Rapporto Audit civico 2009. Luci ed ombre di un Paese diviso in due

Rapporto Audit civico 2009. Luci ed ombre di un Paese diviso in due

Rapporto Audit civico 2009. Luci ed ombre di un Paese diviso in due
Dal Rapporto Audit civico 2009 emerge, ancora una volta, un Paese a due velocità. È presente un netto divario tra un Nord dagli standard ‘europei’, e un Sud sempre più fanalino di coda, dove solo il 33% tra le strutture prese in esame raggiunge appena il livello discreto, ed il 66% viene giudicato mediocre o addirittura pessimo. Grande neo è la scarda informazione del cittadino, che, insieme  all’inadeguata possibilità di avere tutela, rappresenta la triste conferma di un sistema poco incentrato sulle esigenze dei pazienti.
I dati elaborati nel rapporto sono frutto dell’analisi di 87 tra Asl e Aziende Ospedaliere (35 ospedali, e 52 Asl), ed è stata condotta da 3000 cittadini.
“Ci sono inammissibili pietre d’inciampo – ha spiegato Francesca Moccia, coordinatrice nazionale del Tribunale per i diritti del malato – 10 Aziende sanitarie, pari all’ 11% del totale non governa adeguatamente tutti i fattori, con una media troppo bassa di attuazione degli Standard. La tutela dei diritti è un fanalino di coda, il cittadino sembra esser visto più come ingombro che come risorsa”.
Osserviamo in dettaglio alcuni aspetti rilevanti.
 
Curare il dolore: al Sud missione impossibile. Ben il 40% delle aziende del Sud ha riportato risultati pessimi o scadenti. Le strutture peggiori, dal punto di vista della gestione del dolore, rappresentano il 7% del totale delle Aziende analizzate (12 su 82). Tra le Asl peggiori sono segnalate due aziende siciliane e una del Lazio. Per Cittadinanzattiva questa è la dimostrazione della necessità di “introdurre sanzioni importanti nei confronti dei responsabili dei ‘luoghi del dolore’. Le prassi da adottare, infatti, sono ormai definite e consolidate”.
Liste di attesa: in viaggio per stare nei tempi. Nella maggior parte delle strutture analizzate vengono rispettati i limiti stabiliti dalle norme in vigore sui tempi massimi, per farlo però in troppi casi i cittadini sono costretti alla mobilità. Le liste di attesa, invece, restano un fatto critico. L'area dei tempi di attesa superiore ai 120 giorni resta ampia, con punte ancora più elevate come nel caso di un ecocolordoppler (335 giorni), di una risonanza magnetica (220 giorni) o di una semplice spirometria (210 giorni).
Vediamo nel dettaglio i dati relativi a 8 diverse prestazioni in base ad un'analisi su 45 Asl.
Visita urologica: a fronte dei 30 giorni previsti dalla legge come limite, 7 Asl su 45 prese in esame la erogano nei 90 giorni, 2 nei 120. 
Visita oculistica: a fronte dei 30 giorni previsti, 14 Asl la offrono con una attesa entro i 90 giorni e 2 entro i 120.
Visita specialistica neurologica: a fronte del limite di 30 giorni, 12 Asl la erogano invece con una attesa di 90 giorni.
Ecografia ginecologica: la situazione qui appare migliore. Anche se solo in 5 Asl si è costretti ad aspettare fino a 90 giorni, a fronte dei 60 previsti, in due casi si può aspettare anche ben più di 120. E in 4 casi (circa il 10%) si è costretti ad andare fuori Asl per vedere rispettati i tempi massimi.
Ecocolordoppler cardiaco: a fronte dei 60 giorni previsti, in 10 Asl si è costretti ad aspettare fino a 90 giorni, in 7 fino a 120, mentre in 4 anche oltre.
Spirometria: a fronte 60 giorni previsti, solo in 1 caso si devono aspettare 4 mesi e in un altro si va addirittura oltre.
Rmn cervello e tronco encefalico: a fronte del limite di 60 giorni, in 6 Asl la si può ottenere in 90 giorni, in 2 Asl si aspetta fino a 120, in ben 7 si va oltre i 4 mesi di attesa.
Tac addome completo: a fronte dei 60 giorni previsti, in 1 Asl si va fino ai 90 giorni, in 2 fino ai 120 e in altrettante oltre i 120 giorni.
 
La burocrazia vero ostacolo per i diritti dei malati oncologici e cronici. Quest’area è decisiva per il controllo della spesa sanitaria e per il mantenimento dell’universalità del sistema, da sola assorbe il 70% delle risorse. Eppure la situazione di questi pazienti resta critica soprattutto al Sud, dove solo il 33% delle strutture prese in esame raggiunge appena il livello discreto. Gli indicatori meno rispettati, tra quelli presi in considerazione, sono la semplificazione delle procedure per il rinnovo delle esenzioni per patologia (ben 15 aziende non hanno raggiunto alcun punteggio in graduatoria) e quello relativo alla procedure per l'accesso al riconoscimento del diritto ai presidi, ausili e protesi (11 aziende senza punteggio).
 
Comfort: fatiscenza e trascuratezza in un ospedale su due. In oltre il 50% degli ospedali visitati si sono rilevati segni di fatiscenza, trascuratezza e disattenzione. Anche riguardo i livelli di manutenzione, nel 40% dei casi sono state riscontrate richieste di intervento non soddisfatte dopo 15 giorni. In generale però, il comfort risulta sensibilmente migliorato. Le stanze con più di 4 posti letto sono meno del 10%, e quelle prive di servizi igienici il 20%.
 
Sicurezza: Sud ancora ultimo in classifica. I Sert esempi di trascuratezza. In questo settore si registrano importanti miglioramenti. Rispetto a dieci anni fa, oggi il 100% delle strutture italiane adotta il documento di valutazione del rischio. Eppure c'è ancora qualche difficoltà nel Sud del Paese, con alcune realtà in ritardo rispetto al resto d'Italia. Sono 16 gli ospedali nell'area di mediocrità e uno si merita addirittura 'pessimo’. Nel 20% delle strutture si concentrano tutti gli aspetti più critici sul fronte sicurezza, come la mancata adozione di alcuni protocolli di aspirazione dei liquidi durante l'intervento chirurgico. In 6 ospedali si registra la mancata adozione delle linee guida relative alla prevenzione della ritenzione di garze, strumenti o altro materiale. Per quanto riguarda la sicurezza strutturale, il 70% delle aziende del Nord e la metà di quelle del Centro si trovano nell'area dell'eccellenza. Il Sud è in ritardo: Asl e ospedali che appartengono all'area della mediocrità si trovano tutte nel meridione. Negativi i dati sui Sert: qui, infatti, si trovano le aree peggiori rispetto al rischio strutturale, con spazi poco curati ed evidenti segni di fatiscenza.
 
Cittadini: più che una risorsa un ingombro. Solo 5 aziende adottano tutti gli istituti di partecipazione previsti. Il Comitato Etico è presente nel 95% delle Aziende, e il 73% stipula accordi con le organizzazioni civiche. Ma solo nel 32% esistono Comitati consultivi misti, nel 41% dei casi è stata convocata nell’ultimo anno la Conferenza dei servizi e nel 44% è presente la Commissione mista conciliativa. Solo in poco più del 20% dei casi i cittadini partecipano ai controlli sui capitolati di appalto, e nel 30% realizza un Bilancio sociale discutendolo pubblicamente.
 
 
Giovanni Rodriquez

 

10 Giugno 2010

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