Gentile Direttore,
appare sempre più chiaro il futuro della classe medica italiana: sfruttata, sottopagata, svilita e screditata. Basta infatti mettere insieme pochi elementi per rivelare i veri obiettivi di una politica, sia regionale che nazionale, interessata a elogiare i medici solo a parole e che sta invece predisponendo tutto il necessario per poter soverchiare la nostra professione. E poco importa che nelle nostre mani ci sia la salute dei cittadini.
Prima si evita ad ogni costo di risolvere in maniera strutturale la carenza di personale sanitario, ampiamente prevedibile ed evitabile, non eliminando il tetto di spesa e non rendendo attrattivo il lavoro in ospedale. Quindi si tappano i buchi di organico con le soluzioni più fantasiose, dal reclutamento massivo di colleghi stranieri – che non sempre hanno la specializzazione necessaria per lavorare nel reparto a cui vengono assegnati – all’abuso delle prestazioni aggiuntive. Così in qualche modo i servizi rimangono aperti e sindaci e cittadini sono contenti, nonostante liste d’attesa infinite.
Poi si aumentano a dismisura i posti a Medicina, nonostante la gobba pensionistica stia per esaurirsi, creando quindi le condizioni per generare, nei prossimi anni, una nuova pletora medica: rispetto ai posti di lavoro, i medici formati saranno troppi, e non sapranno dove lavorare. Condizione ideale per creare competizione tra professionisti, svilire i contratti collettivi e peggiorare le condizioni di lavoro.
A tutto questo si aggiungono i progetti di autonomia differenziata e federalismo fiscale, che consentiranno alle Regioni di gestire il personale sanitario in modo pressoché indipendente dal livello nazionale, con i territori più ricchi che avranno la possibilità di attrarre gli specialisti più affermati e le Regioni del Sud lasciate in balia di sé stesse.
Senza dimenticare, infine, l’evidente assenza di volontà di adottare lo scudo penale, che senz’altro consentirebbe ai medici di lavorare più serenamente, e la confusione che regna tra le competenze dei medici e quelle degli altri professionisti sanitari e che disorienta operatori e pazienti. Serve invece una delimitazione chiara dei ruoli che possa agevolare il lavoro di tutti, garantendo la sicurezza delle cure.
Uno scenario desolante, deciso e imposto dall’alto senza alcuna possibilità di confronto con i rappresentanti dei medici, che subiranno inevitabilmente le conseguenze di scelte tanto folli.
Non nascondo che, guidando un sindacato importante come la Federazione CIMO-FESMED, una tale situazione generi sconforto. Cosa possiamo fare, noi medici, se non denunciare i pericoli, avvertire dei rischi e utilizzare tutti gli strumenti a disposizione di un sindacato per cercare di evitare tutto questo?
Abbiamo provato con i ricorsi, le manifestazioni, gli scioperi, i convegni e le conferenze stampa, ma sembra che a nulla tutto questo sia servito. In che modo noi professionisti, uniti ai cittadini, possiamo imporre la nostra posizione ed evitare che il ruolo e il lavoro del medico continuino ad essere calpestati?
Mi farebbe molto piacere se il prestigioso quotidiano da Lei diretto ospitasse un dibattito franco su questi temi, che qualcuno tempo fa riassunse nella “questione medica”, aperto a sindacati, società scientifiche, stakeholder, osservatori e associazioni di pazienti.
Non è certo una rivolta sociale quella che auspico, ma un po’ di sana rabbia e determinazione per pretendere il rispetto dei nostri diritti ed evitare un futuro drammatico ai colleghi sì.
Guido Quici
Presidente Federazione CIMO-FESMED