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Come la medicina americana (ma non solo) si sta autodistruggendo

di Andrea Gardini

Nel 2011 un filosofo e un chirurgo americani scrissero un articolo che oggi l’ex editor del Bmj, Richard Smith commenta sul suo blog. La lettura delle riflessioni di Smith ci pongono interrogativi ai quali non si può sfuggire e che chiamano in causa tutti coloro che si occupano di medicina e sanità

22 FEB - Il 19 febbraio 2018 Richard Smith, già editor della prestigiosa rivista British Medical Journal, scrive, sul suo blog della stessa rivista, un interessante commento ad un intervento del filosofo Daniel Callahan  e del chirurgo Sherwin B. Nuland, autore del bel libro "Come moriamo". 
 
L'articolo fu pubblicato ormai nel 2011 su New Republic dai due Autori, entrambi nati nel 1930 e all'epoca già ultraottantenni. Richard Smith dice che l'articolo per lui è stato uno squarcio nel buio, come se esprimesse quello che quasi noi tutti abbiamo in mente, ma facciamo fatica ad articolare con le parole. Lo considera come uno dei pensieri più alti fra quelli letti in questi ultimi anni. Più alti e più ovvii, quasi banali. Anche per me leggere il commento di Richard Smith e le parole di Callahan e Nuland è stato un chiarimento importante, ed ho scelto di condividerlo pubblicamente. 
               
E' dal 1978 che faccio parte di un gruppo fortunato di medici, infermieri e altri operatori sanitari che si interroga e sta cercando di operare a vario titolo, in vario modo e sotto varie denominazioni ed etichette evolutive nel servizio sanitario pubblico, per migliorare la qualità dell'assistenza sanitaria.
 
Ci sono state molte evoluzioni del pensiero sulla cura di qualità, molte discussioni e molte realizzazioni in Italia e nel mondo, a partire dalla Dichiarazione di Alma Ata, 1978. Essa ha generato ovunque tentativi di operare per migliorare la qualità delle cure avendo al centro l'interesse per la salute dei pazienti e dei cittadini e come meta da raggiungere un servizio sanitario pubblico e universale compiuto e sostenibile, al servizio della salute delle persone e delle comunità.
 
Il titolo del lavoro dei due Autori "Come la medicina americana si sta autodistruggendo", secondo Richard Smith, è applicabile, oggi, a tutti i sistemi sanitari dell'Occidente. Smith, seguendo il ragionamento di Callaghan e Nuland, argomenta in maniera molto efficace alcuni pensieri basati tutti su "fatti", cose reali che stanno avvenendo anche qui da noi, che stiamo subendo un attacco senza precedenti al nostro servizio sanitario nazionale proprio dai modelli e dagli interessi che negli USA stanno andando per la maggiore, e che, secondo gli Autori citati, stanno distruggendo la medicina.
 
Questa domanda, secondo Smith, ha lo stesso impatto dei pensieri sui cambiamenti climatici, indotti dall'uomo nel suo sforzo scriteriato di sostenere lo sviluppo continuando a estrarre combustibili fossili e a proiettarne i residui nell'atmosfera, generando meno, anziché più, salute. I due, dice Smith,  sono fenomeni paralleli, anche se gli abitanti dell'"Occidente sviluppato" ne hanno raramente la percezione.  Callahan e Nuland iniziano la loro riflessione citando un libro del 1959 di René Dubos, "Il Miraggio della Salute": "La completa e perenne libertà dalle malattie è un miraggio simile a quello del Giardino dell'Eden".
 
Sfortunatamente, dice Smith, quel miraggio è ancora vivo, ed ha alimentato i nostri sogni a partire dalla II Guerra Mondiale, il tempo in cui la professione medica ha iniziato la sua "guerra personale contro le malattie". Pur tuttavia siamo di fronte, ad esempio, oggi, all'iniziativa Chan e Zuckemberg  che sta usando molti dei profitti di Facebook per il progetto detto "La Fine di Tutte le Malattie".
 
Callahan e Nuland affermano che dietro gli scopi dichiarati della medicina ci sono tre presupposti, tutti e tre non più indiscutibili:
1."I progressi della medicina sono infiniti";
2. "Nessuna delle più importanti malattie letali è, in teoria, incurabile";
3."I progressi della medicina sono sostenibili con un management adeguato".
 
L'eradicazione del vaiolo, infatti, ha fatto gridare alla possibile eliminazione di tutte le malattie infettive, fino a quando la pandemia di HIV, l'emersione di altre malattie virali e la crescente resistenza agli antibiotici ci hanno costretto a cambiare parere. "Le nostre conoscenze ci dicono che le malattie infettive ci saranno sempre".
 
Anche sulle malattie croniche il parere dei due Autori è netto:" La "guerra al cancro" di Nixon è stato un vero e proprio "flop", anche se qualche progresso è stato fatto e anche per la Sindrome di Alzheimer siamo fermi.
 
Una delle fantasie mediche più attraenti venne proposta da Fries nel 1980, l'idea di comprimere la morbilità: riuscire cioè a vivere una vita lunga e priva di malattie e ad avere una morte veloce, indolore e a basso costo. Questa, per gli Autori citati, era solo una fantasia di Fries, ormai è dimostrato, ad esempio, da uno studio di Crimmins e Beltrand-Sanchez, che si conclude con una frase lapidaria: "L'idea di comprimere la morbilità non ha nessun supporto empirico".
 
Non sembra proprio, insomma, che andiamo incontro a un mondo in cui si morirà senza sperimentare sofferenza, perdite di funzioni e disabilità. "Tuttavia - commenta Richard Smith - dopo l'articolo di Callahan e Nuland in tanti hanno continuato a propagandare un'impossibile immortalità, mentre nella realtà dei fatti in America e nel Regno Unito l'attesa di vita si sta riducendo". "Succede come nella parabola del film "Aguirre Furore di Dio", in cui il conquistatore sogna una vita sempre più gloriosa nell'Eldorado, ma viene sconfitto da malattie infettive e dai legittimi abitanti di quel territorio".
 
"I passi da gigante attesi da anni in seguito alle fondamentali scoperte della genetica e delle cellule staminali non li avevano visti Callahan e Nuland sette anni fa e noi siamo ancora qui ad aspettarli...nonostante i continui annunci trionfalistici" - dice Smith - "i nostri risultati maggiori consistono nel prolungare, con strumenti marginali, la vita di persone molto malate".
 
"Comunque, -commenta Smith - alcuni progressi sono innegabili". Ormai i portatori di cataratta, come lui ad esempio, non diventano ciechi, anzi, se poi sono pure miopi, l'inserzione di una lente artificiale migliora la loro vista, e di questo bisogna essere contenti. "Tuttavia - dicevano gli autori 7 anni fa - questi progressi della medicina saranno portatori di un insostenibile aumento dei costi, in una situazione in cui l'onda del baby boom degli anni 50 si infrangerà sulle scogliere degli anni 20-30 del 2000".
 
Smith ci chiede: "E' progresso curare gli ammalati di tumore per poi farli sopravvivere con l'Alzheimer'?"  Callahan e Nuland concludono: "Il meglio che siamo in grado di fare è prolungare di poco la vita ad alti costi, aumentando la sofferenza delle persone" e " La cura degli anziani è diventata come una trincea nella Ia guerra mondiale: si conquistano pochi metri di terreno aumentando enormemente le sofferenze e i costi umani e materiali.
 
"Nella guerra contro le malattie - dicono i due Autori - abbiamo creato una medicina poco sostenibile oggi e quasi proibitiva domani. La medicina ci sta portando ad avere un'età molto vecchia con una brutta fine, i nostri corpi decadenti che si spengono lentamente come hanno sempre fatto, ma in maniera diabolica, cioè con molta più sofferenza e costi più elevati".
 
La risposta a tutto ciò potrebbe essere secondo Callahan e Nuland: "un sistema meno ambizioso ma più umano, che gestisca meglio l'inevitabile spirale involutiva dell'età". Facile da dire ma difficile da fare. "Ci vorrebbe una specie di conversione religiosa da parte dei medici, dei ricercatori, dell'industria. Una conversione di sistema".
 
"Ve l'immaginate - dice Richard Smith - i medici e i ricercatori che oggi vengono alla TV parlando di conquiste, progressi e nuovi trattamenti salvavita di dubbia efficacia presi improvvisamente dal bisogno di frenare le aspettative e di accettare l'inevitabile?".
 
Rivolgendosi alla ricerca medica, in conclusione del loro articolo, Callahan e Nuland dicono "Dovremmo ridurre le nostre ambizioni sulla medicina, scegliere nuove priorità alla luce degli ostacoli che stiamo incontrando. Basta con la promessa di salvare milioni di vite, ma aumentiamo l'interesse ad assistere (care) le persone ammalate, non insistiamo nel volerle a tutti i costi curare ( cure), se è impossibile.
 
Il modello tradizionale della ricerca medica, la guerra prioritaria contro la morte, dovrebbe essere sostituito dal tentativo di far arrivare tutti sopra gli 80 anni riducendo la mortalità precoce e spostando il nostro interesse al miglioramento della qualità della vita in ogni età. Dice Smith: "E' orribile promettere di aumentare l'attesa di vita quando questa
si sta riducendo".
 
"Operare questo cambiamento significa ribaltare l'attuale gerarchia medica, dando più importanza alla Public Health, alle Cure Primarie ed alle Cure della Comunità e meno importanza alle specialità. Tuttavia il cambiamento maggiore dovrebbe essere quello del pubblico, che ama la medicina e i medici. Questi ultimi dovrebbero fare maggiore attenzione alle conseguenze sociali ed economiche della guerra infinita alle malattie. I medici dovrebbero ricordare al pubblico che questa guerra non si può vincere o che si possono raggiungere solo piccole vittorie incrementali e che, se non stiamo attenti, possiamo addirittura farci del male."
 
"Mi piacerebbe tanto - conclude Richard Smith - sentire più medici nei media proporre queste idee, parlare di medicina in modo realistico, di medicina prudente e la Slow Medicine è un buon inizio.  Bisognerebbe far leggere a ogni studente l'articolo di Callahan e Nuland e bisognerebbe discuterlo con i loro insegnanti, i pazienti, gli amici e le loro famiglie.
 
Conclude: "Ne mando una copia a mia figlia, che studia medicina. Lei e i suoi colleghi hanno una possibilità di cambiare il corso della medicina, farne un'impresa umana, non una battaglia che non vinceremo mai."
 
Andrea Gardini
Medico, co-fondatore di Slow Medicine

22 febbraio 2018
© Riproduzione riservata

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