Le recenti accuse e rappresentazioni mediatiche sul funzionamento dei Pronto Soccorso regionali esplose in seguito al caso di una paziente ricoverata per una frattura al femore che ha perso la vita nel pronto soccorso dell’ospedale Sirai, ha portato i direttori delle strutture di Emergenza-Urgenza della Sardegna ad esporre la propria vicinanza alla collega che si è trovata coinvolta, nonché ad annoverare le criticità in cui versa quotidianamente la Sanità sarda nel contesto della propria attività.
Così, in una lunga lettera inviata all’assessore alla Sanità Armando Bartolazzi, ai commissari delle Aziende sanitarie, ai presidenti degli ordini dei Medici della Sardegna e ai sindacati dirigenza Medica e comparto Sanità, i dirigenti delle menzionate strutture sanitarie dei territori provinciali dell’isola hanno espresso le proprie precisazioni; a parlare sono Anna Laura Alimonda (Santissima Trinità), Giovanni Sechi (Ospedale Civile di Alghero), Wolfgang Orecchioni (Aou Cagliari), Luca Pilo (ospedale Ozieri), Michela Matta (San Francesco di Nuoro), Priscilla Ongetta (San Martino di Oristano), Nicola Tondini (Paolo Dettori di Tempio), Stefano Sau (Direttore sanitario di Areus), Paolo Pinna Parpaglia (Santissima Annunziata, Sassari), Pietro Fortuna (Paolo Merlo, La Maddalena).
I direttori partono proprio dalla vicenda dell’anziana morta a Carbonia dopo circa 13 giorni trascorsi al pronto soccorso del Sirai portata a causa di una frattura al femore, ed esprimono la più viva solidarietà e vicinanza alla collega della suddetta struttura di emergenza. La denuncia era stata presentata in una interpellanza dalla consigliera comunale del Comune di Carbonia, Daniela Garau (FdI), ma la ASL7 aveva già presentato una relazione a riguardo all’assessore della Sanità che aveva avviato le procedure di accertamento. La stessa Asl7 ha poi pubblicato attraverso la propria pagina facebook anche una lettera di parenti della paziente deceduta che attesta di un quadro clinico severo che la paziente già presentava per altre patologie, e del costante monitoraggio ed assistenza alle cure ricevute da parte del personale medico e sanitario del pronto soccorso.
“Fin da subito vogliamo ribadire che la difesa della collega è la difesa di tutti noi” – affermano i medici -. E proseguendo scrivono: “Ogni Direttore di Pronto Soccorso, ogni medico, ogni infermiere che opera quotidianamente nei reparti dell’emergenza, riconosce in questa vicenda se stesso, le proprie difficoltà e il proprio senso di responsabilità. Difendere una collega significa difendere l’intera categoria di professionisti che, giorno e notte, sorreggono un sistema che si regge sul loro sacrificio, sulla loro dedizione e sulla loro tenacia”.
Ma ecco esprimere la loro disapprovazione e sconcerto verso chi ha sollevato strumentalmente e in maniera imprecisa e superficiale il caso in questione per puntare il dito contro l’assistenza e le strutture da loro dirette. “Ancora una volta – sottolineano gli specialisti -, si assiste allo sdegno improvviso e tardivo di chi, pur conoscendo perfettamente le criticità strutturali del sistema, sceglie di puntare il dito contro l’unico presidio che non chiude mai: il Pronto Soccorso. È doveroso ricordare che il Pronto Soccorso rappresenta la porta di ingresso dell’intero sistema sanitario, ma non ne è il punto di arrivo. I tempi di attesa, i ritardi nei ricoveri e le difficoltà di gestione dei pazienti non sono il frutto dell’inefficienza dei professionisti che vi operano, bensì l’effetto diretto di una rete ospedaliera in sofferenza, dove i presidi periferici – spesso collocati in aree disagiate – sono costretti quotidianamente a confrontarsi con l’assenza o la ridotta disponibilità di reparti specialistici;
“A tutto questo – ricordano i direttori – si aggiunge una piaga che da anni affligge il sistema sanitario: il boarding, ovvero la permanenza prolungata in Pronto Soccorso di pazienti già valutati e in attesa di ricovero. Un fenomeno tanto frequente quanto inaccettabile, che trasforma i Pronto Soccorso in reparti di degenza forzata. Ci troviamo spesso a gestire pazienti per giornate o addirittura settimane, in condizioni di sovraffollamento che mettono a rischio la sicurezza, la dignità e la qualità delle cure. Il boarding non è una responsabilità dei medici o degli infermieri dell’emergenza: è il sintomo di un sistema che non riesce più a garantire il proprio flusso di presa in carico, e che scarica sul Pronto Soccorso l’intera disfunzione organizzativa dell’assistenza ospedaliera. Chi opera nei Pronto Soccorso conosce bene cosa significhi prendersi carico di pazienti in barella, in attesa di un posto letto che non si libera mai. Eppure, nonostante tutto, il personale continua a garantire assistenza, dignità e sicurezza, spesso oltre ogni limite umano e professionale”.
“Siamo stanchi di assistere a campagne mediatiche superficiali e offensive, che trasformano in colpevoli coloro che ogni giorno sorreggono, con abnegazione e competenza, un sistema che altrimenti collasserebbe. Se davvero si vuole cambiare qualcosa, si inizi ad applicare con rigore le regole esistenti, a far rispettare le reti Hub & Spoke, e a riconoscere il valore e il sacrificio di chi lavora nei Pronto Soccorso della Sardegna. Il caso di Carbonia non è un’eccezione: è la fotografia quotidiana di una realtà che tutti conoscono, ma pochi hanno il coraggio di denunciare. Con dignità e fermezza, respingiamo ogni accusa infondata e riaffermiamo il nostro impegno a tutelare i pazienti, ma anche i professionisti che ogni giorno difendono, nel silenzio e nel sacrificio, il diritto alla salute di tutti” – concludono i medici.
Elisabetta Caredda