Ipoglicemie. SIMEU: “Causano troppi decessi”. SID: “Le incretine potrebbero aiutare”
La ricerca non è altro che un’analisi retrospettiva sull’accesso a 38 dipartimenti di emergenza italiani, generato da 2.889 episodi di ipoglicemia, in un arco temporale di 18 mesi (gennaio 2011-giugno 2012). Dopo aver escluso i casi di ipoglicemia riconducibili ad altre condizioni (es. cachessia neoplastica o condizioni terminali), gli scienziati hanno tentato di comprendere che tipo di trattamento stavano seguendo i pazienti con diabete mellito dei rimanenti 2.675 episodi di ipoglicemia rilevati nello studio (età media 71 anni, 51% maschi; glicemia media relativa all’episodio di ipoglicemia inferiore a 44 mg/dl).
È così emerso che i trattamenti in atto al momento della crisi ipoglicemica erano così ripartiti: insulina (64%, da sola o in associazione ad altri trattamenti nel 32% dei casi); tra i farmaci orali: metformina (55%), sulfaniluree (62%), repaglinide (15%), pioglitazone (2%), agonisti del GLP-1 (1%), inibitori del DPP-4 (2%), acarbose (4%). In definitiva, spiegano gli scienziati presenti a Barcellona, “in oltre l’80% dei casi di ipoglicemia osservati, i pazienti erano in trattamento o con sulfaniluree o con repaglinide”.
Un risultato che – secondo la Società Italiana di Diabete – va ad avvalorare la tesi che usare le incretine al posto dei farmaci più largamente utilizzati oggi potrebbe essere una soluzione a molti problemi. “Questo studio – commenta il professor Enzo Bonora, presidente eletto della SID – è assai rilevante per le discussioni in corso sulla opportunità o meno di trasferire pazienti dalla terapia con sulfoniluree o repaglinide alla terapia con incretine non tanto per un problema di efficacia (che è sostanzialmente identica o poco differente per i vari anti-diabetici orali) ma per un problema di sicurezza. Le incretine non causano ipoglicemie mentre le sulfoniluree e repaglinide lo fanno. E le ipoglicemie possono causare incidenti, traumi e anche la morte, come dimostrato da questo studio”.
Tra le sulfaniluree, quella più frequentemente associata agli episodi di ipoglicemia è risultata essere la glibenclamide (61%), seguita dalla glimepiride (22%) e dalla gliclazide (14%); fanalino di coda
gliquidone e glipizide (1%). 234 casi di ipoglicemia (157 dei quali indotti da insulina) erano associati a qualche tipo di trauma, 39 ad incidenti stradali (di questi 25 indotti da insulina). In un caso di su due, l’ipoglicemia era stata trattata dal paziente stesso prima dell’arrivo in ospedale, ma nel 51% era stato necessario l’intervento del personale d’Emergenza.
Ma come veniva trattata poi questa ipoglicemia? Presso il Dipartimento d’Emergenza, in un caso di 5 attraverso la somministrazione di glucosio per bocca, in un caso su 3 attraverso infusioni endovenose di glucosio e mediante la somministrazione di glucagone per iniezione intramuscolare nel 2% dei casi.
Inoltre, un caso su 5 di quelli arrivati in PS, veniva trattenuto in osservazione per meno di 24 ore, il 7% rifiutava il ricovero, il 31% veniva ricoverato in una divisione di medicina (la degenza durava una media di 8 giorni). Tra i ricoverati per ipoglicemia, sono stati registrati 77 decessi (il 9% del totale dei ricoveri). 6 pazienti sono deceduti presso il Dipartimento d’Emergenza.
Ma non sono solo gli eventi più gravi a preoccupare pazienti e medici: le ipoglicemie condizionano psicologicamente il paziente che, dopo averne sviluppata una, vive con la paura dell’ipoglicemia. “Evitare le ipoglicemie – conclude Bonora – è diventato un obiettivo importante per chi cura i diabetici tanto quanto correggere l’iperglicemia”.
Ma le incretine possono veramente essere la soluzione? Secondo molti sì. “Negli ultimi anni – spiega il professor Stefano Del Prato, Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – alla diabetologia sono state offerte nuove opportunità terapeutiche, tra le quali i farmaci incretinici, farmaci che agiscono o aumentando i livelli di GLP-1 (è il caso dei cosiddetti analoghi del GLP-1) o di preservarlo dalla degradazione enzimatica (azione svolta dagli inibitori del DDP IV). Il GLP-1, un ormone prodotto a livello intestinale, agisce sulle cellule del pancreas, provocando un aumento della secrezione di insulina e riducendo quella di glucagone; in questo modo garantisce un miglior controllo della glicemia. Questi farmaci non si associano in generale ad un aumento di peso o, in alcuni casi addirittura favoriscono il calo ponderale; ma soprattutto – fatto questo di grande interesse per alcune fasce di pazienti in modo particolare – non si associano al rischio di ipoglicemia”.
Inoltre, aggiunge Bonora, “questi farmaci rispetto alle ancora troppo spesso usate sulfoniluree (in particolare la glibenclamide) e alle del tutto simili glinidi, hanno la grande virtù di non avere alcuna interferenza farmacologica con altri farmaci e sono ideali per pazienti come i diabetici che assumono moltissimi farmaci per le patologie concomitanti e le complicanze del diabete”.
24 Settembre 2013
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