La mobilità sanitaria: patologia cronica di sistema?

La mobilità sanitaria: patologia cronica di sistema?

La mobilità sanitaria: patologia cronica di sistema?

Gentile Direttore,
in una lettera pubblicata ieriho già affrontato il tema della mobilità sanitaria prendendo spunto dal grido di allarme del Presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele Di Pasquale, circa la non sostenibilità della “troppa mobilità attiva” soprattutto a favore delle Regioni del Sud. Per dare un contributo al dibattito che si è già avviato al riguardo ho nel primo intervento fornito alcune informazioni sulle fonti informative in tema di mobilità sanitaria, sulle regole che ne supportano la gestione da parte delle Regioni e sui criteri di calcolo dell’impatto economico dei saldi sui bilanci regionali. In questo secondo intervento cercherò di inquadrare la mobilità sanitaria in una visione complessiva dal momento che io la considero a rischio di rappresentare una vera e propria patologia cronica di sistema. Ovviamente questo intervento vuole essere solo uno stimolo alla riflessione perché i temi affrontati sono solo accennati proprio in una funzione di stimolo.

In premessa va ricordato come la mobilità sanitaria sia anche, quando contenuta in limiti fisiologici, un diritto (alla scelta del luogo di cura) e una opportunità sia per i cittadini che per le Regioni con una offerta “carente”. Nelle dimensioni che ha assunto, la mobilità sanitaria in Italia presenta almeno quattro elementi di carattere “patologico” che la configurano come una potenziale malattia di sistema con carattere di cronicità. Questi elementi sono a mio parere i seguenti (elementi ovviamente intrecciati tra loro): la iniquità sociale, lo squilibrio nella offerta Nord-Sud, il ruolo sproporzionato del privato e la inerzia di sistema nel governo del problema. Vediamoli uno alla volta.

Per quello che riguarda la mobilità come forma di iniquità basti pensare ai costi sostenuti dalle famiglie per “sopportarla”. Sono stati di recente, a solo titolo di esempio, pubblicati e commentati qui su Qs i dati del rapporto Favo (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) che fotografano per la prima volta le disuguaglianze nell’assistenza ai malati oncologici in età pediatrica e adolescenziale: al Sud fino al 90% dei pazienti costretto a migrare e, nonostante l’80% di guarigioni, le famiglie affrontano in media 35mila euro di spese non coperte dal Ssn durante le cure. Tornando ai dati Agenas del Rapporto Mobilità 2024 con dati 2023 sono stati oltre mezzo milione i ricoveri in mobilità effettiva fuori Regione, la stragrande maggioranza dei quali a carico delle Regioni del Mezzogiorno. Basti prendere l’ultimo Rapporto sulle Reti oncologiche dell’Agenas che documenta come l’indice di fuga per le patologie oncologiche calcolato in base alla mobilità effettiva sia del 15,18% al Sud (con una punta del 38,51% in Molise e del 34,76 in Calabria) contro il 7,31% del Centro e il 6,48% del Nord. Questi costi a carico delle famiglie vengono per fortuna mitigati dall’aiuto di Associazioni del terzo settore come CasAmica.

Questo tema dei costi sociali ci porta direttamente al secondo punto relativo allo squilibrio nella offerta di servizi sanitari tra Nord-Sud. Anche qui per comodità torno ai dati dell’ultimo Rapporto sulle Reti Oncologiche che documenta la differenza tra le varie Regioni in termini di Indice di Bacino e cioè di percentuale di prestazioni ambulatoriali e ospedaliere di chemioterapia e radioterapia erogate ai pazienti entro i 60 minuti o 100 km di percorrenza dal luogo di residenza, sul totale delle prestazioni ambulatoriali e ospedaliere per area territoriale di residenza. Nelle ultime 5 posizioni ci sono tutte le Regioni del Sud con la Calabria che ha un indice di bacino (15) che è poco più della metà del valore dello stesso indice in Lombardia e in Emilia-Romagna. Un tema particolarmente drammatico legato agli squilibri nella offerta tra Nord e Sud è quello della migrazione sanitaria in età pediatrica meritevole di uno specifico approfondimento.

Il terzo elemento “patologico” è il ruolo sproporzionato, e aggiungerei malgovernato, del privato accreditato nei flussi di mobilità. Anche solo limitandoci ai ricoveri i privati hanno una incidenza nella produzione in mobilità attiva molto superiore a quella che hanno sulla produzione interna. Se prendiamo i dati dell’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale edizione 2023 si può stimare pari a circa il 16% l’incidenza della produzione di ricoveri da parte delle Case di Cura accreditate su totale dei ricoveri effettuati nel 2023 dalle strutture pubbliche e dalle Case di Cura accreditate. Se si va nel Portale statistico dell’Agenas nella sezione relativa alla Mobilità sanitaria si vede che il peso sulla produzione in termini di numero di ricoveri in mobilità attiva è invece del 55% e sale al 59% quando si fa una stima in termini di valore dei ricoveri. Questi dati sono assolutamente grezzi e da analizzare molto più nel dettaglio, ma sono chiarissimi nel far emergere la mobilità sanitaria come campo prevalente d’azione delle strutture private. Questo si trascina dietro una serie di ricadute importanti: si tratta di una produzione “fuori committenza” e quindi non governata in termini di volumi e di contenuti (sulla appropriatezza qui non discutiamo) e soprattutto a rischio di aumentare e di sottrarre risorse umane al Ssn. Questo punto merita di essere approfondito.

Le strutture ospedaliere private in Italia operano mediamente in condizioni di forte tutela rispetto alle criticità di sistema: partecipano raramente alle attività in urgenza che coinvolgono la quasi totalità delle strutture pubbliche, possono permettersi di sopravvivere anche con un numero limitato di posti letto (in base al DM 70/2015 ne bastano 70 per acuti), possono selezionare poche linee produttive in base a principi di efficienza e convenienza (solitamente di area chirurgica o interventistica) ed esercitare una forte capacità di attrazione nei confronti dei professionisti che in quelle stesse aree trovano molte difficoltà ad operare nelle strutture pubbliche pressate dalle urgenze e dai vincoli economici e di personale. Non è certo un caso che a lamentarsi della troppa mobilità attiva siano solo le Aziende pubbliche. Di fatto in molte situazioni il sistema sanitario pubblico è come se si facesse concorrenza sleale da solo. Ma un altro dato è preoccupante: la “capacità installata” del privato e quindi le sue potenzialità operative sono molto superiori alla loro operatività attuale. Sempre tornando all’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale edizione 2023 il tasso di utilizzo dei posti letto delle strutture ospedaliere pubbliche è stato nel 2023 dell’80% contro il 50% delle Case di Cura Private Accreditate. Ciò vuol dire due cose: che quei posti letto dei privati non ancora utilizzati serviranno sempre di più per l’attività di ricovero coperta dalle Assicurazioni o pagata dai privati e che mentre la produzione del pubblico è vicina alla saturazione quella del privato può accogliere quella che il pubblico non garantisce. Tutto bene, uno potrebbe dire, se si tratta di produzione “buona”. Se non fosse che con la produzione se ne andrebbero i professionisti e questo è un fenomeno che va invece invertito. E per questo, tornando alla mobilità, la produzione fuori committenza dei privati in mobilità attiva va ridotta.

Ultima criticità in tema di mobilità sanitaria: l’inerzia del sistema nell’affrontarla. Da decenni ormai si parla di accordi di confine, ma questi stentano a diventare uno strumento di governo. Ma ancor più vecchio è il problema degli squilibri nella offerta tra Nord e Sud e altrettanto vecchio il governo del rapporto coi privati che passa anche da una riscrittura del DM 70 nella parte che li riguarda.

Per concludere ben vengano le esternazioni (in verità molto approssimative) di Presidenti e Assessori delle Regioni sul tema della mobilità sanitaria se serviranno a far uscire l’argomento dal porto delle nebbie in cui è fermo da tanto.

PS Mi permetto un ringraziamento e un saluto finale ai componenti del Gruppo Tecnico che si occupa della mobilità della Commissione Salute delle Regioni e delle Province Autonome (ne ho fatto parte per diversi anni anche io) che fa girare da decenni l’infernale macchina degli scambi di mobilità (comprensiva di tariffe, controlli di appropriatezza e tutto il resto) con il coordinamento prima della Regione Umbria e attualmente della Regione Emilia-Romagna.

Claudio Maria Maffei

Claudio Maria Maffei

17 Novembre 2025

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