Perché è importante inserire dei criteri per l’uscita dai Piani di rientro insieme a riforme strutturali

Perché è importante inserire dei criteri per l’uscita dai Piani di rientro insieme a riforme strutturali

Perché è importante inserire dei criteri per l’uscita dai Piani di rientro insieme a riforme strutturali
Bene l’iniziativa della Conferenza delle Regioni di individuazione di due criteri rigidi ed essenziali propedeutici per arrivare all’uscita dai Piani di rientro (ultimi tre esercizi in equilibrio economico-finanziario e adempimento in tutte e tre le aree previste dal Nuovo Sistema di Garanzia nell’ultimo anno di valutazione). Ma non la ritengo tuttavia esaustiva senza l’approvazione di riforme strutturali.

Ho letto la saggia dichiarazione dell’assessore emiliano-romagnolo, Massimo Fabi, che è coordinatore della Commissione salute della Conferenza delle Regioni (si veda qui…). Più di tutto mi ha trovato d’accordo la speranza di cambiare il mondo dell’assistenza socio-sanitaria.

Ragionevole la sua ricetta di individuare le regole di exit strategy dalla angosciosa situazione dei Piani di rientro della sanità, cui sono ancora sottoposte diverse Regioni. Ciò è avvenuto con una normativa di carattere emergenziale (perdurante anche oggi), finanche consapevole di spostare, ricorrendo ai commissariamenti ad acta, la gestione delle Regioni in capo al Governo, in esecuzione dell’art. 120, comma 2, della Costituzione.

Una new entry sistemica, quest’ultima, che ha prodotto in cinque Regioni la cessione della gestione della salute ad un organo monocratico governativo che, invero, ne ha combinato di tutti i colori, spesso con la complicità degli organi di controllo territoriali e dei Tavoli romani. Tutto questo è stato anche affrontato male anche da diverse Sezioni di controllo della Corte dei conti che, al di là delle verifiche fatte spesso all’acqua di rosa, hanno consentito parifiche di rendiconti regionali non consolidati con quelli afferenti alla sanità, nonostante di gran lunga impegnativi per le Regioni, sino a coinvolgere il 70% dei loro bilanci.

Lea e conti in ordine rappresentano il paradigma di Massimo Fabi per ritornare alla gestione ordinaria, tradizionalmente territoriale affidata alle Regioni dalla revisione del Titolo V, Parte II, della Costituzione del 2001. In una tale ottica le Regioni propongono ciò che manca per celebrare l’uscita dai Piani di rientro. Di certo, intendendo con ciò di superare le assurdità trascorse che hanno accompagnato l’uscita dai commissariamenti ad acta, intorno ai quali esiti vige un certo mistero, per l’appunto le loro exit strategy, quanto all’ossequio del principio di continuità dei bilanci, dell’armonizzazione dei medesimi messi in relazione alla contabilità che li sorregge. Troppa la discrezionalità che ha caratterizzato un periodo lungo circa 15 anni, dove se ne sono viste di cotte e di crude. Al riguardo, non è affatto da prendere sottogamba l’affermazione dell’assessore emiliano-romagnolo allorquando afferma che «mentre la normativa chiarisce con grande dettaglio l’iter e i presupposti per l’entrata in Piano di rientro, altrettanto non fa per l’uscita, che resta così lacunosa da finire per diventare discrezionale»

Ed è proprio qui il casus belli: la discrezionalità.

Quella che ha addirittura, tra l’altro:

  • influenzato la qualità ovvero l’assenza delle leggi attuative di dettaglio regionale, dei principi fissati dalla legge statale, nel concepire la propria organizzazione;
  • fatto saltare i principi applicativi del d.lgs. 517/1999 che disciplina il rapporto tra Ssn e Università, abusati dalle Regioni (fatta eccezione per le AOU di Salerno e Udine) a tal punto da consentire l’imbarbarimento del sistema complessivo, con l’esistenza di 28 sedicenti AOU su 30, con al seguito una perpetrazione di violenza alla legislazione, pretesa dalla legge delega 418/1999 (la stesa che ha prodotto la riforma ter) che impone i concorsi pubblici nazionali per individuare i già primari;
  • compromesso ogni genere di programmazione, prima fra tutte quella afferente al fabbisogno epidemiologico territoriale per decidere quanti e dove rilasciare accreditamenti in favore dei privati, oramai egemoni nell’assistenza, a discapito di quella pubblica;
  • determinare a rilento i Lea, introdotti nel 2001 e rivisti dopo 16 anni, più esattamente nel 2017, trascurando con l’esito della Commissione Cassese la loro revisione attualizzata e la valorizzazione dei costi/fabbisogni standard per renderli esigibili ovunque.

Concludo, plaudendo all’iniziativa della Conferenza delle Regioni di individuazione di due criteri rigidi ed essenziali propedeutici per arrivare all’uscita dai Piani di rientro (ultimi tre esercizi in equilibrio economico-finanziario e adempimento in tutte e tre le aree previste dal Nuovo Sistema di Garanzia nell’ultimo anno di valutazione). Ma non la ritengo tuttavia esaustiva senza l’approvazione di riforme strutturali che, se mancate, farebbero rientrare dalla finestra novellate sottomissioni ai Piani di rientro che si vogliono oggi accompagnare all’uscita.

Ettore Jorio

Ettore Jorio 

03 Ottobre 2025

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