Illusione di una cattedra universitaria: così si svende la formazione sanitaria 

Illusione di una cattedra universitaria: così si svende la formazione sanitaria 

Illusione di una cattedra universitaria: così si svende la formazione sanitaria 

Gentile Direttore,
su una testata giornalistica sanitaria online è recentemente comparso un articolo che riporta l’ennesimo bando dell’Università di Sassari per l’assegnazione di incarichi di insegnamento nei corsi di laurea delle professioni sanitarie a titolo gratuito.

Non si tratta purtroppo di un episodio isolato. È una prassi che si ripete anche in altri atenei italiani e che, lungi dall’essere un modello virtuoso, rivela un sistema al ribasso: non la ricerca della migliore competenza disponibile, ma la frettolosa esigenza di colmare un vuoto didattico.

Il punto è proprio questo: perché quel vuoto esiste? Principalmente perché mancano docenti strutturati per l’SSD, o perché, quando presenti, non dispongono delle competenze necessarie a trattare le materie a bando. In entrambi i casi a farne le spese non dovrebbero essere né i professionisti esterni, che pure avrebbero il curriculum per partecipare, né gli studenti, che pagano regolarmente le tasse universitarie e hanno diritto a ricevere la migliore offerta formativa possibile. La responsabilità è dell’Università, che ha il dovere di garantire una formazione di qualità. E invece di selezionare con rigore la miglior risorsa disponibile, si ripiega sulla gratuità.

Essendo in periodo di calciomercato, mi permetta una parafrasi calcistica: se una squadra punta allo scudetto e mancano gli attaccanti, l’allenatore andrà a cercare i migliori sul mercato; non attenderà che qualcuno si offra gratuitamente di indossare la maglia. Eppure, per la formazione dei futuri professionisti della salute, sembra che questo principio non valga. Così, a fronte di anni di studio e di esperienza maturata sul campo, di soldi investiti in formazione, ciò che viene offerto è l’illusione di una cattedra universitaria. Una suggestione che gratifica l’ego per qualche mese, ma che in realtà rischia di ridursi a un palcoscenico precario, più simile a uno sgabello traballante che a una vera cattedra accademica.

Non aiuta la cornice normativa: le Linee guida della Conferenza Stato-Regioni per la definizione dei protocolli d’intesa ex art. 6,comma 3, d.lgs 502/92 s.m.i. per la formazione delle professioni sanitarie di cui alla l. 251/2000 del luglio 2022 affermano che gli incarichi “possono essere a titolo oneroso”. Un “devono” al posto di “possono” avrebbe rappresentato un atto dignitoso di chiarezza e coraggio, non offrendo discrezionalità agli atenei ed evitando la perpetuazione di pratiche che oggi sviliscono il sistema formativo.

A ciò si aggiunge la questione, non secondaria, dei criteri di valutazione. Spesso i bandi si limitano a raccogliere dichiarazioni generiche, senza alcun filtro specifico. Il bando dell’Università di Sassari, ad esempio, è unico per ogni professione, senza tener conto delle diverse specificità, né è presente un modello indicizzato. Così un infermiere può dichiarare anni di servizio indistinto, anche se l’insegnamento riguarda un’area specifica; un tecnico di radiologia può vedersi riconoscere trent’anni di attività, senza che venga valorizzata l’esperienza più recente, certamente più attuale in un contesto tecnologico in continua evoluzione. Senza griglie di valutazione indicizzate e criteri temporali selettivi, si rischia una selezione approssimativa e poco pertinente. Sarebbe invece indispensabile introdurre parametri chiari che valorizzino le competenze realmente affini alla disciplina messa a bando e che permettano, nella maniera più oggettiva possibile, di riconoscere il profilo migliore per quell’insegnamento.

In questo quadro, la qualità formativa rischia seriamente di essere compromessa. Per questo è necessario che le commissioni paritetiche e i comitati di indirizzo, con la partecipazione attiva degli Ordini professionali e dei loro organi, segnalino con decisione queste derive. Perché ciò che è in gioco non è solo il rispetto dei professionisti, ma la credibilità stessa dei corsi di laurea.

Quanto ai professionisti, occorre abbandonare la tentazione di cedere a quella che, più che un incarico accademico, rischia di essere una caritatevole elemosina mascherata da riconoscimento. La qualità della formazione universitaria si difende con il rigore, con la dignità e con il coraggio di dire no. Una cattedra non si conquista con l’umiltà di offrirsi gratuitamente, ma con l’autorevolezza di chi porta valore aggiunto. Diversamente, più che università, rischiamo di costruire un modesto teatro delle apparenze.

Antonio Attanasio
Presidente dell’Ordine TSRM e PSTRP di Cagliari e Oristano

Antonio Attanasio

01 Settembre 2025

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