Gentile Direttore,
quando mi confronto con situazioni che vedono al centro la ricerca di un facile capro espiatorio, come nel caso del ruolo della libera professione accusata di contribuire pesantemente a determinare le liste di attesa per le prestazioni ambulatoriali, mi viene in mente sempre una scena di M*A*S*H, il memorabile film antimilitarista del 1970 di Robert Altman. Nel film, ambientato nell’ospedale da campo n. 4077 (M.A.S.H. sta per “Mobile Army Surgical Hospital”) c’è una scena in cui un maggiore chirurgo incapace se la prende alla fine di un intervento andato male con un povero caporale capitato lì quasi per caso attribuendogli la responsabilità della morte del povero soldato.
La insistenza sulla responsabilità fondamentale della libera professione intramoenia sulle liste di attesa mi lascia molto perplesso perché mi sembra voglia distrarre da un lungo elenco di fattori “di sistema” su cui non si interviene e di cui spesso non si fa nemmeno cenno. Chiarisco preliminarmente che i fenomeni distorti e distorsivi collegati con la libera professione non mi sfuggono e che per una analisi tecnica di questa istituzione “atipica” rimando al fondamentale contributo su queste pagine di Marco Geddes da Filicaia di un paio di anni fa, mentre per gli aspetti sindacali rimando al recente contributo sempre qui su Qs di Pierino Di Silverio e Filippo Gianfelice. Mi interessa invece riprendere qui l’elenco dei fattori di sistema coinvolti nel problema della lista di attesa delle prestazioni ambulatoriali.
Provo ad elencarli con qualche commento facendo presente che sono intrecciati tra loro e che qui si andrà poco più in là di un elenco:
- la crisi della medicina generale e quindi del livello organizzativo cui istituzionalmente compete la prescrizione delle prestazioni (i contributi al riguardo qui su Qs non si contano): si sommano a questo riguardo la carenza di vocazioni, il numero crescente di assistiti per far fronte alla carenza di professionisti, la burocratizzazione insopportabile del lavoro, la pressione esercitata dalla prescrizione indotta dagli specialisti e i ritardi nella modifica della organizzazione del lavoro legati a loro volta ai ritardi nella declinazione culturale e organizzativa del DM 77, così importanti da meritare una trattazione a parte. Certamente a questo livello si genera una quota di prescrizioni inappropriate in cui l’influenza esercitata dalle voci soprarichiamate è rilevante e fondamentale. Segnalo su quest’ultimo punto della appropriatezza in medicina generale i contributi fondamentali di Giuseppe Belleri;
- la non operatività del modello della presa in carico dei pazienti cronici secondo il Piano Nazionale della Cronicità di recente rivisto e in definitiva del modello del DM 77: i ritardi nella attivazione delle Case della Comunità e nella introduzione della figura dell’infermiere di famiglia e di comunità si traducono ad esempio nella gestione vecchio stile e quindi passiva di quei cittadini ad alto rischio di consumo di prestazioni che finiscono col gravare sulle liste di attesa mentre la loro presa in carico dovrebbe prevedere altri percorsi;
- la frammentazione della offerta specialistica pubblica: la frammentazione degli ospedali riduce l’offerta di prestazioni programmate per l’assorbimento di molte risorse nelle attività in urgenza che andrebbero concentrate e differenziate per livello di complessità, mentre la frammentazione della offerta ambulatoriale comprensiva delle prestazioni strumentali di medio-alta complessità aumenta la capillarità del servizio, ma ne riduce l’efficienza produttiva;
- la crescita della offerta ambulatoriale privata in tutte le sue forme: questa crescita (compresa quella della libera professione, ma anche e soprattutto quella dei centri privati accreditati e contrattualizzati e dei centri privati tout court) crea un circolo vizioso perché in queste sedi la proposta di prescrizione tende ad essere più facile per una “fidelizzazione” del paziente e si trasferisce tutta alla medicina generale (vedi sopra);
- la carenza degli organici medici nelle strutture pubbliche: questa a sua volta si intreccia con la frammentazione della offerta e la fuga dei professionisti dagli ospedali e dalle strutture pubbliche verso le private (anche questo punto merita un commento a parte). In presenza di questa carenza si determinano quelle situazioni che vengono poi esposte al “pubblico ludibrio” e cioè quelle in cui i volumi delle prestazioni in libera professione superano di molto quelle erogate in regime libero professionale. Prendiamo una unità operativa di cardiologia in cui pur in presenza di una attività di reparto comprensiva di alcuni posti letto di unità coronarica e di una significativa attività di aritmologia i medici tra poco rimarranno in sette perché uno ha scelto la specialistica ambulatoriale territoriale (anche di questa bisognerebbe parlare) e due vanno in pensione (di cui uno è il “primario”). Ovviamente rischia di saltare tutta l’attività ambulatoriale compresa quella post-ricovero e quella relativa al controllo dei pazienti col pace-maker. Il tutto in una Regione di un milione e mezzo di abitanti con troppa cardiologia ospedaliera: 14 cardiologie di cui quasi tutte con l’UTIC e sei emodinamiche. Se qualche medico di quella unità operativa dell’esempio proverà a continuare a fare un minimo di attività libero professionale rischierà di finire additato;
- il malsano gioco dei ruoli tra ospedali pubblici e privati: ai primi toccano i casi complessi e le urgenze e ai secondi sono concesse casistiche selezionate e linee produttive dedicate. Se si guarda ad esempio l’ultimo Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale relativo all’anno 2023 le Case di Cura accreditate hanno 13 DEA contro i 284 delle strutture pubbliche (tra cui vengono conteggiate anche le Università e gli INRCCS privati), 24 Pronto Soccorso contro i 409 delle strutture pubbliche e 42 Centri di Rianimazione contro i 355 delle strutture pubbliche. Ovviamente questa situazione si traduce in un doppio effetto: fuga dei professionisti pubblici nel privato e aumento della offerta ambulatoriale dei privati stessi (incoraggiata anche dall’ultima manovra di bilancio) che ha gli effetti sopraricordati sulla medicina generale.
Alla base di questo lungo elenco di criticità di sistema che contribuiscono a creare le liste di attesa ci sono almeno tre fattori fondamentali che sarebbe compito della politica gestire meglio a livello nazionale: maggiore finanziamento al Ssn per garantire più attività e attrarre e mantenere più professionisti nelle strutture pubbliche, diversa regolamentazione del rapporto pubblico-privato e più controlli centrali sulle Regioni e sulle loro scelte programmatorie e gestionali. Prendersela con la libera professione in questa situazione ricorda davvero la scena del religiosissimo maggiore Frank Burns che se la prende col povero caporale Walter “Radar” O’Reilly che però lo ripagherà con un terribile scherzo per cui però rimando direttamente alla visione del film.
Claudio Maria Maffei