Gentile Direttore,
la centralità del paziente, la mutata domanda di salute, il ruolo dei medici di famiglia, la riorganizzazione dei servizi e la lunga lista, in questi anni, di “riformicchie” inadeguate e senza respiro di fondo che sbattono contro il muro della mancanza di risorse e del regionalismo spinto. Queste alcune delle criticità emerse dal recente (27 settembre) convegno organizzato a Verona dal Centro Studi Maccacaro di Fismu, dalla Federazione dei Medici Territoriali-FMT, dalla Fondazione Fevoss Santa Toscana. Una lunga giornata di dialogo e analisi con i saluti del presidente della Fondazione Fevoss Alfredo Dal Corso, l’assessora del Comune di Verona Elisa La Paglia, della vicepresidente dell’Ordine dei Medici dott.ssa Anna Tomezzoli, del segretario nazionale di FMT Francesco Esposito e l’introduzione del presidente del Centro Studi Maccacaro Salvo Calì. Dalle conclusioni dei lavori, che ho avuto l’onore di coordinare, ho tratto una riflessione e ho scelto di dedicare questo convegno a Lorenzina, una mia paziente. Una donna coraggiosa, che ha lottato per anni contro il cancro. Sempre sorridente, con la battuta pronta, riusciva a scherzare persino sulla sua malattia. La prima volta che entrò nel mio ambulatorio si presentò dicendo: “Sono la donna tumorata di Dio”.
Questa sanità pubblica l’ha seguita fino alla fine della sua vita. Un sistema fatto di persone: medici di medicina generale, di Continuità assistenziale, di specialisti ambulatoriali, palliativisti, infermieri. Professionisti che hanno offerto tempo, cura, carezze, ascolto e conforto, oltre alla loro professionalità… Grazie a loro, Lorenzina ha potuto vivere e morire con dignità. Ha partecipato al matrimonio di sua nipote, ha festeggiato i 61 anni di matrimonio accanto al suo amato Alberto, nel letto di casa. “Le parole di gratitudine di Alberto ci ripagano di ogni sforzo e ci danno nuova energia per proseguire con determinazione”.
Questa è la vera forza della sanità pubblica italiana che, pur tra difficoltà e criticità, continua a rappresentare un pilastro fondamentale per il benessere della popolazione. La longevità degli italiani, confermata dai dati provvisori Eurostat, è un indicatore chiave della qualità dei servizi sanitari e dello stile di vita nel nostro Paese. Questo convegno ha avuto come obiettivo analizzare potenzialità e criticità del nuovo modello organizzativo (con particolare riferimento anche al Veneto che ospitava l’evento).
Parliamo del Decreto ministeriale 77/2022, che ridisegna l’assistenza primaria nel SSN, finanziato con i fondi del PNRR.
Accanto a elementi di analisi teorica, abbiamo affrontato aspetti pratici per valutare se questa riforma:
• possa contribuire a salvaguardare la sostenibilità del SSN;
• promuoverà integrazione professionale e saprà rispondere ai bisogni dei citta-dini;
• rispetterà la nostra tradizione culturale e i principi deontologici della medi-cina generale.
La medicina territoriale parte, come si è evidenziato per Lorenzina, dalla persona nella sua casa, dove il medico di famiglia – titolare del rapporto fiduciario – è il punto di rife-rimento.
Il sistema deve ruotare attorno a lui, integrandosi verticalmente con i collaboratori e oriz-zontalmente con gli altri professionisti.
In un mondo ideale, le Case di Comunità potrebbero rappresentare il fulcro dell’integrazione multiprofessionale.
Il medico del ruolo unico deve lavorare in sinergia con infermieri di famiglia, assistenti sociali, specialisti. Solo così il paziente potrà sentirsi al centro di un sistema coeso. Ma – secondo uno studio AGENAS di fine 2024 – solo il 3% delle Case di Comunità dispone del personale medico-infermieristico necessario per erogare le prestazioni previ-ste dalla riforma. In queste condizioni, il raggiungimento degli obiettivi diventerà difficile.
La medicina generale si basa su un rapporto fiduciario continuo.
È la base di una cura efficace. Una relazione costruita nel tempo, fondata sulla fiducia re-ciproca: il paziente si affida, il medico risponde con competenza e rispetto.
Anche nell’era dell’intelligenza artificiale, sarà questo rapporto umano a guidare le decisioni di cura. Aiuterà il paziente a comprendere ciò che la scienza propone e a sceglie-re in modo consapevole. E… non darà mai una carezza al paziente.
Ma attenzione: se il ruolo unico verrà gestito in modo eccessivamente burocratico, rischia di snaturare l’essenza stessa della medicina di famiglia, che si fonda sulla continuità e sulla relazione di fiducia tra medico e paziente. Se il paziente non ha più un medico di ri-ferimento stabile, ma si trova a interagire con figure professionali intercambiabili, corre il rischio di sentirsi anonimo, trascurato e meno compreso nella propria complessità.
Al contrario, una figura unica, organizzata in un’équipe territoriale o all’interno delle Case di Comunità, può aumentare accessibilità e affidabilità del servizio. Ma solo se ben sostenuta, altrimenti la qualità del tempo dedicato al paziente ne risentirà.
In sintesi: Il ruolo unico nella medicina del territorio può rafforzare il rapporto medi-co-paziente, ma solo se:
• è costruito attorno al principio della centralità del paziente;
• garantisce continuità, accessibilità e personalizzazione della cura;
• sostiene i professionisti con risorse e supporto organizzativo adeguati.
Affinché questa riforma funzioni servono: norme, valori, processi. Le norme ci sono, ma devono integrarsi nei percorsi di cura con una pianificazione strategica condivisa con gli operatori sanitari. Noi medici di famiglia non siamo contrari alla riforma in sé. Anzi, riconosciamo che il progetto in corso ha un potenziale enorme per migliorare l’assistenza sanitaria territoriale. Tuttavia, il successo di questa trasformazione dipende in modo cruciale dalla valorizzazione concreta dei professionisti coinvolti e da investi-menti adeguati nelle risorse. È evidente che nessun sistema può funzionare davvero se non garantisce condizioni di lavoro dignitose a chi, ogni giorno, è in prima linea per tute-lare la salute dei cittadini”.
Non possiamo accettare che venga svilito il nostro ruolo, né che ci vengano attribuite tut-te le colpe del sistema – dalle liste d’attesa alle carenze organizzative. La realtà è ben diversa da quella che troppo spesso viene raccontata. I nostri ambulatori sono sempre pieni. Non lavoriamo solo 3 ore al giorno: oltre alle visite in studio, facciamo an-che visite domiciliari, ci occupiamo di pazienti fragili, gestiamo burocrazia e urgenze, spesso senza il supporto adeguato.
I cittadini continuano a cercare le nostre cure, e lo fanno perché si fidano di noi. Abbiamo pochissimo personale di studio — e nella maggior parte dei casi lo paghiamo di tasca no-stra — ma andiamo avanti, perché la fiducia del paziente è ancora una motivazione forte.
Ma non può bastare. La gratificazione personale non può più essere l’unico motore. Serve riconoscimento concreto, supporto organizzativo, rispetto per il nostro lavoro e per la sa-lute dei cittadini.
Franca Mirandola
Centro Studi Maccacaro di Fismu-Veneto