Obiettivi incompatibili & alternativi

Obiettivi incompatibili & alternativi

Obiettivi incompatibili & alternativi

Gentile Direttore,
nel Suo recente articolo (Manovra e Sanità, QS,7 novembre 2025) si ipotizzava, per il SSN, il rischio di una mancanza di visione. Dal nostro punto di osservazione, periferico, la mancanza di visione non sembra una idea lontana ma una palese evidenza, verosimilmente, immodificabile.

La regionalizzazione della sanità e l’aziendalizzazione, rigidamente ordinate ed inserite in Costituzione, non permettono sostanziali modifiche. Lo “status quo” resta solido in sella in funzione di “ottenere qualche briciola per il proprio silos”. Solo una utopistica procedura parlamentare molto simile, nelle tecnicalità, ad un patto bipartisan potrebbe restituire alla sanità ciò che da tempo invoca. Il contesto, ed in particolare l’assistenza territoriale di base, dovrà però aspettare. Molto. Le normative vigenti ancorate a logiche novecentesche difficilmente riusciranno a rimettere il latte versato nel suo contenitore.

E’ lecito chiedersi, oggi, se gli esiti delle così dette “riforme” sanitarie Costituzionali hanno creato, a livello territoriale, un’organizzazione assistenziale di servizio o di sistema.

Un servizio sanitario pubblico dovrebbe prestare la massima attenzione alla persona adattandosi agli ambiti professionali e comunitari dei territori, delle aree interne e delle periferie.

Un sistema può essere invece molto burocratico dove gli apparati prevalgono sulle persone e l’autoreferenzialità relega in secondo piano i bisogni di cittadini e professionisti. Le gestioni oligarchiche/piramidali difettano in trasparenza e le responsabilità sono labirintiche. Le comunità assistenziali si sentono completamente estromesse dai processi decisionali sanitari che riguardano i loro territori. Il “sistema” diventa quindi l’emblema di ciò che impedisce al “servizio” di essere davvero tale.

Le conseguenze bio-psico-sociali sulle operatività comunitarie, gravate dalle asimmetrie relazionali, colpiscono sia operatori che cittadini e sono state studiate, nella seconda metà del secolo scorso, da Christina Maslach. Oggi queste analisi si sono allargate a ulteriori fenomeni in considerazione dell’imponente influenza determinata dalle nuove tecnologie.

Nell’ultimo ACN (2024) inerente il triennio 2019-2021 (orribilmente confuso e ampiamente superato ma che, tuttavia, ha dato vita ai numerosi Accordi Integrativi Regionali AIR del 2025) non viene menzionata nemmeno una volta la possibilità di una qualche iniziativa “sperimentale” che avrebbe permesso almeno di riconoscere quella minima condizione di autonomia di cui la sanità nazionale necessiterebbe come l’aria che si respira. Nel testo dell’AIR della Regione E-R (2025) il concetto di sperimentazione viene citato 3 volte: due volte per obiettivi meramente funzionali e una volta per promuovere gli incarichi a tempo determinato del ruolo unico senza però nessuna specifica ulteriore. Risposte minime, quasi insignificanti, che alla fine spostano il peso delle problematiche disfunzionali sanitarie su operatori e assistiti. Le alte dirigenze hanno un “obiettivo non obbiettivo” aziendale (interessato, pre-concettuale e ribadito negli anni): quello di fare cambiare le abitudini sanitarie ai professionisti della prima linea e alle comunità (erogazione e fruizione).

Può essere interessante, dal punto di vista culturale, notare come le strutture burocratiche, pur essendo rigide e per nulla flessibili, siano sempre in grado di ammortizzare e diluire le proprie criticità anche se deplorevoli. Ogni proposta alternativa viene immancabilmente lasciata macerare, controllata nel tempo e nello spazio e infine rielaborata per poi essere reclamizzata come un nuovo, originale “servizio/offerta” aziendale in grado di generare un bisogno e poi un nuovo consumo. Questo processo avendo una struttura esperienziale ed intellettuale fragile, condanna, il più delle volte, il “prodotto” ad un fallimento rapidissimo e all’oblio.

Quanto dureranno nella sanità reale delle comunità e delle periferie gli arzigogolati acronimi (MRUAPCS e MRUAPQO) che definiscono i Medici del Ruolo Unico di Assistenza Primaria a Ciclo di Scelta e/o a Quota Oraria?

L’assenza di creatività sperimentale espone la competenza “iper-complessa” del medico di base pubblico e della sua comunità di riferimento a un destino funesto. Un sistema che perde la sua coerenza interna si sfalda, annulla tradizioni e cultura, non riesce più a rigenerarsi mentre il bisogno di una figura di riferimento territoriale autorevole, convenzionato ma autonomo dagli apparati, aumenta sempre più (invecchiamento, polipatologie, ansia, overload informativo…).

Di contro monta un altro fenomeno sociale particolare nei confronti della professione del mmg: le organizzazioni dell’imprenditorialità privata mostrano interesse verso questa figura. Alcune simulazioni, che circolano sulla rete, descrivono programmi di inserimento di una figura esperta, definita “medico della persona” (con funzioni similari a quelle del mmg) all’interno di poliambulatori specialistici. Non desta nessuna meraviglia tutto ciò in quanto sono anni che le propensioni verso il privato nascono proprio all’interno delle istituzioni pubbliche. Molti alti dirigenti aziendali o regionali, una volta terminati i loro mandati, trasferiscono conoscenze normative ed esperienze pluriennali al settore privato. Anche il welfare aziendale è fondato su relazioni economiche private agevolate, a livello statale, da benefit fiscali ed è normato da accordi tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro.

I prototipi privati ipotizzano un “medico della persona” con maggior disponibilità di tempo-visita, esperto nella presa in carico e nella comunicazione, capace di esporre riepiloghi riordinati di esami e referti, di programmare follow-up e di strutturare la prevenzione. I contatti verrebbero semplificati e deburocratizzati. I vantaggi per l’imprenditoria derivano sia da calcoli economici (si immagina 1,5 prestazioni specialistiche annuali generate dal “medico della persona” per ogni assistito ed erogato dal poliambulatorio stesso) che dall’immagine procurata da questa offerta (servizi affidabili, duraturi, di qualità relazionale, attrattivi, di facile accesso…).

Si prospetta quindi un annullamento del principio dell’universalità e un incremento delle disuguaglianze (e della conflittualità).

Da una parte si intravede un profitto dall’altra, cioè nel sistema pubblico, si avverte un continuo impoverimento relazionale e culturale. La stagione delle CdC ha palesato, una volta di più, dove può arrivare la mancanza di rispetto nei confronti delle comunità. I rari coinvolgimenti per i “finti” processi decisionali sono stati rivolti a circoli chiusi, supponenti e nepotistici che non sono mai riusciti a coinvolgere le comunità reali. La considerazione dovrebbe essere la base per la capacitazione dei territori (sostenibilità e compossibilità) vera alternativa al prestazionalismo e al tecnicismo. Non ci sono spiegazioni al fatto che in tanti anni non si sia mai percorso il sentiero delle piccole comunità ristrette. Nemmeno il covid è riuscito ad illuminare le menti.

L’obiettivo delle comunità e dei loro medici di riferimento non sono le strutture in conto capitale (a debito) ma quello di ridurre al massimo le malattie e di curare/assistere bene le cronicità. Per il privato sono necessarie più malattie. Le aziende e gli apparati producono una infinità di percorsi e norme per giustificare il loro potere burocratico. Sono tre fini tra loro completamente alternativi.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

Bruno Agnetti

19 Novembre 2025

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