Gentile Direttore,
mentre si celebrano i numeri record delle iscrizioni ai corsi di laurea in Medicina, è necessario porsi una domanda più profonda: chi garantirà l’assistenza nel futuro del nostro Servizio Sanitario Nazionale? Le analisi più autorevoli – dall’OCSE all’Università Bocconi – concordano: in Italia non mancano medici, ma infermieri. Eppure, il dibattito pubblico continua a concentrarsi quasi esclusivamente sulla formazione medica, ignorando un’emergenza silenziosa ma sempre più crescente: la carenza infermieristica.
Alcuni dati significativi
• Rapporto infermieri/abitanti: in Italia ci sono tra 6,2 e 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro una media UE di 8,4 e una media OCSE di 9–10. (Ocse 2024)
• Fabbisogno al 2030: mancheranno tra 60.000 e 100.000 infermieri, con un deficit già oggi stimato in 65.000 unità (Agenas 2023)
• Invecchiamento del personale: il 27–28% degli infermieri ha più di 55 anni e il 22% è nella fascia 50–54. Entro il 2033 si prevede il pensionamento di oltre 100.000 professionisti.( Gimbe 2025)
Le cause di una crisi strutturale
La carenza di infermieri non è casuale, ma conseguenza di precise criticità:
• Retribuzioni inadeguate rispetto a complessità, autonomia e responsabilità del ruolo. In Italia un infermiere guadagna in media 32.400–32.600 € lordi l’anno, contro i circa 39–40.000 € della media UE/OCSE. (Ocse)
• Assenza di reali percorsi di carriera clinica, che spinge chi vuole crescere professionalmente ad abbandonare l’esercizio della professione verso altre realtà. Ne è prova l’esodo dal SSN: tra il 2020 e il 2022 hanno lasciato il pubblico 16.192 infermieri, con oltre 42.700 cancellazioni dall’albo negli ultimi 4 anni (10.230 solo nel 2024). (Gimbe 2025)
• Mancato riconoscimento delle prestazioni infermieristiche nel nomenclatore tariffario nazionale, che le rende invisibili sul piano economico e simbolico.
• Esclusione dell’assistenza infermieristica dai LEA, che impedisce una valorizzazione sistemica del ruolo nei servizi territoriali e ospedalieri. (FNOPI 2022)
Un rischio ulteriore
La nuova modalità di selezione per Medicina consente a chi non supera la prova definitiva, dopo sei mesi, di iscriversi ai corsi delle professioni sanitarie, tra cui Infermieristica. Ciò rischia di ridurre la professione a un “piano B” per aspiranti medici, svilendo la sua dignità e compromettendo la qualità dell’assistenza.
In queste condizioni, non stupisce la disaffezione verso l’ Infermieristica. I giovani non si allontanano dalla professione per mancanza di motivazione, ma per assenza di prospettive. Senza infermieri, però, l’assistenza non può reggere: né oggi, né domani.
Un sistema a rischio sostenibilità
La narrazione che presenta l’investimento nella professione infermieristica come un “costo” per il sistema è fuorviante. In realtà, non investire adeguatamente negli infermieri genera costi sociali, sanitari ed economici molto più elevati. Ecco perché:
1. Aumento dei ricoveri evitabili e delle complicanze
Ogni paziente in area medica seguito da 1 infermiere in più ogni 6 pazienti ha il 30% in meno di probabilità di andare incontro a complicanze evitabili, come infezioni, ulcere da decubito, cadute.
Secondo studi internazionali, ogni 10% di riduzione del personale infermieristico comporta un aumento del 12% della mortalità a 30 giorni. (Aiken et al, The Lancet 2014)
Costo evitabile per il SSN stimato: oltre 1 miliardo €/anno in ricoveri prolungati, riammissioni e complicanze gestibili con un’adeguata assistenza infermieristica.
2. Inappropriatezza organizzativa
La mancata integrazione infermieristica in strutture intermedie, come ospedali di comunità e medicina territoriale, genera un uso improprio dei Pronto Soccorso e degli ospedali per acuti.
Costo evitabile stimato: 1,5–2 miliardi €/anno, considerando accessi evitabili in PS e inappropriatezza delle degenze ospedaliere. (FNOPI 2022 – Ministero della Salute)
Senza una rete infermieristica sul territorio, i pazienti cronici tornano ciclicamente in ospedale, esacerbando i costi sanitari e peggiorando la qualità di vita.
Costo sociale e sanitario stimato: 4–5 miliardi €/anno, tra riammissioni, ricoveri e perdita di autonomia che sarebbe evitabile con una presa in carico domiciliare.
Formare più medici è importante, ma ignorare il collasso dell’assistenza infermieristica significa condannare il sistema sanitario all’insostenibilità. In un Paese che invecchia, con cronicità in aumento e un fabbisogno di cura sempre più spostato fuori dall’ospedale, l’infermiere è una figura centrale. Continuare a sottovalutarla significa minare le fondamenta stesse della sanità pubblica.
La vera domanda, dunque, non è “quanti medici avremo?”, ma: chi si prenderà cura dei pazienti, delle famiglie e delle comunità? Se questa deriva non si arresta, non sarà solo l’infermieristica a spegnersi: sarà l’intera idea di cura a diventare insostenibile.
Irene Rosini
Presidente Ordine delle Professioni Infermieristiche Pescara