Le responsabilità di politica e sindacati per l’abbandono del Ssn da parte dei medici
di Giuseppe Belleri
04 FEB -
Gentile Direttore, le lettere di testimonianza dei colleghi che hanno lasciato il SSN, ospitate dal QS, offrono uno spaccato su un fenomeno nuovo, spia di un disagio diffuso che ha risvolti e contraccolpi organizzativi, sociali e culturali. Fa specie vedere l’immagine sorridente e serena delle colleghe e leggere le loro lucide e impietose requisitorie che punteggiano vissuti di frustrazione, amarezza e sofferto abbandono. Queste emblematiche vicende personali possono essere decifrate e valutate con lo schema esplicativo comportamentale proposto nel secolo scorso dall’economista Albert Hirschman. Secondo il quale quando viene meno la qualità di un servizio o di un ruolo professionale in un’organizzazione le persone possono imboccare due strade: la protesta o la defezione.
Il lavoratore insoddisfatto può alzare la voce (voice) per rivendicare una condizione migliore, che passa in genere dalla mediazione della rappresentanza sindacale. Se la voce non sortisce cambiamenti significativi allora si attiva l'opzione alternativa, ovvero l'uscita (exit) vale a dire la defezione dall'azienda, che si concretizza nelle dimissioni per cercare un impiego alternativo. L’uscita è il principale meccanismo individuale di regolazione del mercato del lavoro ed il presupposto della concorrenza mentre la voce è tipica della dimensione pubblica, collettiva e politica. Tra le due opzioni comportamentali “etologiche” (fight-or-flight) si insinua a mo’ di ammortizzatore emotivo il sentimento di lealtà (loyality), vale a dire l’attaccamento all’organizzazione, che media tra defezione e voce, nel senso che “la lealtà argina l’uscita ed attiva la voce”. Nel caso dei medici una doppia lealtà inibisce il ricorso alla dimissione: verso la motivazione professionale personale e verso la mission del SSN.
Quando la delusione supera una certa soglia la lealtà può venir meno e il lavoratore può ricorrere all’uscita. La risposta alla frustrazione varia in funzione del livello di lealtà: “i membri liberi da gravami di lealtà saranno propensi all’uscita, mentre i lealisti ricorreranno alla voce”. In altri termini “la riluttanza a defezionare nonostante il dissenso con l’organizzazione di cui si fa parte è il tratto caratteristico del comportamento lealista” in quanto “la lealtà agisce da freno sulla decisione di uscire” mentre la “facile disponibilità dell’opzione uscita rende meno probabile il ricorso alle voce”. Insomma in situazioni di insoddisfazione e stress eccessivo fino al sovraccarico allostatico non resta che l'uscita come via di fuga. Con questa griglia di lettura si può comprendere quanto possa essere stata sofferta la decisione di defezionare delle colleghe e quanto il fenomeno sia stato sottovalutato dai decisori politici, incapaci di sintonizzarsi con gli umori della base.
La contraddizione più stridente sta nel fatto che la deriva della medicina amministrata, che accomuna le storie di abbandono, pervade anche un SSR "modello" e fiore all'occhiello di una amministrazione di sinistra, che ha fatto della difesa del SSN una battaglia politica prioritaria e una bandiera identitaria. Com'è successo che anche i paladini della sanità pubblica non abbiano percepito i segnali di un profondo disagio, indicatori di una disgregazione di senso che sta portando alla desertificazione dei servizi?
La distanza tra il vissuto dei professionisti e gli slogan retorici delle burocrazie aziendali - sorde ai gridi di dolore e ad una reazione di rigetto cognitiva ed etica - appare incolmabile, ma ciò che impressiona è l’insensibilità di chi non se ne avvede, fa finta di nulla o la nega. Eppure le prime scosse di questo lento “sisma”, già segnalate nel pieno della pandemia, ora emergono con l'evidenza empirica del combinato disposto tra defezioni di massa, pensionistiche anticipate o uscite volontarie verso i lidi mercantili, l’emigrazione o il gettonismo, e la crisi vocazionale della formazione, con percentuali impreviste di posti vacanti ai corsi di specializzazione universitaria e di MG.
Che professionisti ultra sessantenni abbandonino per sfinimento prima del traguardo pensionistico non è sorprendente, ma che giovani colleghi facciano altrettanto è un fatto nuovo dalle conseguenze dirompenti. I vuoti lasciati dai pensionati non sono stati riempiti di routine dalle nuove leve, come accadeva prima della pandemia e come forse davano per scontato i decisori pubblici, abituati a considerate il “vecchio” monopsonio come assetto di default di un mercato del lavoro immutabile. Anzi l’impressionante gap tra domanda ed offerta coniugato con il quiet quitting ha eroso la lealtà e la fidelizzazione dei professionisti verso il SSN. I giovani colleghi si sono così trovati di fronte ad un’ampia gamma di opzioni professionali alternative, un tempo impensabili, tra le quali scegliere quelle più adatte alle proprie esigenze e preferenze, non più sacrificabili sull’altare della “missione”.
L’imprevidenza dei decisori politici è testimoniata dal ritardo della presa d’atto di questo nuovo scenario e soprattutto dalle risposte inconsistenti e contraddittorie. Ma anche i sindacati non sono riusciti a dar voce al clima emotivo prevalente aprendo la strada alla defezione come risposta comportamentale di default al malessere.
Dott. Giuseppe BelleriEx MMG - Brescia
04 febbraio 2025
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