto dimostra che alla sanità occorre, oltre all’anzidetta riforma strutturale, una riforma che rafforzi anche l’indipendenza dei giudici preposti al controllo, unico argine alle illegalità e alla distruzione della capacità del bilancio sanitario di salvaguardare i LEA.
Ma non solo, ciò che necessita è, e subito: un assoluto rispetto delle leggi; ragionevolezza nella cura quotidiana della contabilità; cura severa nella erogazione della spesa. Ma anche una governance indipendente dalla politica che la nomina. Infine, occorrono sicuri e prevedibili, efficaci meccanismi di responsabilità sanzionata dai decisori medesimi. In difetto, abbisogna di una adeguata sorveglianza giudiziaria, sia da parte della giustizia ordinaria che contabile. Ciò in quanto tutto ciò è difficile da rendere positivo nell’ordinario essendo insufficiente e debole la vigilanza che possono svolgere i componenti degli organi di revisione sempre sotto pressione politica.
La vicenda romana dimostra che se c’è un giudice a Berlino e gli abusi possono essere fermati a tutela dei cittadini e della stessa buona politica è perché c’è un giudice. Al riguardo, non servono “super presidenti” di sezione capaci di stabilire lo ius ac necis dei collegi e dei giudizi che sono chiamati a svolgere. Tutto il contrario, insomma, di quello che si vuole realizzare con la riforma della Corte dei conti.
In buona sintesi, nel suo ambito o si recupera la legalità a regime oppure tutto va farsi benedire, con l’amara conseguenza di rendere l’utenza sempre più sofferente, il Paese con il debito alle stelle e la Nazione, specie quella più povera, allo sbando totale.
Ebbene il Lazio è messo davvero male, a causa delle gestioni insane risalenti alle passate leigislature e dalla sottovalutazione che se ne fa oggi, in termini di interventi di risanamento, difficili a convivere con la crescita del consenso politico.
Lo aveva certificato la Sezione di controllo per il Lazio, con una sentenza che dovrebbe rappresentare lo strumento didattico di come debba essere trattata la sanità dalle aziende sanitarie, alle Regioni e agli organi di revisioni di entrambi siffatti generi di istituzioni territoriali nonché un manuale da seguire dalle Sezioni regionali di controllo che sul tema sono da anni prive della necessaria iniziativa a tutela del patrimonio pubblico.
Lo aveva fatto cogliendo il pretesto della parificazione del rendiconto del 2022 della Regione Lazio, con la sentenza nr. 148 del 14 novembre 2023 (rel. Pinto), un pregiato mastodonte di 84 pagine accompagnato da una relazione lunga dieci volte tanto (per l’esattezza 844 pagine).
Si trattava di un’analisi che faceva il paio con le pronunce che aveva iniziato a tirare fuori enormi buchi di bilancio nelle aziende sanitarie, per effetto dell’abuso di partite transitorie e modifiche “imperative” ai saldi del patrimonio netto e di conto economico.
La Sezione di controllo romana ha dimostrato e preteso, rispettivamente, come si debbano istruire le parifiche e come si debbano amministrare le Regioni e le aziende sanitarie. Determinando alla fine circa 171 milioni di maggiore disavanzo 2022, cui si sarebbero dovuti aggiungere ad incremento del saldo negativo le contestate ed eccepite “note di credito non chiuse” per svariate centinaia di milioni (pagg. 797 e ss. della relazione) e le consistenti reintegrazioni dei fondi, scoperti in una condizione di assoluta incongruità.
Una problematica che piuttosto che dare filo da torcere alle aziende sanitarie al bilancio consolidato regionale e a quello del Ssr laziale, è passato un po’ in sordina con la Regione pronta a vantare di aver trovato la soluzione senza portare ad economico le enormi insussistenze dell’attivo generate da crediti quasi miliardari inesistenti.
La sanità sabauda
Nondimeno grave la situazione della sedicente AOU “Città della Salute” torinese. Un classico esempio dell’errata applicazione della contabilità armonizzata, secondo il dettato del d.lgs. 118/2011, è rinvenibile nei bilanci della città della Mole Antonelliana, con una azienda ospedaliera pseudo universitaria protagonista di tre incorporazioni, anch’esse fatte male, di altrettanti importanti ospedali torinesi: Molinette, OIRM-S. Anna e CTO-Maria Adelaide.
Tutto questo bailamme ha portato l’azienda ospedaliera non universitaria a essere attenzionata:
– dalla magistratura penale, che si è mossa con richiesta al Gup di un rinvio a processo per diversi manager, a firma dei PM Mario Bendoni e Giulia Rizzo, per avere i medesimi co-generato bilanci falsi del 2024 con enorme nocumento del bilancio della sanità regionale e, dunque, del rendiconto regionale consolidato risalente agli anni indagati; –
– da quella contabile che ha rappresentato nelle sue comunicazioni formali: falso ideologico in atto pubblico; mancata contabilità separata per i quattrini incassati con l’extramoenia; falsi nei bilanci reiterati; un sostanziale buco di ben oltre 10 milioni di euro per crediti appostati ma mai incassati.
La cosa non si è fermata qui, la richiesta di processo per sedici indagati va avanti. Un esercito di manager e componetne dei collegi sindacali al quale la Giustizia chiede il conto di una voragine di passività prodotte in dieci anni che, a conclusione, varrà il risarcimento di un danno più consistente del “buco” emerso nel percorso istruttorio.
Per intanto un gran lavoro ricognitivo da cui fare emergere il valore del patrimonio netto negativo, cui dovrà impegnare tutti i saperi del neonominato commissario Livio Tanchida.
La ricetta è il cambiamento radicale
A ben vedere, l’Italia della sanità è il peggiore esempio ovunque della cattiva gestione: quella passata per il massimo spreco di risorse; l’attività inutile degli organi di revisione aziendale e regionali; l’inattività dei sindacati posti anche essi a tutela del patrimonio pubblico nell’interesse dei lavoratori; di controlli periodici della giustizia contabile spesso superficiali; una responsabilità gestoria non affatto illuminata inquinata da management incapaci e da decisori pubblici complici della malagestio; un uso clientelare e smoderato dell’accreditamento ben oltre i limiti di un fabbisogno relativo del ricorso al privato, spesso mai verificato.
Ettore Jorio