Lazio. Cimo: “Accordo su precari è inaccettabile. Stabilizzare solo il 7,5% dei medici è una vergogna”
Il segretario regionale del sindacato Giuseppe Lavra critica l’accordo firmato ieri da Regione e altri sindacati. “Abbiamo deciso di alzarci dal tavolo di confronto. La norma nazionale prevedeva il 50%. Ignorati altri 800 precari”.
17 LUG - “Bocciato su tutta la linea. E’ un accordo assolutamente inaccettabile a cui la Cimo si è opposta fermamente, alzandosi dal tavolo di confronto: stabilizzare solo il 7,5% dei medici precari rispetto al 50% previsto dalle norme nazionali è una vergogna”. Così il Segretario Regionale Cimo Lazio,
Giuseppe Lavra, ha commentato l’accordo siglato ieri tra Regione e sindacati della Sanità del Lazio sulla stabilizzazione dei precari.
“La CIMO – prosegue Lavra - nell’incontro convocato ieri per definire un protocollo in materia di stabilizzazione del lavoro precario, non si è piegata all’imposizione del Responsabile della Cabina di Regia, Alessio D’Amato, di firmare un documento preordinato dove si limitava la stabilizzazione a una piccola percentuale su quella che invece doveva essere garantita. Inoltre, sono state ignorate le nostre richieste d’impegno nei confronti di oltre 800 medici precari a contratto atipico e di quelli a tempo definito di altri enti non dipendenti dal Sistema sanitario regionale, ma che operano in nome e per conto della Regione Lazio e che sono in attesa da troppo tempo di stabilizzazione. Pertanto abbiamo deciso di alzarci dal tavolo di confronto, che nulla aveva di confronto ma è apparso essere solo l’imposizione di un disegno già prestabilito per noi inaccettabile, e continueremo a denunciare la drammatica situazione in cui versa la sanità regionale”.
Lavra sottolinea che “dopo due anni di mancato confronto e incontri con i sindacati ci si aspettava qualcosa di più dalla Regione che continua a diramare notizie positive attraverso i media sull’andamento della sanità regionale, sempre più condannata, invece, a disservizi e a situazioni da terzo modo in cui i primi a risentirne, oltre agli operatori sanitari, sono soprattutto i cittadini”.
17 luglio 2015
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