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Nella PA di Trento è alto il disagio fra i medici ospedalieri. Solo il 26,6% resterebbe nel pubblico

Parla chiaro lo studio recentemente concluso da Cimo-Fesmed nazionale. Nella PA di Trento il 69% degli intervistati, se potesse tornare indietro, rifarebbe la scelta di fare il medico, ma solo il 26,6% lo farebbe in ambito ospedaliero. Brugnara (Cimo): “Il disagio qui è più alto che altrove e molti colleghi vedono quale unica soluzione quella di passare alle dipendenze delle strutture private abbandonando il pubblico”. I DATI TRENTINI

10 FEB - “Trentino, terra di autonomia e delle ‘condizioni contrattuali economiche e normative migliori’. Almeno così dovrebbe essere; ma è emerso, dal sondaggio sul benessere lavorativo promosso dalla Federazione Cimo-Fesmed, che la provincia che rappresento ha registrato un quadro a tratti anche peggiore rispetto alla media nazionale”. Con queste parole il segretario di Cimo Trentino, Sonia Brugnara, commenta i risultati del recente sondaggio Cimo-Fesmed da cui emerge che il 72% dei medici ospedalieri vorrebbe lasciare il pubblico e per uno su tre qualità della vita insufficiente. Il Trentino non fa eccezione.

Il primo segnale che è emerso dal sondaggio è che la Provincia Autonoma di Trento ha avuto fra i rispondenti il numero più alto rispetto alle altre regioni d’Italia. Un segnale, il segretario Cimo Trentino, che qui “il disagio dei medici è molto alto ed il paradosso sta nel fatto che molti colleghi vedono quale unica soluzione alla loro condizione di lavoro, quella di passare alle dipendenze delle strutture private abbandonando il pubblico, ecco perché molti si licenziano”.

Dalla ricerca sul benessere lavorativo si evidenzia che il 69% degli intervistati trentini, se potesse tornare indietro, rifarebbe la scelta di fare il medico, ma solo il 26,6% farebbe il medico ospedaliero. Rispetto ai colleghi delle altre regioni, in Trentino molti più medici, il 29,3 % (rispetto alla media nazionale del 18,9%), vorrebbe anticipare il momento del pensionamento.  

Sulle ore lavorate, solo il 9% degli intervistati dichiara di esercitare 38 ore settimanali (orario contrattualmente dovuto), mentre il 63% lavora fino a 48 ore settimanali ed il 28% oltre le 48 ore (in quest’ultimo caso non è nemmeno rispettata la direttiva europea), scostandoci ancora una volta dalla media nazionale.

Il crollo della categoria la si ha sul fronte delle aspettative, fra il momento dell’assunzione e la situazione odierna: qui i medici trentini dimostrano un diffuso scoramento scadendo dal 76% al 19% nei confronti delle attese sulla professione, dal 38% al 5% sulle aspettative di carriera e dal 37% al 9% sulla remunerazione.

Solo il 22% dei dirigenti medici trentini non ha giornate di ferie non godute mentre il 78% ha da 10 a più di 100 giorni di ferie non godute.

“I risultati del sondaggio parlano chiaro – esamina il segretario Sonia Brugnara – e rilevano un diffuso disagio in un ambiente lavorativo difficile. Non volere più svolgere il lavoro del medico ospedaliero, non avere aspettative di carriera e volere andare in quiescenza il prima possibile, sono tutti segnali di un forte disagio che la categoria dei medici sta vivendo e non dobbiamo necessariamente dire che è sempre colpa dell’emergenza sanitaria”.  

“Poiché una buona amministrazione non può improvvisare e affidarsi agli oroscopi – conclude il segretario Brugnara - è necessario affrontare alla radice i nodi che la pandemia ha fatto venire al pettine in ordine alla carenza ed un disagio lavorativo che da molto tempo avevamo evidenziato in tutte le sedi disponibili, addirittura prima dell’arrivo del Covid. Checché se ne dica, questi numeri manifestano un sintomo di forte disagio e le istituzioni, se veramente vogliono salvare il salvabile, dovranno intervenire ora e subito con politiche a sostegno dei medici ascoltando le organizzazioni sindacali, piuttosto, come spesso accade, di farci intervenire a cose già decise”.

Endrius Salvalaggio

10 febbraio 2022
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