Tumore. Le paure dei malati secondo il Censis: troppi tagli e meno cure innovative

Tumore. Le paure dei malati secondo il Censis: troppi tagli e meno cure innovative

Tumore. Le paure dei malati secondo il Censis: troppi tagli e meno cure innovative
I pazienti oncologici promuovono la sanità, pur con significative differenze regionali. Ma i tagli ai budget delle Asl fanno paura soprattutto per l'accesso alle cure più innovative. Così un'indagine Censis in collaborazione con Favo e le Associazioni federate.

Terapie sempre più all’avanguardia. Reinserimento nella vita sociale più rapido. Eppure per i malati di tumore la strada è ancora in salita. Nonostante promuovano la sanità, la stragrande maggioranza considera inaccettabili le disparità territoriali nei servizi erogati. Giudicano i servizi sociali, territoriali e le tutele sul lavoro insufficienti. Soprattutto sono spaventati dai tagli ai conti pubblici: il timore è che l'accesso alle cure innovative diventi un privilegio per pochi. Preoccupazioni lecite perché oggi sono ben 274mila le persone che a causa del tumore nel corso della loro vita hanno perso il lavoro perché sono state licenziate o costrette alle dimissioni o a terminare la propria attività autonoma. E di queste 85mila hanno avuto un problema simile negli ultimi cinque anni. Circa l’80% dei malati di tumore ha subito cambiamenti in questo ambito, dalla perdita dell’impiego alla riduzione del reddito.
A sondare opinioni, esigenze e criticità dei pazienti oncologici è la ricerca “Ad alta voce” realizzata dal Censis in collaborazione con Favo e le Associazioni del volontariato oncologico con il sostegno di Roche, alla quale hanno partecipato più di mille pazienti e oltre 700 caregiver.

L’identikit dei pazienti oncologici. È un popolo di poco più di 2,2 milioni di persone quello dei pazienti oncologici. Persone un grande spirito di adattamento che contano sul supporto della famiglia. Persone che riprendono in mano rapidamente la propria vita attiva: circa quattro mesi, mentre dieci anni fa ci volevamo mediamente 17 mesi. La riduzione di 13 mesi in dieci anni (fatte salve le ricadute per un eventuale peggioramento della patologia, che riguardano il 25% dei pazienti) riflette il balzo in avanti delle terapie antitumore, oggi molto più efficaci che nel passato.
Sensazione di fragilità e tendenza alla facile commozione (lamentate dal 57,9% del campione), apatia, debolezza, perdita di forze (54,7%), dolori, disturbi fisici (52,9%), perdita del desiderio sessuale (47,6%), ansia (46,7%), problemi relativi all’aspetto fisico (42,2%) sono i principali disturbi psico-fisici con cui i pazienti si adattano a convivere, ai quali però non consentono di impedire il rientro nella vita sociale.
L’82,5% dei pazienti può contare su una persona di riferimento. E nella gran parte dei casi sono le famiglie (in particolare le mogli o conviventi: 62,3%) a offrire le cure necessarie con un impegno quotidiano, anche notturno. Il 68,3% dei caregiver convive con il paziente e il 6,7% dei pazienti è completamente non autosufficiente. È alta anche la quota di anziani che assistono altri anziani: quasi un terzo dei caregiver ha più di 65 anni.

Promossi e bocciati. Il Ssn risponde alle aspettative di cura delle persone con tumore, ma sul fronte dell’assistenza sociale o giudizi sono tutt’altro che positivi. Il 77% dei pazienti giudica ottimi (25,7%) o buoni (51,6%) i servizi sanitari con cui sono entrati in contatto dal momento della diagnosi. Un ulteriore 18% li giudica sufficienti e meno del 4% insufficienti. Gli aspetti maggiormente apprezzati sono la capacità professionale degli operatori sanitari (medici e infermieri), valutata positivamente da circa l’80% dei pazienti, la qualità dei servizi di day hospital e ambulatoriali (78,2%), come anche di quelli degli ospedali e dei luoghi di ricovero (77,4%). Due terzi dei pazienti (65,6%) sono però convinti che esistano disparità territoriali nella qualità di alcuni servizi erogati e nell’accesso alle cure più efficaci e innovative. Lo conferma anche il fatto che per gestire una o più fasi della malattia (diagnosi, intervento, terapie), il 21% dei pazienti si rivolge a strutture di regioni diverse da quelle di residenza.
Solo il 45% dei pazienti ritiene buoni o ottimi i servizi sociali, mentre il 13,6% esprime un giudizio d’insufficienza; addirittura, il 21% degli intervistati afferma di non poter valutare i servizi sociali, per l’estraneità a questa rete, che nella cronicizzazione della patologia dovrebbe invece essere centrale. Molto negativo è il giudizio sull’assistenza domiciliare, giudicata insufficiente dal 42% degli intervistati, mentre un capitolo ancora più dolente è quello delle tutele economiche, che la metà dei pazienti definisce insufficienti, a fronte dell’impatto che i costi della patologia hanno sui propri bilanci e su quelli dei familiari.

Paure e aspettative. Sul futuro dei malati oncologici aleggia la paura che i tagli ai bilanci pubblici renderanno ancora più difficile l’accesso alle cure più efficaci e con meno effetti collaterali: per il 40% a causa della lunghezza delle liste di attesa per controlli ed esami, per il 33,5% a causa delle attese quando ci si reca in terapia, per il 29,5% a causa delle difficoltà di bilancio della sanità, che limiteranno la disponibilità di terapie oncologiche più mirate e con minori effetti collaterali. Il 25,7% teme che ci saranno ulteriori differenze nelle cure tra i diversi territori del Paese, in particolare in quelle più innovative (ad esempio, i farmaci biologici).
Tra le priorità che i pazienti indicano per il futuro, prima di tutto c’è la necessità di avere terapie innovative sempre più personalizzate e con minori effetti collaterali: è l’opinione del 74% dei pazienti. Poi una maggiore attenzione agli impatti psicologici della patologia (32%). La priorità nella lotta al tumore consiste dunque nel passare dal prolungamento quantitativo della vita successiva alla diagnosi e ai trattamenti medici, al miglioramento qualitativo della vita quotidiana.

08 Novembre 2011

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