Correva l’anno 2004 allorquando scrivevo della necessità in Calabria di pervenire a una riforma strutturale della sanità, che rivedesse l’organizzazione soprattutto ospedaliera. Ciò soprattutto nell’ottica – rispettosa della riforma del 1978 – di considerare l’accesso alle cure di spedalità come residuale, e non già come affermato da qualche decisore come ultimo tassello della filiera assistenziale. Un’idea che mi venne fuori leggendo la legge n. 11 di quell’anno, che presentava strafalcioni di ogni tipo, seppure di approvazione di un PSR che, sul piano ricognitivo, era un esempio di verità e di conoscenza della materia.
Stessa idea manifestai nel 2008, allorquando divenni soggetto attuatore del Commissario di protezione civile Vincenzo Spaziante, con il quale facemmo un’accurata ricognizione del deficit patrimoniale a tutto il 2018, del quale (ahinoi) nessuno tenne conto. Stessa idea proposi all’allora sottosegretario Lotti allorquando, nel 2014, mi fu proposto di essere il primo commissario ad acta del Paese non Presidente di Regione. Un’occasione alla quale rinunciai a seguito di un’autoritaria e indebita intromissione nel mio progetto da parte di un esponente politico calabrese.
Ebbene, in ognuno di questi appuntamenti provai a elaborare l’istituzione di un’unica azienda ospedaliera regionale, pur sapendo le enormi difficoltà che comportava una fusione per unione a freddo di dimensioni e valori debitori notevoli. Lo feci forte della mia esperienza di avere gestito l’aggregazione delle allora otto USL in quattro Asp (otto e non undici, non potendo intervenire sulle tre USL reggine da accorpare nell’Asp di Reggio Calabria perché soggette alla disciplina dello scioglimento per mafia).
Oggi la si riscopre, senza però spiegare bene il come e il quando, ma soprattutto non godendo di una governance regionale che possa essere all’altezza del compito. Ciò in considerazione di quanto accaduto con la fusione (per modo di dire) che ha generato la sedicente AOU “Dulbecco”, lasciata dolosamente orfana del DPCM a causa di “sagge” expertise di avvocati pubblici e “accademici”, generando così un mostro giuridico-economico.
Non solo. Non tenendo conto di cosa accade quotidianamente nella sanità calabrese, con una gestione isterizzata dei conti regionali al lordo delle aziende del Servizio sanitario calabrese, destinato a essere martire di chiunque.
Toccare gli impianti istituzionali è cosa delicata. È materia di certo non affidabile a fantasiosità e invenzioni giuridiche, ma soprattutto da decidere sui naturali dolori che il cambiamento andrà a generare a seguito delle profonde mutazioni organiche dell’organizzazione nata per produrre la salute.
A dettare le regole – e prima di esse a giustificare la ratio di un siffatto radicale stravolgimento della rete ospedaliera, comprensiva di tutti gli spoke oggi in capo alle Asp – sono il fabbisogno tridimensionale, epidemiologico e della viabilità in stretta connessione con i trasporti pubblici locali, con prioritaria valutazione del potenziamento dell’offerta dell’assistenza di prossimità (oggi non estimabile per l’assoluta assenza delle case e degli ospedali di comunità).
Solo questo? A voglia di adempimenti valutativi prima di accendere un motore che rischia di fondere dopo pochi chilometri.
Ettore Jorio