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Vaccino anti-cancro: alla Stanford al via trial sull'uomo

di Maria Rita Montebelli

Si inietta direttamente all’interno del tumore. Questo determina la super-attivazione dei linfociti T già presenti nel tumore e ‘abituati’ a riconoscerne la sua carta d’identità proteica In questo modo è il sistema immunitario del paziente che distrugge sia le cellule del tumore primitivo che quelle delle metastasi a distanza. Nei topi ha funzionato. Pochi giorni fa è partito il primo trial nell’uomo

05 FEB - Torna alla ribalta l’argomento vaccino anti-cancro e questa volta le buone notizie vengono dalla Stanford University School of Medicine, uno di centri più prestigiosi degli Usa.
 
Gli scienziati americani hanno dimostrato su modello animale (il topo) che l’iniezione di piccole quantità di due agenti immuno-stimolanti direttamente all’interno di un tumore solido, grazie all’attivazione dei linfociti T,sarebbe in grado di eliminare ogni traccia del tumore, anche a livello delle metastasi a distanza.
 
E’ una specie di ‘vaccino anti-cancro’ in grado di funzionare su vari tipi di tumore e per giunta relativamente economico. Gli autori dello studio, pubblicato su Science Translational Medicine -  assicurano inoltre che questo approccio è del tutto privo degli effetti indesiderati osservati con altre forme di stimolazione di immunoterapia.
 
“Questo tipo di approccio – spiega Ronald Levy, professore di oncologia alla Stanford e uno dei pionieri nell’immunoterapia oncologica–bypassa la necessità di individuare dei target immunitari specifici per ogni tumore e non richiede né l’attivazione globale del sistema immunitario del paziente, né la manipolazione delle cellule immunitarie del paziente (come avviene nella terapia a cellule CAR-T)”.
 
Uno dei due agenti utilizzati nel metodo Stanford è già approvato per l’uso nell’uso; l’altro è stato testato in diversi trial (non correlati a questo) sull’uomo. E dopo i successi negli studi sui topi, a gennaio è partito uno studio per vagliare l’effetto di questo trattamento rivoluzionario su un gruppo di pazienti con linfoma.
 
“Tutti i progressi fatti nel campo dell’immunoterapia – commenta Levy – stanno rivoluzionando la pratica clinica in oncologia. Il nostro approccio si avvale di un’unica somministrazione di piccolissime quantità di due agenti in grado di stimolare le cellule immunitarie, solo all’interno del tumore. Nel topo abbiamo osservato degli effetti incredibili sul tumore, estesi anche alle metastasi, che scompaiono del tutto”.
Il metodo Levy consente di riattivare i linfociti T specifici del tumore iniettando quantità infinitesimali di due agenti,direttamente all’interno del tumore. Gli ‘agenti’ in questione sono l’oligonucleotideCpG, una breve sequenza di DNA, che amplifica l’espressione di un recettore attivante (l’OX40) sullasuperficie delle cellule T. L’altro è un anticorpo che legandosi all’OX40, attiva le cellule T e le scatena contro le cellule tumorali.
 
Dato che i due agenti sono iniettati direttamente nel tumore, ad essere attivate sono solo le cellule T infiltranti il tumore. Questi linfociti infiltranti il tumore peraltro è come se fossero già stati pre-selezionati dall’organismo per riconoscere in modo specifico solo le proteine associate al tumore. Una volta attivati, alcuni di questi linfociti T lasciano il tumore primitivo per andare a riconoscere  e a distruggere le altre cellule tumorali in giro per il corpo. Questo è almeno quanto è stato osservato negli animali da esperimento ed ha funzionato in 87 su 90 dei topi sottoposti a questo trattamento. In tre animali, il cancro si è ripresentato, per poi scomparire definitivamente ripetendo un secondo ciclo di trattamento.
Il ‘vaccino’ è stato testato su modelli sperimentali di topi con linfoma, melanoma, cancro della mammella e del colon e sembra funzionare in tutti questi contesti.
 
“Si tratta di un approccio veramente a target – spiega Levy – ma con questo sistema attacchiamo dei target specifici senza dover andare ad individuare esattamente quali proteine le cellule T attivate stanno riconoscendo.”
 
Il trial clinico appena varato interesserà 15 pazienti con linfoma di basso grado; se anche l’uomo questo approccio si mostrerà valido, secondo Levy potrebbe funzionare su diversi tipi di tumore. La possibile applicazione clinica nell’uomo, preconizzata da questo pioniere dell’immunoterapia (tra l’altro gli studi condotti nel laboratorio di Levy hanno consentito di portare alla messa a punto del rituximab), prevede l’iniezione dei due agenti all’interno del tumore primitivo, prima dell’intervento chirurgico, per prevenire la diffusione metastatica del tumore e le sue recidive. Altro possibile campo di applicazione è nello scongiurare lo sviluppo di futuri tumori dovuti alle mutazioni genetiche BRCA1 e 2.
 
“Nella misura in cui sia presente un infiltrato di cellule immunitarie- afferma Levy – ritengo che non ci sia limite alla tipologia di tumore che saremo potenzialmente in grado di trattare”.
 
Maria Rita Montebelli

05 febbraio 2018
© Riproduzione riservata

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