Gentile Direttore,
in questi giorni stiamo assistendo a un acceso dibattito sulle iniziative del governo riguardo alla possibile dipendenza dei medici di medicina generale. Il motivo di tanta urgenza è chiaro: far funzionare le Case di Comunità (CdC) e dare valore ai fondi del PNRR. Tuttavia, come spesso accade nel nostro paese, questa fase sembra caratterizzata da una certa confusione.
Un passaggio immediato di tutti i Medici di Medicina Generale (MMG) alla dipendenza sarebbe tecnicamente complesso e difficilmente sostenibile. Le strutture attuali non sarebbero sufficienti a garantire la capillarità dell’assistenza territoriale, e una riforma così radicale richiederebbe un investimento economico enorme: non solo per le infrastrutture, ma anche per il personale, la gestione amministrativa, i servizi di accoglienza e il supporto paramedico.
Stiamo quindi rischiando di perdere un’opportunità preziosa: sviluppare un sistema misto, che non solo risponda alle esigenze attuali, ma che colmi anche quel vuoto strutturale che da anni ostacola l’integrazione tra ospedale e territorio.
La Casa di Comunità come snodo centrale delle cure primarie.
Un approccio graduale e bilanciato potrebbe prevedere il mantenimento degli attuali MMG convenzionati, garantendo così una rete capillare sul territorio, affiancati da MMG dipendenti che operino all’interno delle Case di Comunità con un ruolo ben definito e sotto un contratto di dirigenza. Questi ultimi potrebbero rappresentare il tanto ricercato anello di congiunzione tra ospedale, territorio e università, svolgendo funzioni chiave:
•Filtrare le richieste di ricovero differibili, riducendo il sovraccarico dei Pronto Soccorso e ottimizzando l’accesso ai reparti ospedalieri.
•Creare percorsi specifici per la gestione delle cronicità, con un monitoraggio più efficace e integrato rispetto all’attuale frammentazione tra medico di famiglia e specialisti.
•Promuovere audit e linee guida prescrittive, elaborate dai MMG per i MMG, migliorando l’appropriatezza terapeutica e la sostenibilità del sistema.
•Diventare un punto di raccordo tra università e territorio, ponendo le basi per la formazione dei futuri specialisti in medicina generale.
Verso una nuova specializzazione in medicina generale.
L’inserimento delle Case di Comunità in un modello integrato potrebbe rappresentare l’occasione perfetta per rivedere la formazione dei MMG. Oggi la medicina generale è l’unica branca senza una vera specializzazione universitaria. Le CdC potrebbero diventare il luogo ideale per istituire un percorso formativo più strutturato e integrato con l’università, garantendo ai giovani medici una preparazione adeguata alle sfide della medicina del territorio.
Non possiamo permetterci di affrontare questa transizione con una visione rigida e dicotomica, come se l’unica scelta possibile fosse tra un modello “tutti dipendenti” o “tutti convenzionati”. La realtà è più complessa e richiede un approccio flessibile e progressivo, capace di valorizzare l’esperienza dei MMG convenzionati, mentre si costruisce una nuova generazione di medici di famiglia con competenze più integrate e un ruolo più centrale nella sanità pubblica.
Se davvero vogliamo un sistema sanitario più efficiente e moderno, dobbiamo smettere di ragionare in termini di contrapposizioni e iniziare a costruire soluzioni praticabili e sostenibili. La Casa di Comunità, con il suo potenziale di integrazione tra ospedale, territorio e formazione, potrebbe essere la chiave di volta che cercavamo da anni.
Marco Nardelli
Medico di medicina generale del Lazio