Gentile Direttore,
ho letto con grande interesse qualche giorno fa qui su QS l’intervento di Giancarlo Finzi sulla nuova figura del Direttore medico di presidio ospedaliero (DMPO), visto anche come Direttore sanitario (DS) del futuro, alla luce della Carta di Torino elaborata dall’ANMDO (l’Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere, nata nel 1947) in occasione del Convegno Nazionale svoltosi a Torino lo scorso ottobre. Il mio interesse per questa doppia figura è doppio: da una parte ritengo il suo/loro ruolo fondamentale/i e dall’altra si tratta di un lavoro che ho fatto per oltre 20 anni tra Aziende Sanitarie Locali, Aziende Ospedaliere, Istituti di ricerca a carattere scientifico e Regione. Tutti ruoli esercitati nella Regione Marche, tanto che potrei mutuare la famosa frase di Totò “Sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo” trasformandola in “Sono un uomo di sanità pubblica, ho lavorato per 30 anni in quella delle Marche”.
Nella carta di Torino vengono elencate e descritte le nuove frontiere della azione del Direttore Medico e della Direzione Medica di Presidio Ospedaliero: big data, robotica, intelligenza artificiale e nuove questioni etiche, domotica (telemedicina, cartelle cliniche elettroniche, sistemi di telemonitoraggio), ospedale al domicilio, gestione del rischio, rapporto con le nuove professioni, interdipendenza fra sistemi in logica “one health” e gestione della crisi. La figura del Direttore medico, eventualmente futuro Direttore sanitario, che emerge è quella di un “architetto dei percorsi di cura”. Finzi suggerisce di metabolizzare il contenuto visionario della Carta di Torino e di considerarla non un nuovo mansionario, ma “una roadmap di suggestioni e di traiettorie di una Sanità sempre più complessa e di competenze necessarie per poterla governare”.
Colgo senz’altro questo suggerimento, ma allo stesso tempo colgo un possibile grande limite di partenza nello stimolantissimo documento dell’ANMDO che vede nella figura del Direttore medico di presidio una sorta di moderna/o “responsabile di produzione” che gestisce in modo innovativo la struttura che le/gli viene affidata. Quindi le sue “frontiere” sono quelle della “sua” struttura ospedaliera allargate al sistema di relazioni con il “suo” territorio. Nella mia visione il ruolo del Direttore Medico si allarga al di là di questi confini per estendersi alla costruzione programmatoria e cogestione delle reti ospedaliere regionali e dentro di queste delle reti cliniche. I motivi di questo “sconfinamento” sono due: il buon funzionamento del singolo ospedale è condizionato dal buon funzionamento di queste reti e il Direttore Medico si deve preparare ad avere ruoli di Direzione Sanitaria a livello aziendale e regionale. Mi è sempre parsa strana questa sorta di estraneità del fertile e vivace mondo dell’ANMDO verso queste dimensioni di sistema essenziali per garantire il buon funzionamento dei singoli ospedali. Ad esempio un documento a tipo Position paper sul DM 70 da parte di chi lavora nelle direzioni mediche degli ospedali è essenziale, ma direi quasi doveroso.
E qui mi viene buona la mia profonda esperienza della realtà marchigiana in cui, come altrove e a volte più di altrove, gli ospedali sono fortini assediati vicini alla resa (purtroppo) per far parte di una rete ospedaliera iperframmentata con 13 ospedali con DEA (destinati a diventare 14) e un territorio assolutamente incapace di fare filtro e di riprendere i pazienti dimissibili. Ma di questa doppia rete disfunzionale (ospedaliera e territoriale) e dei suoi problemi chi lavora nelle Direzioni mediche e nelle Direzioni sanitarie delle Marche subisce gli effetti senza riuscire ad esprimersi non come singolo dirigente, ma come gruppo tecnico-professionale, sulle cause. E quindi meno che mai a correggerle.
Emerge la sensazione che passi una impostazione secondo cui la programmazione è tutta della politica e la gestione è invece dei tecnici (purtroppo spesso con la ingerenza della politica). Se si accetta questo gioco dei ruoli c’è l’enorme rischio che il Direttore medico diventi un “mediocrate” secondo la espressione utilizzata, come ho già ricordato qui su Qs, dal filosofo canadese Alain Deneault nel suo libro “La mediocrazia”. Un rischio che va assolutamente evitato.
Saccheggio una recensione del libro che ben spiega cosa è la mediocrazia “che non vuol dire essere incompetenti. Anzi, è vero il contrario. Il sistema incoraggia l’ascesa di individui mediamente competenti a discapito dei supercompetenti e degli incompetenti… Ma comunque, il mediocre deve essere un esperto. Deve avere una competenza utile ma che non rimetta in discussione i fondamenti ideologici del sistema. Lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di specifici confini perché se così non fosse potrebbe rappresentare un pericolo. Il mediocre, insomma, spiega il filosofo canadese, deve giocare il gioco”. Nel caso della sanità pubblica e quindi delle reti ospedaliere pubbliche il gioco che la politica tende a imporre è quello dell’avocare a sé la programmazione lasciando la gestione ai tecnici e nemmeno sempre e su tutto. Un gioco le cui regole vanno assolutamente cambiate.
Quindi a mio parere le frontiere della cultura e pratica delle Direzioni mediche potrebbe essere allargata al di là dei confini della sola produzione e della sola “architettura dei percorsi di cura” in modo da estendersi alla partecipazione alla definizione della “architettura programmatoria e organizzativa delle reti ospedaliere e delle reti territoriali comprese quelle dell’emergenza” il che coinvolge le relazioni sia con la politica che con i cittadini. I professionisti dell’ANMDO ne hanno certamente le capacità e probabilmente lo auspicano. Del resto, se il ruolo delle Direzioni ospedaliere si limitasse solo alla dimensione della produzione di struttura nel tempo la specificità medica del ruolo potrebbe essere messa in discussione.
Claudio Maffei