Gentile direttore,
l’esempio della ASL Salerno, la prima azienda del Paese del comparto sanità ad istituire sperimentalmente, per i propri lavoratori con disabilità già dipendenti e per quelli da assumere, un “Gruppo di lavoro per la predisposizione di un’ipotesi di attuazione dei processi di inserimento delle persone con disabilità” va sicuramente segnalato come best practice nel discorso di inclusione di lavoratori con disabilità, se si considera il “progetto personalizzato” per i lavoratori con disabilità venuto fuori da un provvedimento di inizio anno della Corte di Cassazione.
Dopo la pubblicazione della sentenza della Suprema Corte del gennaio scorso, la 605/2025, si è convinti, infatti, che non ci saranno sconti per i datori di lavoro per il mancato rispetto legato all’applicazione della normativa nazionale che regola l’inclusione lavorativa dei lavoratori con disabilità, il d.lgs.62/2024, anche alla luce del decreto, entrato in vigore il 12 luglio 2025 con il quale vengono definiti i criteri ICF che dovranno essere utilizzati dall’INPS per le nuove domande di accertamento della disabilità e per le istanze di aggravamento correlate alle tre patologie (disturbi dello spettro autistico, diabete di tipo 2 e sclerosi multipla) individuate per la fase sperimentale, che richiederanno, peraltro, un riesame delle mansioni lavorative dei lavoratori con disabilità già in servizio.
Proprio il comparto sanità, come è stato evidenziato da un recentissimo Documento di Consenso su “Giudizio di idoneità per lavoratori con disabilità e accomodamento ragionevole”, elaborato nel luglio 2024 dalla CIIP, Consulta Italiana Interassociativa della Prevenzione, è quello maggiormente interessato al progetto personalizzato da elaborare attraverso un team multidisciplinare, indicato dalla Cassazione.
In esso vengono coinvolti il Medico Competente, il RSPP, il Responsabile risorse umana, il Dirigente preposto all’area operativa in cui opera il lavoratore con disabilità, il Responsabile del Rischio Clinico ed il disability manager in modo da creare condizioni tali da garantire e poter dimostrare la corretta osservanza delle procedure previste dalle specifiche normative in materia.
Con il provvedimento della Cassazione è stato “accolto” quanto richiesto dal lavoratore ricorrente, riconoscendo la “misura attuabile” come accomodamento ragionevole ed incaricando il giudice di merito “di verificare” l’applicazione degli istituti di protezione nei confronti di un lavoratore con disabilità da parte del datore di lavoro.
Si tratta di un’importante evoluzione in tema di diritti dei lavoratori con disabilità, stabilendo obblighi precisi a carico del datore di lavoro, attraverso l’adozione degli “accomodamenti ragionevoli” (art. 3, comma 3-bis, del Decreto Legislativo n. 216/2003), collegata ad un’attenta valutazione dell’idoneità alla mansione da occupare per il lavoratore con disabilità, per garantirgli di svolgere la propria attività al meglio delle proprie capacità, precisando, altresì, che gli “accomodamenti ragionevoli” devono essere personalizzati alle condizioni individuali del dipendente.
Nel provvedimento si afferma che i criteri diagnostici e funzionali sono stati identificati tenendo conto delle differenze di età e genere, in linea con i principi della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e sulla base delle classificazioni internazionali dell’OMS (ICF e ICD coerenti con «le scale specifiche e generiche da utilizzare unitamente» al questionario WHODAS 2.0), al fine di valutare anche la necessità di sostegni e la percentuale di invalidità civile, da tener presente per l’inclusione dei lavoratori con disabilità.
A parte la questione che ha generato la predetta sentenza, legata all’esclusione da un accordo collettivo aziendale dello Smart Working per alcune categorie di lavoratori, per la quale il datore di lavoro deve comunque accogliere la richiesta di un lavoratore con disabilità di usufruire di modalità di lavoro agile, la Corte ha sottolineato l’importanza di una analisi personalizzata degli accomodamenti ragionevoli da parte del datore di lavoro, precisando che: “Il datore di lavoro ha la responsabilità di garantire pari opportunità e un ambiente lavorativo inclusivo, in quanto, in assenza di una tale valutazione, si configura una situazione di discriminazione”.
La Sentenza della Suprema Corte conferma quanto illustrato nel Primo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, approvato nel 2013 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MLPS), predisposto dall’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, non a caso, viene sviluppata una riflessione sulla non discriminazione del lavoratore con disabilità finalizzata a migliorare la loro condizione promuovendo l’inclusione e la piena partecipazione alla società.
Nel programma, tra l’altro, viene previsto che “all’interno delle aziende di grandi dimensioni (quindi anche ASL e AO) – attraverso forme di incentivazione pubbliche – una unità tecnica (osservatorio, ufficio antidiscriminazione o di parificazione) in stretto raccordo con le rappresentanze sindacali aziendali, si occupi, con progetti personalizzati, dei singoli lavoratori con disabilità, per affrontare e risolvere problemi legati alle condizioni di lavoro dei lavoratori con disabilità utilizzando appropriate competenze (disability manager, etc…)”.
Fino ad oggi soltanto un numero limitatissimo di ASL e Aziende Ospedaliere hanno nella loro tecnostruttura la figura del Disability Manager, delegando nella maggior parte dei casi le questioni afferenti ai lavoratori con disabilità ad un dipendente amministrativo afferente all’area delle Risorse Umane, come dei resto veniva indicato dall’art. 39-ter del d.lgs. 165/2001 e smi, con il quale veniva introdotta la figura del responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità, (Respid), dove si specificava l’obbligatorietà delle amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti (le ASL e AO superano di gran lunga questo numero!) di nominare la figura che garantisse un’efficace integrazione nell’ambiente di lavoro, proprio delle persone con disabilità.
Il disability manager è una figura menzionata nella Legge Delega in materia di disabilità (L. 227/2021), il cui art. 2, comma 2, punto e, richiede di “prevedere la nomina, da parte dei datori di lavoro pubblici, di un responsabile del processo di inserimento delle persone con disabilità nell’ambiente di lavoro (declinato nel DMLPS del 11 marzo 2022 come disability manager) anche al fine di garantire l’accomodamento ragionevole di cui all’articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216”.
L’idoneità al lavoro della persona con disabilità (valutazione della compatibilità tra la disabilità o patologia cronica e l’ambiente di lavoro) è espressa, secondo il documento CIIP, a fronte di un progetto personalizzato presentato dal datore di lavoro, sulla base delle indicazioni del medico del lavoro, in funzione dello stato di salute/predisposizione del lavoratore che modula/evita le attività/incarichi, fino al limite dei singoli gesti tecnici della prestazione lavorativa che potrebbero essere dannosi o aggravare le condizioni di salute del lavoratore.
Del resto la nuova definizione di salute dell’OMS recita: “capacità di adattarsi e autogestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive’ – “meglio descrive una situazione in cui le persone non sono più o sane o malate in forma acuta (per cui poi guariscono o muoiono), ma convivono per molti anni con patologie croniche, che la stessa medicina aiuta a cronicizzare, non potendo guarirle”.
I presupposti alla base di questo approccio metodologico alla formulazione dell’idoneità al lavoro sono essenzialmente rappresentati, per il comparto sanità, dalla notevole difficoltà, spesso associata alla mancanza di garanzie di mantenimento della produttività da un lato e di accettabilità/soddisfazione professionale dall’altro, nel muovere i soggetti con limitazioni/prescrizioni di idoneità ad altre mansioni o mansioni diverse, spesso meno qualificate anche in termini di impegno professionale, come spesso accade, per cui una limitazione critica viene così gestita come incapacità e conseguente cambio di mansione.
“Nella nostra Azienda, ha sottolineato a tal proposito Gennaro Sosto, direttore generale ASL Salerno e Vice presidente vicario di Federsanità, è stata avviata una sperimentazione, attraverso un “Gruppo di lavoro per la predisposizione di un’ipotesi di attuazione dei processi di inserimento delle persone con disabilità”, per l’applicazione della nuova normativa, il d.lgs.62/2024, con l’introduzione di nuove procedure “partecipate” per il rispetto degli istituti finalizzati a garantire tutti i diritti dei lavoratori con disabilità, convinti che un team di professionisti di diversa estrazione, sia capace di sintetizzare gli interventi necessari al fine di consentire l’individuazione e la realizzazione di un contesto lavorativo ergonomicamente adatto al soggetto con disabilità e tale da innestarsi nell’organizzazione e tra gli elementi di questa.
Nel comparto sanità, più che negli altri settori lavorativi, ha aggiunto Sosto, la metodologia dei “progetti personalizzati”, richiamata dalla Corte di Cassazione, che condividiamo, proprio attraverso un approccio multidisciplinare, aiuta la gestione dei lavoratori con disabilità e malati cronici con limitazioni, a compiti specifici, con l’adozione di accomodamenti ragionevoli, individuando soluzioni adatte, proprio per la disponibilità di una vasta gamma di mansioni sia tecnico-sanitarie, sia amministrative. Si raggiungerà quel benessere organizzativo indispensabile tassello per rafforzare l’umanizzazione in sanità”.
Ecco il motivo per cui nel comparto sanità è opportuno individuare, anche come consulente, una figura professionale che rappresenti un supporto indispensabile per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, con il compito di intermediario nella gestione dei progetti personalizzati.
Il “Disability Manager” o “Diversity Manager”, contribuirebbe a promuovere l’inserimento lavorativo nel contesto ambientale, occupandosi di promuovere progetti personalizzati per le persone con disabilità e di risolvere problemi legati alle condizioni di lavoro dei lavoratori con disabilità, supportando l’organizzazione nel rendere valida, sicura e proficua la partecipazione al lavoro degli operatori con patologie croniche, tenendo presente che la procedura del piano di lavoro non deve essere considerata un’attività una tantum.
Per la prima volta in Italia, all’interno di contesti aziendali, viene dunque suggerito di prevedere per i lavoratori con disabilità, azioni di intervento, che si concretizzino in progetti personalizzati, e che siano gestite da specifiche figure, tra cui quella del disability manager.
All’interno del Programma di azione biennale si prende atto che i lavoratori con disabilità possono incontrare numerose difficoltà non soltanto nelle fasi di accesso al mercato del lavoro, ma anche in quelle successive e che per tali ragioni necessitino di azioni mirate per il mantenimento del posto di lavoro, per la formazione e per la mobilità monitorando anche che non siano realizzate azioni di discriminazione: “risulta urgente seguire il lavoratore non solo nelle fasi di avviamento al lavoro, ma in tutte le fasi del percorso lavorativo, raccordando la legislazione della legge n. 68/99 con quella della legislazione non discriminatoria. Tale figura risulterebbe utile anche per gestire altre forme di diversità nelle aziende (immigrati con religioni e culture diverse, personale anziano, etc. In questo caso si parla di diversity manager)”.
L’importanza del progetto personalizzato per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità è stata anche ribadita nell’Azione n.5 della Proposta per il “3° Programma” del 20 ottobre 2022.
Domenico Della Porta
Referente Federsanità per la Salute e Sicurezza sul Lavoro