Cartabellotta (Gimbe): “Con il definanziamento della sanità la spesa a carico del cittadino oggi è del 23%”

Cartabellotta (Gimbe): “Con il definanziamento della sanità la spesa a carico del cittadino oggi è del 23%”

Cartabellotta (Gimbe): “Con il definanziamento della sanità la spesa a carico del cittadino oggi è del 23%”
Il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, approfondisce il tema sulla tutela del diritto alla Salute per il cittadino sottolineando alcuni dati che rilevano quello che è stato il definanziamento della sanità pubblica in questi ultimi 15 anni, con il conseguente aumento della spesa sanitaria anche a carico del cittadino, e che mette in difficoltà le fasce della popolazione socio-economiche più fragili.

“Permettetemi di partire dalla parola che sta nel titolo, ‘diritto o privilegio’ – ha spiegato Cartabellotta -, il diritto alla tutela della salute, oggi, nella nostra analisi, è fondamentale; quando c’è la salute, si dice, ‘c’è tutto’. L’esigibilità al diritto alla tutela della salute condiziona a cascata l’esigibilità di tutti gli altri diritti: il lavoro, lo studio, le libertà individuali. Ma questo diritto non è auto esigibile, richiede un’opera pubblica che si chiama servizio sanitario nazionale. Quindi questo diritto è legato a quando il servizio sanitario nazionale funziona, e tanto più questo servizio si indebolisce, tanto meno esigibile sarà il diritto alla tutela della salute, condizionando conseguentemente anche quello di tutti gli altri citati. E quando le cose vanno male, il cittadino non ha strumenti per capire con chi prendersela. Se la prende con lo Stato perché ha assegnato poche risorse, se la prende con la Regione perché non è capace di organizzare e pianificare l’assistenza sanitaria, se la prende con l’ospedale e la Asl perché non gli eroga la prestazione. Anche la collaborazione tra Governo e Regione, per tutta una serie di ragioni, spesso diventa un conflitto istituzionale che si scarica a valle su tutte quelle che sono le fasce socio-economiche più fragili della popolazione”. 

“Fatta questa premessa – ha proseguito il presidente Gimbe -, quali sono gli elementi fondamentali considerati nel rapporto Gimbe. Innanzitutto, siamo di fronte ad un definanziamento ormai cronico della sanità, nel 2010 avevamo una spesa pubblica pro capite per ogni cittadino quanto la media dei Paesi europei, una cifra accettabile, permetteva di garantire una sostenibilità; anno dopo anno poi, tra tagli e definanziamenti sotto tutti i governi che si sono susseguiti, siamo arrivati alla pandemia con circa 500 euro di differenza pro capite, ossia circa 30 miliardi. Dopo la pandemia, con gli anni ancora a seguire, nel 2024 siamo arrivati a 830 euro pro capite, che sono circa 45 miliardi di euro. Qualcuno mi deve spiegare se io ogni anno spendo 45 miliardi in meno della media dei Paesi europei come posso fare a mantenere quella grande opera pubblica fatta di strutture, di tecnologia, di farmaci innovativi costosissimi, ma è fatta soprattutto di personale sanitario che deve essere anche adeguatamente retribuito”.

“Detto questo, qual è la conseguenza logica di questo definanziamento, che della spesa sanitaria totale di circa 186 miliardi di euro, di questi, circa 41,3 miliardi li pagano i cittadini. Questa cifra assoluta supera abbondantemente il 15% della spesa a carico dei cittadini, e anche se nessuno lo ha ancora detto, quella percentuale sta ad indicare che noi siamo già in un sistema misto. Quello oggi che è dunque l’elemento che contrasta molto col nostro principio universalistico, è che quel 23% di spesa a carico dei cittadini rende misto un servizio sanitario formalmente sulla carta ‘pubblico’”.

“E il dato che ci ha preoccupato ancora di più è che nel 2024 la spesa dei cittadini subisce una sorta di appiattimento della curva e addirittura una leggera flessione, qualcuno potrebbe pensare che le cose stanno migliorando, e invece non è così. Cosa è successo. Nel 2024 ci sono state 5,8 milioni di persone che hanno rinunciato alle prestazioni, od hanno limitato le proprie spese sanitarie in maniera costante durante l’anno, o in alcuni periodi dell’anno. Di fatto oggi in un sistema universalistico, i cittadini indigenti a cui la Repubblica dovrebbe garantire le cure gratuite, oggi non riescono a pagarle di tasca propria. L’Istat qualche settimana fa ci ha detto che oggi 5,7 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà assoluta. Questo è il vero problema della Sanità, che non siamo più in grado oggi di sostenere un sistema universalistico”.

“Allora, se esiste una politica con la P maiuscola, deve poter dire una volta e per tutte che se non possiamo più permettercelo, questo sistema esso va riformato. Come lo possiamo riformare. Da un lato abbiamo la spesa tra quelle europee come la spesa pubblica più basse, ma dall’altro abbiamo i Livelli essenziali di assistenza più ampi possibile, anche se non sono esigibili”. 

“Quali sono le principali criticità della Sardegna. C’è un tema di mobilità sanitaria che in termini assoluti non è una cifra sproporzionata, ma lo è se lo andiamo a guardare in termini pro capite. C’è un problema enorme di carenza dei medici di famiglia, che riguarda un po’ tutta Italia, ma in Sardegna c’è stato il calo maggiore dal 2019 ad oggi, meno il 33%, perché evidentemente le aree interne, quelle scarsamente popolate, non sono più appetibili da questo punto di vista. Mentre per quanto riguarda i dipendenti pubblici, la Sardegna occupa una buona posizione come numero di medici; con gli infermieri invece è un problema di enorme gravità a livello nazionale, basti pensare che nell’ultimo anno accademico 2025-26, il primo anno nella storia di questa facoltà di laurea, il rapporto tra numero di iscritti e numero di domande è stato sotto la metà. Quindi non c’è stata nemmeno una persona per ogni posto disponibile”. 

“Si comprende bene che oggi il vero tema della rimotivazione del personale della sanità è quello di restituire l’attrattività al servizio sanitario nazionale. Se uno dunque mi avesse chiesto dove investire i 2 miliardi e quattro dell’ultima manovra finanziaria in discussione, l’obiettivo sarebbe stato rimotivare il personale sanitario. Pensando ad un piano assunzionale, se gli infermieri non ci sono, o facciamo l’importazione dall’estero, oppure il piano assunzionale non può funzionare. Disperdere nella bozza della legge di bilancio due miliardi e quattro, a parer mio, non rappresenta l’indicazione di un rafforzamento del servizio sanitario nazionale” – ha concluso Cartabellotta. 

Elisabetta Caredda

29 Ottobre 2025

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