Zampa: “Per combattere e vincere il tumore al seno non basta essere solo bravi professionisti. Bisogna avere creatività”
“Proprio in questo senso – prosegue – interpreto l’invito rivolto agli studenti del Corso di Laurea Magistrale in Design, Comunicazione visiva e multimediale dell’Università La Sapienza di Roma che presenteranno a breve i loro lavori sul tema della prevenzione e a seguire il PROGETTO PHALCO sul percorso post-operatorio di attività fisica come parte integrante dell’iter riabilitativo della paziente operata al tumore al seno. Sono esempi di un nuovo approccio, che non è più solo ed esclusivamente alla malattia ma al paziente. Un approccio che potremmo chiamare olistico, integrale e che quindi non è più solo specialistico, puntuale. Prima alla medicina veniva chiesto di intervenire nella fase acuta e basta. Oggi sta maturando un’altra sensibilità. Esiste un prima: la prevenzione; un durante: la cura della fase acuta; un dopo: la riabilitazione. Insomma un percorso di accoglienza complesso ma che abbiamo tutti gli strumenti per intraprendere”.
“Qui – evidenzia – infatti non stiamo parlando di accademia. Non è un congresso scientifico. Eppure una giornata come questa non è meno importante per il destino delle migliaia di donne e delle loro famiglie che sono state colpite da questo male o che potrebbero esserlo nel prossimo futuro. E lo è perché questa interdisciplinarità che coinvolge maestri del disegno e della grafica, maestri dello sport fino alla gastronomia e all’alimentazione, è un modo per costruire tutte le condizioni per un contrasto il più efficace possibile al tumore al seno. E visto che stiamo in un territorio di confine tra la medicina e la produzione artistica mi viene da parafrasare un film di quasi trent’anni fa, uscito agli sgoccioli della Guerra Fredda: “caccia a Ottobre Rosso”; qui noi oggi siamo nell’”ottobre rosa” e non dobbiamo neutralizzare un sottomarino, ma siamo parimenti impegnati a dare la caccia al tumore più diffuso, aggressivo, invasivo che esista per tutte le donne”.
“Lavorare sulla prevenzione – precisa – è una sfida che il SSN da solo non può affrontare. In questo senso voglio esprimere il mio ringraziamento anche a tutte quelle associazioni e qui in particolare all’Associazione BEATRICE ONLUS per il grande impegno profuso in questo senso. E’ proprio grazie al lavoro svolto da associazioni come la vostra, e da giornate come questa, che una quota rilevante dei tumori alla mammella viene diagnosticata in una fase relativamente precoce. Mi sia consentito a questo punto fornire alcuni numeri relativi all’azione di prevenzione che si svolge su un piano nazionale. Mi concentrerò inizialmente sullo screening inserito nelle prestazioni essenziali ovvero quello che interessa le donne dai 50 ai 69 anni. Stando ai dati del 2018, relativamente all’invito all’esame, si è avuta una copertura praticamente completa nell’Italia settentrionale e centrale rispettivamente 98.3% e 96.2% mentre al Sud sono state raggiunte solo 60 donne su 100. Per quanto concerne invece la risposta, ovvero la partecipazione delle donne stesse agli esami mammografici la media nazionale è del 60,5% ma si registra un differenziale di 22 punti fra Nord e Sud, connotati da una partecipazione rispettivamente del 68,4% e del 46,2%. Questi dati dimostrano i progressi nello sviluppo dei programmi organizzati ma confermano un divario fra Centro-Nord e Sud-Isole. Per quanto riguarda la vostra regione, il Lazio, abbiamo una copertura degli inviti nella media dell’area geografica, vale a dire il 96,1% delle donne ricevono l’invito allo screening ma invece solo un 43,4% di esse si sottopone all’esame. Un dato ben sotto la media nazionale”.
“Non vi è dubbio – conclude – che in Italia l’anticipazione della diagnosi associata a trattamenti sempre più efficaci stia producendo una complessiva buona prognosi di questa neoplasia. Se allora per un verso si colgono i successi della ricerca oncologica in termini di sopravvivenza delle pazienti e di disponibilità di terapie innovative, dall’altra emergono per il SSN nuove sfide di carattere organizzativo e culturale. Per un verso dobbiamo imparare sempre di più a trattare e gestire volumi crescenti di dati e di pazienti ma anche a programmare e gestire i lunghi periodi di follow up per i casi diagnosticati e operati, per altro verso dobbiamo imparare a stabilire una relazione con la paziente che la motivi a partecipare attivamente alla cura della propria malattia e che sappia considerare oltre alle necessità terapeutiche anche quelle psicologiche e motivazionali fino alla più completa riabilitazione nella vita sociale”.
24 Ottobre 2019
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