Bartolazzi su Sanità regionale e accesso universale delle cure, come affrontarle nelle aree più periferiche dell’isola?

Bartolazzi su Sanità regionale e accesso universale delle cure, come affrontarle nelle aree più periferiche dell’isola?

Bartolazzi su Sanità regionale e accesso universale delle cure, come affrontarle nelle aree più periferiche dell’isola?

L’Assessore regionale alla Salute della Sardegna, Armando Bartolazzi, tra le domande ad egli poste, risponde al quesito riguardante gli strumenti o riforme indispensabili per garantire che la sanità resti un diritto effettivo per i cittadini e non diventi un privilegio legato alla residenza e alla propria condizione economica.

L’esponente di Giunta, ha spiegato: “La Sanità è misurabile, si presta poco a interpretazioni. E’ su dati oggettivi che noi dobbiamo ragionare. Dobbiamo renderci conto innanzitutto che il Ssn universalistico, come spesso si dice, è un vestito che non entra più, perché è stato lanciato mezzo secolo fa. Da allora, ci sono stati cambiamenti demografici estremamente importanti, inoltre l’aspettativa di vita oggi è molto più lunga e quello che si sta verificando dunque è che aumenta la cronicità; pensate che gli ultra 65enni, cominciano ad avere una, due, o anche quattro cronicità. Si configura pertanto una medicina che deve poter essere per forza di cose una medicina territoriale, cioè una presa in carico nel territorio di questo tipo di patologie”. 

“E’ tempo di rivedere in maniera critica la riorganizzazione del Ssn – ha proseguito Bartolazzi – che deve essere universalistico perché questo termine, ‘universalistico’, a mio parere, con l’aumento dei costi delle metodologie diagnostiche e di quelli dei farmaci innovativi, non è più tanto ‘universalistico’. Quando ho avuto l’esperienza di governo avevamo proposto a livello di organizzazione mondiale della Sanità una risoluzione, come Italia, per l’abbassamento del costo dei farmaci innovativi. Di questa risoluzione che ho presentato personalmente a Ginevra di fronte ai ministri della Salute di tutto il mondo, hanno firmato tutti, 147 Paesi, eccetto Francia e Germania, non se n’è poi parlato più; questo è un punto terribile. In Sardegna, ad esempio, la terapia per la talassemia costa circa 1mln e 600mila euro one shot. Si guarisce, ma bisogna spendere 1mln e 600mila euro a trattamento. E la Sardegna paga anche l’impegno che non ha nemmeno accesso al fondo dei farmaci innovativi. Quindi siamo proprio in una situazione di insostenibilità”.

“Come quindi garantire le terapie e l’accesso ai farmaci innovativi anche nei luoghi più disagiati dell’isola. Innanzitutto bisogna farli entrare i farmaci, bisogna ottenere l’accesso. E fortunatamente c’è ora, in proposito, una proposta di legge in discussione nel testo della manovra finanziaria nazionale in iter che auspichiamo venga approvata proprio per garantire queste cure a tutti. In Sardegna abbiamo iniziato a muoverci, abbiamo somministrato per la prima volta la terapia genica per la SMA a una bambina di 18 mesi, terapia che costa circa 1mln e mezzo di euro; ne vorremo fare di più, ecci che questo è il punto. Noi ci stiamo provando, sto negoziando anche con le company per cercare di capire se si riesce a far abbassare il prezzo di questi farmaci. Ma questa dovrebbe essere una azione portata avanti a livello nazionale, governativo, sopratutto quando scadono i preventivi”.

“Per coprire poi la sanità sul territorio e quindi garantire ai pazienti cronici di essere presi in carico sul territorio, tra le varie iniziative intraprese, abbiamo chiuso dopo 15 anni l’accordo integrativo regionale con i MMG, proponendo anche un aumento sostanziale di salario per coloro che sceglieranno di prestare servizio in aree più disagiate. Fondamentalmente, quindi, dobbiamo uscire dall’ottica di una visione di sanità ospedalocentrica, cioè in ospedale bisogna entrare quando c’è una fase di acuzie, quando c’è un qualcosa da dover diagnosticare in emergenza; il grosso della medicina deve poter essere svolto sui territori. Per quanto riguarda la specificità della Sardegna, la riorganizzazione della medicina territoriale è un impegno molto gravoso, ma andremo avanti e continuerò ad accettare la sfida”. 

“Altro problema è la dispersione di competenze, una distribuzione iniqua che risulta poi essere poco funzionale, di personale sanitario e medico. Dobbiamo uscire dall’idea che tutti possono fare tutto, ossia che tutti gli ospedali debbano avere ad es. la cardiochirurgia, la neurochirurgia ecc. Quello che vorrei cercare di fare, di proporre in Sardegna, è applicare quello che ho acquisito dall’esperienza in altri Paesi europei, ossia seguendo la vocazione delle strutture ospedaliere si da a ciascuna di esse una ‘mission’ che definisce il suo scopo principale, includendo chiaramente l’erogazione di servizi sanitari di base ed alta qualità, per la cura del paziente. Per fare un esempio, le ortopedie non possono essere distribuite in tutti gli ospedali dell’isola, perché questo significa che in ogni ospedale ci sono ad es. due ortopedici, e poi non possono entrare in sala operatoria per un intervento di frattura del femore. Sarebbe preferibile individuare degli hub di ortopedia dove gli ortopedici saranno ad es. quindici, e chi vuol fare ortopedia lavorerà in quegli hub, e dove il servizio potrebbe anche essere h24. In un contesto organizzato di questo tipo, aumenterebbero i numeri, aumenta la qualità del servizio ed aumenta l’attrattività per i giovani medici. Perchè io giovane medico di ortopedia so che, per fare un es., nel Sulcis c’è una buona squadra di ortopedia e non ho nessun problema ad andare a fare esperienza lì in quel reparto; i giovani non si sentono invece attratti, per ovvie ragioni esperienziali e di apprendimento, in un contesto dove fanno tre interventi chirurgici l’anno” – ha concluso Bartolazzi. 

Elisabetta Caredda

29 Ottobre 2025

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