Gentile Direttore,
in Italia si parla di linee-guida per la pratica clinica soprattutto come termini di riferimento, da utilizzare se necessario in sede di contenzioso medico-legale per valutare l’agire medico (legge Gelli-Bianco), spesso dimenticando l’importanza di linee-guida metodologicamente rigorose per promuovere l’appropriatezza degli interventi sanitari a favore dei pazienti, oltre che una maggiore sostenibilità nell’utilizzo delle risorse disponibili. Di tutto ciò si è discusso nel convegno annuale dell’Associazione Alessandro Liberati – Cochrane Affiliate Centre, cui hanno partecipato metodologi, clinici e giuristi approfondendo alcuni limiti e criticità della situazione attuale per quanto riguarda obiettivi e sviluppo di linee-guida.
Chi fa le linee-guida in Italia, e come?
Nel ragionare sulla produzione di linee-guida in Italia bisogna anzitutto partire dal fatto che gli enti abilitati a produrle sono sostanzialmente rappresentati da 411 società scientifiche che hanno prodotto la maggior parte di quelle attualmente disponibili sul sito del Sistema Nazionale Linee-Guida (SNLG). Come noto, le società scientifiche spesso ricevono finanziamenti dai produttori di farmaci o dispositivi medici, ciò che può condizionare la loro indipendenza e imparzialità. In un sondaggio, le stesse società scientifiche hanno poi riconosciuto di essere poco attrezzate per lo sviluppo di linee-guida considerando la loro complessità (51% dei rispondenti), le inadeguate competenze (34% dei rispondenti) e la limitata disponibilità di risorse economiche (63% dei rispondenti). Esiste un manuale metodologico che definisce quali caratteristiche dovrebbero avere le linee-guida rese disponibili attraverso il sito del SNLG. Spesso, questi criteri metodologici sembrano applicati in modo formale più che per selezionare linee-guida valide e trasferibili, ossia realizzate da panel effettivamente multidisciplinari, basate su una revisione realmente sistematica delle prove disponibili, con una valutazione della loro qualità e della forza delle raccomandazioni che ne derivano, e che definiscano percorsi per l’implementazione delle raccomandazioni.
C’è poi il problema della tempestività di realizzazione e di aggiornamento delle linee-guida. La legge Gelli-Bianco prevede la possibilità di affidarsi alle buone pratiche clinico assistenziali quando non è possibile avere linee-guida. Per lo sviluppo di queste buone pratiche è stato recentemente reso disponibile un altro manuale metodologico, che rappresenta un tentativo per definire quali caratteristiche esse dovrebbero avere. Al momento sul sito dell’SNLG non sono disponibili documenti di buone pratiche e non è possibile valutare se essi potranno rappresentare un accettabile compromesso in termini di disponibilità di informazioni e qualità metodologica rispetto a linee-guida vere e proprie. Sembra tuttavia del tutto azzardato l’auspicio, espresso da alcune parti, che le buone pratiche possano sostituire le linee-guida come riferimenti per l’uso appropriato degli interventi sanitari, soprattutto considerando che lo sviluppo di tali documenti sembra ancora una volta affidato solo “all’interlocuzione con le Società Scientifiche” e quindi potenzialmente gravato da conflitti di interesse.
Le proposte di modifica alla legge Gelli-Bianco
I timori legati ai contenziosi “temerari” hanno infine portato alla proposta (da parte di una Commissione voluta dal Ministro della Giustizia Nordio) di modificare l’art. 5 della legge Gelli-Bianco considerando, oltre a linee-guida e buone pratiche, “altre scelte diagnostiche e terapeutiche adeguate alle specificità del caso concreto”. Tale modifica pone il rischio di inserire un elemento di ulteriore soggettività di valutazione, per cui anche scelte cliniche poco o affatto supportate da evidenze potrebbero risultare in qualche modo giustificabili.
NICE italiano: promuovere l’appropriatezza e un uso efficiente delle risorse
In Italia non esistono finanziamenti pubblici per la realizzazione di un programma per lo sviluppo di linee-guida che, come detto, sono quasi esclusivamente prodotte da società scientifiche. Il Centro Nazionale per l’Eccellenza Clinica (CNEC), che ora non esiste neanche più, avrebbe avuto questa velleità ma era costituito da sole 3 persone. Ci sarebbe invece proprio bisogno di una vera agenzia nazionale che coordini lo sviluppo di linee-guida e le relative strategie di implementazione, sul modello del NICE (National Institute for Health and Care Excellence) britannico. Con una spesa netta annuale di circa 60 milioni di sterline (17 dei quali dedicati alla realizzazione di linee-guida) e uno staff di circa 800 professionisti, il NICE rappresenta un investimento relativamente modesto che può tuttavia avere un impatto significativo, promuovendo l’uso appropriato di farmaci e interventi sanitari e riducendo gli sprechi, di cui l’OCSE fornisce una stima nell’ordine del 20% della spesa sanitaria. Una tale agenzia in Italia potrebbe quindi ampiamente “ripagarsi” favorendo la riduzione anche solo in minima parte di questi sprechi (considerando un Fondo Sanitario Nazionale di circa 130 miliardi), promuovendo l’appropriatezza d’uso degli interventi sanitari (a favore di cittadini e pazienti) e l’allocazione efficiente delle scarse risorse disponibili. Siccome le linee-guida non si implementano da sole, una tale agenzia servirebbe anche a promuovere strategie per la loro implementazione nei contesti locali, aspetto tanto essenziale quanto frequentemente sottovalutato.
Perché dunque non si pensa a un NICE italiano? Nel convegno dell’Associazione Alessandro Liberati ci si è posti questa domanda, cui speriamo possa seguire un dibattito pubblico su un tema che meriterebbe non solo di entrare semplicemente nell’agenda politica, ma di vedere l’effettiva realizzazione di una siffatta agenzia nazionale. Un sistema sanitario pubblico, equo e universalistico ne avrebbe davvero bisogno.
Giulio Formoso
AUSL-IRCCS di Reggio Emilia, Associazione Alessandro Liberati