Emendamento Biancofiore: un pericoloso ritorno al passato

Emendamento Biancofiore: un pericoloso ritorno al passato

Emendamento Biancofiore: un pericoloso ritorno al passato
L'emendamento Biancofiore ripristinerebbe la responsabilità contrattuale diretta dei medici, azzerando le tutele della legge Gelli-Bianco. Questo ritorno alla "blame culture" esporrebbe i professionisti a un contenzioso insostenibile, minando la serenità operativa necessaria per la sicurezza delle cure e contraddicendo l'attuale indirizzo normativo

L’emendamento alla legge di Bilancio n. 69.0.25 presentato dall’On. Micaela Biancofiore è talmente strampalato – e in controtendenza rispetto ai principi di fondo della moderna responsabilità civile professionale e sanitaria – da sembrare una sorta di provocazione stilistica. Provocazione che non soltanto abiurerebbe lo statuto della responsabilità previsto dalla legge 24/2017, ma che addirittura porrebbe i medici ospedalieri in una situazione deteriore rispetto a quella, già particolarmente gravosa, in cui – prima della legge Gelli – la giurisprudenza li aveva relegati nel nome della cosiddetta teoria del “contatto sociale”.

Tale teoria si fondava su una fictio secondo la quale, per farla breve, anche l’ausiliario di struttura, svolgendo in concreto un’attività professionale identica a quella che avrebbe svolto nel proprio studio, era tenuto a rispondere contrattualmente nei confronti dei pazienti (della struttura), pur in mancanza di qualsiasi rapporto contrattuale. Ma se prima della legge 24/2017 questa teoria equiparava (opinabilmente) la responsabilità del medico ausiliario a quella (solidale) dell’ospedale, l’emendamento Biancofiore non si accontenta di restaurare il passato, ma vuole persino andare oltre, esponendo il medico in prima linea e relegando ai margini la responsabilità della struttura, definita “sussidiaria” e limitata a ipotesi specifiche di violazione degli obblighi di corretta gestione del rischio organizzativo.

Una tale acrobazia finirebbe col riportare i medici nel mirino, favorendo – ed anzi amplificando – talune derive inquisitorie che, in passato, avevano messo in crisi la “tenuta” del sistema sanitario, quanto al peso della medicina difensiva e soprattutto al sereno e proattivo svolgimento dell’attività professionale, che è la prima garanzia della sicurezza delle cure e del paziente.

Se è vero, come è vero, che la legge 24/2017 ha ribaltato il paradigma velatamente accusatorio insito nel sintagma “responsabilità sanitaria”, predicando piuttosto un sistema di “sanità responsabile”, non vi è dubbio che l’emendamento in questione lascia stupefatti per la sua deliberata intenzione di andare controcorrente. Non solo rispetto all’attuale impianto normativo, ma anche in relazione allo schema di Disegno di Legge (recante “Delega al Governo in materia di professioni sanitarie e disposizioni relative alla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”) approvato il 4 settembre 2025 dal Consiglio dei Ministri e ispirato a principi opposti a quelli di cui l’emendamento sembra farsi portatore.

Resta il fatto che in questi giorni se ne è parlato molto, tra lo stupore e l’indignazione di chi (tra cui FnomCeo e Anaao) ne pretende (a nostro parere giustamente) l’immediato ritiro. E dunque, può essere opportuno svolgere qualche veloce riflessione sui contenuti di quell’emendamento che il suo stesso Autore, provando a replicare alle feroci critiche subite, ha tentato di depotenziare: nel sostenere le proprie ragioni, invero, l’On. Biancofiore ha dichiarato che la sua proposta si riferirebbe “alla sola responsabilità per colpa grave e accertata e in casi limite e in condivisione con le strutture”. Trattasi però di affermazione che lascia ancor più stupefatti, in quanto del tutto contrastante con il tenore letterale dell’emendamento, che non è affatto limitato ai casi di colpa grave. Tutt’altro.

Quel che la proposta di riforma vorrebbe è che “l’esercente la professione sanitaria che, nell’esercizio dell’attività svolta all’interno di una struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata” abbia cagionato un danno al paziente (paziente della struttura) risponda “in via principale del proprio operato a titolo di responsabilità contrattuale ai sensi dell’articolo 1218 del codice civile”. Nessuna traccia di una limitazione alle sole ipotesi di colpa grave: il medico ospedaliero risponderebbe frontalmente, e in via contrattuale, mentre la struttura sanitaria soltanto “in via sussidiaria ai sensi dell’articolo 1218 del codice civile, esclusivamente nei casi in cui: a) non abbia assicurato un’adeguata organizzazione del servizio sanitario e assistenziale, conforme ai requisiti previsti dalle normative sanitarie vigenti; b) non abbia fornito al personale sanitario, e in primo luogo ai medici, gli strumenti, dispositivi e attrezzature idonei allo svolgimento delle attività; c) non sia in possesso delle autorizzazioni sanitarie all’esercizio dell’attività rilasciate dagli enti preposti.”

Le consequenziali modifiche alle altre previsioni di legge, ipotizzate in calce all’emendamento in modo piuttosto approssimativo e scoordinato rispetto all’attuale impianto normativo, finirebbero per scardinare anche la disciplina della rivalsa e quella degli obblighi assicurativi di cui agli artt. 9 e 10 della legge 24/2017.

Se qualche riflessione potrebbe forse esser effettivamente fatta sugli effetti “deterrenti” del regime attuale della (ridotta) responsabilità del medico in caso di colpa grave, l’emendamento trancia in radice il problema facendo del medico non solo il catalizzatore frontale di ogni responsabilità sanitaria, ma anche un bersaglio privilegiato, in quanto tenuto a rispondere contrattualmente verso pazienti il cui rapporto negoziale è e rimane soltanto con la struttura. Quest’ultima entra in gioco, in via sussidiaria (ma che vuol dire…?) solo per colpe organizzative o per responsabilità sostanzialmente oggettive correlate alla fornitura dei dispositivi medici o alla insussistenza delle autorizzazioni sanitarie di legge.

Un gran pastrocchio, sul piano giuridico.

Un incomprensibile arretramento di principio, sul piano culturale, fondato sul ripristino di una blame culture che non sembra, davvero, giovare a nessuno. Tanto meno ai pazienti, che dovrebbero invece poter contare sulla massima serenità d’azione di coloro i quali li “prendono in carico”. Coloro ai quali si chiede, ogni giorno, un coraggioso e serio impegno di cura, anche nei casi più complessi e rischiosi, al riparo da condizionamenti inquisitori.

Ciò non significa che non si debba proseguire nel solco tracciato dalla legge 24, mettendo meglio a terra quel sistema di sanità responsabile e di sicurezza delle cure che richiede sforzi convergenti e seri impegni da parte di tutti gli stakeholder.
In questo senso ben altri ci paiono i percorsi da completare e le nuove direzioni da eventualmente esplorare.
Si pensi alla più chiara qualificazione della responsabilità delle strutture sanitarie, che la Cassazione ha già definito come “non oggettiva” trattando la delicata tematica delle infezioni nosocomiali. O alla più efficace implementazione del sistema di raccolta delle buone pratiche in tema di prevenzione e gestione del rischio, già demandato all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità (art. 3 legge 24). O ancora all’allestimento di presidi utili a monitorare l’effettivo adempimento, da parte delle strutture, dei propri doveri di precauzione, previa allocazione delle risorse necessarie a garantire la sostenibilità finanziaria del sistema. Senza considerare, poi, l’eventuale valutazione circa l’opportunità di intervenire anche sulla filiera del danno risarcibile, prendendo in considerazione la possibile adozione di modelli indennitari “alla francese”.

Ora, un tale sguardo prospettico richiede, oltre alla disponibilità di adeguati mezzi e risorse, un concreto ed equilibrato sostegno normativo. E non certamente nuove disposizioni “estratte dal cilindro” e tese a favorire troppo facili approcci accusatori.

Ci si impegni dunque.
Affinché tutti gli sforzi sin qui profusi possano trovare sempre miglior concretizzazione.
Nell’interesse di medici, operatori della sanità e pazienti.
Quegli stessi interessi – cioè – che l’emendamento “Biancofiore” in qualche modo parrebbe tradire.

Maurizio Hazan e Federico Gelli

Maurizio Hazan e Federico Gelli

24 Novembre 2025

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