Gentile Direttore,
l’obesità e il sovrappeso rappresentano oggi una vera sfida anche in oncologia. Non si tratta solo di un fattore di rischio per l’insorgenza di diversi tumori, ma di una condizione che può influenzare la prognosi e la risposta alle terapie. Nel tumore al seno, in particolare, stiamo comprendendo sempre meglio quanto il peso corporeo possa incidere sugli esiti dei trattamenti e sulla tollerabilità delle cure. Negli ultimi mesi abbiamo pubblicato due studi che offrono spunti importanti per la pratica clinica quotidiana. Uno condotto nell’ambito del trial APHINITY, recentemente pubblicato sull’European Journal of Cancer, e l’altro condotto nell’ambito del trial GIM2, pubblicato sulla rivista ESMO Open. A dimostrazione della sua importanza, il tema dell’obesità in oncologia sarà affrontato il 20 ottobre in una sessione speciale del prossimo congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) che inizierà a Berlino giovedì.
Nel primo l’analisi si è concentrata sulle pazienti con tumore al seno HER2-positivo in fase iniziale, un tipo di cancro che tende a crescere velocemente. Su quasi 5.000 pazienti analizzate, il 47% era in sovrappeso o obesa, cioè con un indice di massa corporea (BMI) superiore a 25. Qui abbiamo scoperto un’associazione preoccupante: il sovrappeso e l’obesità peggiorano la prognosi del tumore HER2-positivo. In particolare, le pazienti con un BMI superiore a 25 sembrano avere un aumentato rischio di recidiva o morte del 27% rispetto alle pazienti normopeso o sottopeso. Inoltre, lo studio ha rilevato che le pazienti sovrappeso e obese hanno un rischio maggiore del 38% di morire per qualsiasi causa rispetto alle pazienti normopeso/sottopeso. Un altro dato interessante è che le pazienti con il BMI più alto sono anche quelle che interrompevano più spesso la chemioterapia post-intervento rispetto alle donne normopeso (14% vs. 9%). Questo suggerisce che l’eccesso di peso può rendere la terapia più difficile da tollerare.
Notizie migliori arrivano invece dall’analisi condotta nell’ambito dello studio GIM2, la quale offre un messaggio di grande utilità pratica, focalizzandosi sulle donne con tumore al seno ad alto rischio di recidiva con linfonodi positivi, cioè in fase iniziale ma che ha iniziato a diffondersi ai linfonodi vicini. Questo studio mette a confronto la chemioterapia tradizionale a ‘intervallo standard’ con la più intensa ‘dose-dense’, somministrata in un arco di tempo più breve. In questa analisi su 1.925 pazienti, abbiamo scoperto che l’eccesso di peso non peggiora di per sé la prognosi a lungo termine (15 anni). Il regime dose-dense è risultato il più efficace, indipendentemente dal fatto che la paziente fosse normopeso, sovrappesa o obesa. I numeri sono chiari: nelle pazienti normopeso la chemioterapia “dose dense” riduce il rischio di recidiva del 13% rispetto a quella standard, nelle pazienti in sovrappeso del 28% e in quelle obese addirittura del 30%.
Un altro aspetto cruciale è che, in questo studio, alle pazienti obese non è stata somministrata una dose di chemioterapia inferiore per via del loro peso, un problema noto in altri contesti clinici. Tuttavia, le pazienti obese hanno mostrato una maggiore incidenza di alcuni effetti collaterali gravi, come la neuropatia (5,4%) e il dolore osseo (4,7%), rispetto alle normopeso (2,2% e 2% rispettivamente). La paura di sottodosare la chemioterapia per evitare la tossicità nelle pazienti più pesanti non ha fondamento. Il regime più efficace, quello’ dose dense’, deve essere il trattamento di prima scelta per tutte le pazienti ad alto rischio di recidiva, indipendentemente dal loro BMI.
Lucia Del Mastro
Professore Ordinario e Direttore della Clinica di Oncologia Medica, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino – Università di Genova