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Le Asl “non” sono aziende, ammettiamolo

di Luigi Di Candido

18 OTT -

Gentile Direttore,
la rivista Forbes ha appena pubblicato la nuova classifica World’s Best Employers 2022, in cui la Samsung risulta al primo posto fra le aziende mondiali capaci di eccellere nei campi relativi all’immagine, allo sviluppo dei talenti, alla parità di genere ed alla responsabilità sociale, e proprio in concomitanza della pandemia da nuovo Coronavirus ed in presenza della grande ondata di dimissioni volontarie dal lavoro, a livello planetario.

In Italia la prima azienda è la Ferrari (4.556 dipendenti).

Curiosamente però, e qualcuno dirà ovviamente, anche cercando minuziosamente fra le aziende in elenco, non si ritrova nemmeno una ASL.

Troviamo aziende come Boeing, con 1.500 dipendenti, o persino una come la Meritz Financial Group, con soli 20 dipendenti, dalle dimensioni quindi perfettamente comparabili con un’azienda sanitaria, ma niente, nessuna Azienda Sanitaria.

Come mai? Se le Aziende Sanitarie, con qualche migliaio di dipendenti, con tanto di top management (per legge i datori di lavoro) sono aziende, aziende vere, come mai non vengono valutate per le qualità indagate dal sondaggio di Forbes e/o similari?

Se invece non sono aziende, come in realtà penso non siano mai state e non possano essere (un’azienda fa impresa, ha un mercato, ha clienti, ha concorrenti, ricerca il profitto), per quale motivo continuiamo a riempirci tutti la bocca di management ed aziendalismo allo stato puro (approccio lean, six sigma, Total Quality System, value based procurement, H.T.A. ed altri paroloni simili)?

Ma consideriamole aziende, come tutti le considerano, e quindi perché non stilare classifiche come quella di Forbes?

Se un’associazione, per ipotesi, effettuasse un sondaggio anonimo sul clima organizzativo ed il benessere aziendale in una ASL, con valutazione dal basso del top management, e ne scaturisse una situazione in cui solo il 22,8% dei dipendenti ritenesse di essere una “risorsa molto importante” e la restante parte “solo un numero” o una “risorsa facilmente sostituibile”, solo l’1,7% pensasse che il suo benessere sia tenuto nel dovuto conto dal management, solo il 3,3% ritenesse di “poter crescere professionalmente”, mentre il 56,1% bocciasse l’azione globale del top management, cosa succederebbe a quel management?

C’è da chiederselo per davvero, non vi pare?

Ed invece non se lo chiede nessuno, e così i vari Direttori Generali continuano, imperterriti, con le loro scorribande per le praterie delle Regioni italiane, e del Sud in particolare, spostandosi da una ASL all’altra, incuranti della loro reale pessima qualità espressa sul campo.

Qualcuno, potrebbe affermare di essere stati “in grado di vivere davvero” la propria “missione” come affermato, con orgoglio d’appartenenza, dal chief people officier di Pfizer, nell’articolo di Forbes.

Ecco, mi faccio qualche domanda anche per cercare risposte alla grande fuga dalla sanità pubblica, cui stiamo assistendo impotenti.

Se aziendalismo dev’essere, perché non valutare le aziende, perché non valutare, conseguentemente, la qualità del management, vista la gran rilevanza sociale del sistema sanitario pubblico?

Quale azienda, che fosse anche solo un po’ una vera azienda, prenderebbe come C.E.O. un manager con risultati qualitativi scadenti e documentati?

Luigi Di Candido

Dirigente Medico 



18 ottobre 2022
© Riproduzione riservata

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