Gentile Direttore
anche se tutti siamo convinti che è “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (Dante Alighieri, poeta, 1321), dobbiamo riconoscere che “non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro interesse personale” (Adam Smith, economista, 1790). Questo vale anche per la sanità. Vorremmo che la salute non fosse una merce, che il paziente non fosse un cliente, che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non fosse una azienda. Dimentichiamo che il profitto è uno dei motori fondamentali dell’animo umano e ne testimonia il suo ineliminabile egoismo.
Molti hanno provato ad abolirlo ma nessuno ci è riuscito. Il Mercato sanitario vive più di sogni, illusioni, inganni che di scienza, evidenze e prove di efficacia e la medicina viene intesa più come bene di consumo che come strumento di salute. La volubilità è una componente importante dell’animo umano. “…gli uomini sono disiderosi di cose nuove; intanto che così desiderano il più delle volte novità quelli che stanno bene, come quelli che stanno male: perché, come altre volte si disse, ed è il vero, gli uomini si stuccano nel bene, e nel male s’affliggono” (Niccolò Machiavelli, politico, 1527).
Senza il necessario rigore scientifico il mercato propone risposte inventate a bisogni veri. Ma non è colpa del mercato. Il mercato siamo noi, esseri umani imprevedibili, persone perbene e perfetti stronzi, generosi filantropi e infidi magliari. Nel mercato della salute, quando non temperato se non dall’amore cristiano almeno dal rispetto per l’uomo, il malato può essere visto come un paziente da curare e possibilmente guarire, una persona da aiutare, un cliente da soddisfare, un’occasione da sfruttare, una cavia da sperimentare, una pecora da tosare o un pollo da spennare.
Tutti amiamo San Francesco ma la maggior parte è più pronta a imitare il padre, Pietro di Bernardone. Sono i soldi che fanno girare il mondo e il metro principale di valutazione di una persona nella società. Anche un Santo come San Giovanni Bosco diceva: “Sì, il denaro è lo sterco del diavolo, ma concima così bene”.
Potremmo dire che il mercato è la condizione naturale della vita sociale mentre il SSN è una utile e necessaria invenzione per permettere di garantire le cure a tutti. È il SSN che ha bisogno del Mercato e non viceversa. Con il Mercato è stato possibile compiere grandi progressi nella diagnosi, terapia e riabilitazione grazie, però, all’apporto fondamentale del metodo scientifico perché il Mercato senza scienza produce profitto ma non salute. Se è il denaro che fa girare il mondo è la scienza che ne indica la direzione giusta.
Al Mercato piace più la tecnologia guidata dalla ideologia in quanto la tecnologia di per sé non ha un fine. Al contrario lo Stato tramite il SSN deve produrre salute e non profitto. Benessere e salute hanno quindi traiettorie diverse nel progetto di vita di una persona, spesso contrastanti. Entrambe non possono essere soddisfatte dal SSN dal punto di vista economico, considerata soprattutto la estrema soggettività del benessere. Bisogna fare quindi difficili scelte individuali e collettive, di convenienza personale e sociale.
Tra le proposte interessanti quella di Silvio Garattini di “trasformare il SSN in una grande Fondazione per avere il vantaggio di poter impiegare le regole che oggi sono permesse agli enti privati che vivono grazie ai fondi pubblici del SSN senza perdere la caratteristica della rigorosa situazione di no-profit tipica di tutte le attività pubbliche”.
Un utopistico Mercato Sanitario Nazionale no-profit per produrre la salute necessaria secondo un metodo condiviso che non può che essere quello scientifico e rendere sostenibile la spesa?
La peculiarità principale della medicina pubblica dovrebbe essere quella di affidarsi a veri imprenditori pubblici che abbiano l’obiettivo di produrre salute e ridurre il fatturato, al contrario di quella privata, tesa per sua natura al profitto e ad un indefinito benessere e di quella amministrata tesa più a produrre burocrazia autoreferenziale che buona salute. Se la intendiamo nel modo classico, l’industria della salute non è diversa dalle altre e finisce per rispondere alle esigenze degli investitori, invece che ai bisogni degli ammalati.
L’obiettivo della medicina pubblica è invece quello di avere meno malattie e curare bene quelle inevitabili. Quella privata ha bisogno di più malati o presunti tali e più prestazioni, quella amministrata di percorsi che rendano legittimo il potere burocratico. Una vera tutela della sanità pubblica ha bisogno di meno malati e meno prestazioni perché deve puntare più sulla responsabilità e sulla capacità di adattamento ed autogestione individuale. La medicina commerciale è basata più sul consumismo sanitario, sulle diagnosi e trattamenti non necessari, piuttosto che sull’efficacia, sicurezza, sostenibilità ed equità delle cure. Essa è stimolata sia dal medico che dal paziente. Dal primo per ridurre le proprie ansie per una diagnosi incerta, nell’ambito della medicina difensiva, o per puro profitto. Dal secondo per l’ansia di una futile conoscenza della propria salute, per paura percepita o indotta, per diffidenza, per fede cieca nella tecnologia, per necessità di speranza e illusione.
Puntare sulla salvaguardia della salute lasciando il benessere e il profitto al Mercato ma finanziando adeguatamente il SSN affidandolo ad imprenditori che abbiano l’obiettivo di produrre salute e ridurre il fatturato in un ipotetico Mercato Sanitario Nazionale no-profit, potrebbe essere una equilibrata soluzione per salvarlo da una evidente ed inesorabile crisi. Se il valore economico aggiunto non si accompagnasse al valore terapeutico aggiunto aumenteremmo sia il PIL che il debito pubblico senza alcun beneficio per la salute.
Franco Cosmi
Medico cardiologo. Perugia