Gentile direttore,
l’articolo di Elisabetta Caredda, riportando le dichiarazioni della dott.ssa Nicoletta Sias dell’Associazione Nazionale Fisiatri (ANF), solleva critiche sullo studio “Accesso diretto alle prestazioni di fisioterapia. Evidenze scientifiche e riferimenti normativi”, pubblicato dalla Fondazione GIMBE nel novembre 2024. Tuttavia, contiene diverse affermazioni che non rispecchiano fedelmente il contenuto dell’analisi. Non è inoltre chiaro se le dichiarazioni della dott.ssa Sias rappresentino una posizione ufficiale dell’ANF o un parere personale: nel primo caso sarebbe opportuno un chiarimento formale da parte dell’Associazione.
La prima incongruenza riguarda l’obiettivo dello studio. La dott.ssa Sias afferma che il lavoro avrebbe proposto di “valutare l’opportunità per i cittadini di accedere alle cure fisioterapiche in tempi più brevi attraverso la semplice prescrizione del Medico di Medicina Generale, del Pediatra di Libera Scelta o dello Specialista”. Questa affermazione contraddice la critica sviluppata nell’articolo. Lo studio, infatti, non esclude affatto il coinvolgimento dei medici specialisti, inclusi i fisiatri, ma sottolinea l’importanza di una relazione diretta tra fisioterapista e medico di medicina generale (MMG) per promuovere la piena integrazione della fisioterapia nell’ambito della assistenza territoriale, in relazione alla condizione clinica del paziente.
Un’altra inesattezza riguarda l’interpretazione dell’obiettivo dell’analisi. L’articolo afferma che lo studio avrebbe avuto l’“ambizione di presentare a supporto di una proposta” alcuni riferimenti normativi, insinuando una presunta strumentalizzazione dei dati. Questa lettura è del tutto fuorviante. L’obiettivo dichiarato era di analizzare le normative e i regolamenti regionali sulle modalità di accesso alle prestazioni fisioterapiche. Il report non conclude affatto che la normativa attuale supporti l’accesso diretto, ma mette in luce le profonde disomogeneità tra le Regioni italiane e le ambiguità normative che ne ostacolano l’applicazione.
Anche l’insinuazione di distorsione metodologica è priva di qualsiasi fondamento. L’articolo sostiene che “la principale distorsione consiste infatti nel presentare conclusioni, in merito all’efficacia e all’efficienza della presa in carico diretta da parte dei fisioterapisti, con riferimenti a modelli organizzativi che sono diversi dal nostro”. Un’affermazione che tradisce una palese mancanza di comprensione del metodo scientifico. Una revisione sistematica come quella condotta dalla Fondazione GIMBE ha il preciso scopo di sintetizzare ciò che emerge dalla letteratura scientifica internazionale, fornendo un quadro basato su dati oggettivi. Inoltre, l’analisi contestualizza chiaramente il sistema italiano, specificando che “sono necessari ulteriori studi su servizi sanitari simili a quello italiano e le evidenze disponibili si riferiscono solo alla gestione di pazienti con disturbi muscolo-scheletrici”. Va poi sgomberato il campo da un’altra mistificazione: la revisione sistematica non conclude affatto che l’accesso diretto sia più efficace, ma che i risultati clinici siano sovrapponibili rispetto ai modelli tradizionali, con l’unica differenza – tutt’altro che trascurabile – che riduce tempi di attesa e costi.
Una delle critiche più superficiali e fuorvianti, che dimostra la scarsa attenzione con cui è stato letto il report GIMBE, riguarda il campione dello studio. La dott.ssa Sias afferma che “il numero dei casi presi in considerazione per l’attività di ricerca è esiguo (n. 30 quelli inclusi)”, lasciando intendere che la revisione si basi su dati limitati e poco rappresentativi. Questa affermazione è semplicemente errata. Il termine “casi” si riferisce chiaramente al numero di studi inclusi nella revisione sistematica, che sono 30, mentre il totale di partecipanti arruolati in questi studi supera le 40.000 persone.
L’articolo prosegue difendendo “un consolidato modus operandi dettato da normative nazionali, e che resiste, nonostante gli innumerevoli tentativi di boicottaggio”, rivelando il vero nodo della polemica: il riferimento alla tradizione come unico criterio per legittimare un modello organizzativo, a prescindere dalla sua efficacia. Questo approccio è non solo retrivo, ma anche scientificamente insostenibile. Tuttavia, il panorama normativo italiano è tutt’altro che uniforme e l’organizzazione dei servizi sanitari è in costante evoluzione per rispondere meglio alle esigenze dei cittadini. Ancorarsi a un modello per il solo fatto che esista da tempo non è un argomento valido, ma un riflesso di resistenze corporative che ostacolano il cambiamento, anche quando supportato da evidenze.
L’articolo inoltre cita un passaggio del report GIMBE secondo cui “nel caso di attività svolta in collaborazione con il medico, qualora risultino valutazioni discordanti, variazioni del quadro clinico e/o risposte non coerenti durante il trattamento, il fisioterapista, in accordo con la persona assistita informa il medico curante e si attiva per fornire allo stesso elementi utili sia per un eventuale approfondimento diagnostico, sia per la definizione di un più
Ciò che l’articolo omette – o ignora – è che questa non è affatto una posizione della Fondazione GIMBE, bensì una citazione testuale del Codice Deontologico del Fisioterapista, recepito dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Fisioterapisti (FNOFI). In merito al concetto di collaborazione tra professionisti sanitari, l’articolo sostiene che “qui siamo al completo sovvertimento della deontologia di qualunque presa in carico, e non solo riabilitativa, laddove eventuali dubbi debbono necessariamente venire chiariti in primis tra operatori medici-sanitari, per poi essere successivamente condivisi con il paziente”. Questo passaggio tradisce una lettura superficiale o pretestuosa del report della Fondazione GIMBE, che non solo non nega il ruolo del medico, ma anzi descrive esplicitamente il “rapporto dialettico” tra medico e fisioterapista come un confronto interprofessionale collaborativo. Lo stesso studio chiarisce che “il legislatore ha previsto che l’intervento del fisioterapista si svolga in riferimento alla diagnosi e alle prescrizioni del medico. Questa formulazione colloca il rapporto tra medico e fisioterapista all’interno di un confronto dialettico e collaborativo, con l’obiettivo di ristabilire le migliori condizioni di funzionalità del paziente”.
Un ulteriore fraintendimento riguarda la libertà prescrittiva. L’articolo afferma che “la diagnosi, seppure obtorto collo di competenza medica, può venire messa in discussione dal fisioterapista in qualunque momento del percorso - con la complicità dell’Assistito - ma guai se il medico si attribuisce il diritto di rilasciare la prescrizione terapeutico-riabilitativa”. Questa affermazione, oltre a essere caricaturale e tendenziosa, travisa completamente il punto centrale della questione. Il report GIMBE non mette in discussione la competenza medica nella diagnosi né il diritto del medico di effettuare prescrizioni. Il tema è piuttosto il riconoscimento che la responsabilità professionale e la libertà di scelta sulle modalità riabilitative spettano al fisioterapista. L’articolo sembra voler artificialmente costruire un conflitto tra professioni, ignorando che il fisioterapista, nell’ambito delle proprie competenze, non si sostituisce al medico ma ne integra il lavoro. Insistere su questa falsa contrapposizione non solo è fuorviante, ma tradisce una resistenza pregiudiziale all’evoluzione delle professioni sanitarie e alla valorizzazione delle loro competenze specifiche.
Infine, il concetto di “gerarchia normativa” rappresenta il vero nodo sotteso alle critiche della dott.ssa Sias. Più che da un’analisi basata sull’efficacia dei modelli organizzativi, il dibattito sembra essere guidato dal timore di perdere una posizione di supremazia rispetto ad altri professionisti sanitari. Tuttavia, il progresso dell’assistenza sanitaria non può fondarsi sulla strenua difesa di rapporti gerarchici rigidi, ma sulla ricerca delle soluzioni più efficaci e costo-efficaci per garantire ai pazienti un accesso tempestivo e appropriato alle cure. Restare ancorati a logiche di potere, anziché valutare oggettivamente dati ed evidenze scientifiche, significa anteporre gli interessi professionali alla tutela della salute pubblica e alla sostenibilità del SSN.
La Fondazione GIMBE ribadisce il proprio impegno a promuovere un’informazione basata sulle migliori evidenze scientifiche e invita a un confronto aperto su questi temi, nella convinzione che un sistema sanitario efficace debba essere orientato ai bisogni dei pazienti e non alle logiche di difesa corporativa di professioni o specialità.
Nino Cartabellotta
Presidente Fondazione GIMBE