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Un nuovo protagonismo per i manager di Asl e Ospedali

di Francesco Longo e Alberto Ricci

14 NOV -

Il Rapporto OASI 2022 dipinge un quadro caratterizzato da molte esperienze di innovazione di servizio e dalle opportunità che discendono dagli investimenti del PNRR. Allo stesso tempo, registra una crescente divaricazione tra narrazioni, e conseguenti aspettative di pazienti e cittadini, e reali possibilità di rispondere ai bisogni, a causa della ristrettezza delle risorse finanziarie e umane a disposizione del SSN.

Questa fase di nuova austerity comporta la necessità, dolorosa e difficile, di definire priorità. I documenti nazionali e regionali, spesso, definiscono i setting previsti per il “nuovo” territorio in maniera volutamente lasca, fissando standard piuttosto flessibili sui bacini di utenza, i servizi possibili, i profili del personale presente. Questo può essere naturale e anche funzionale in un Paese così eterogeneo in termini di orografia, densità di popolazione, profili socio-economici, caratteristiche dell’offerta sanitaria, come del resto sottolineato più volte dal Rapporto. Tuttavia, anche gli obiettivi di salute dei servizi territoriali in via di potenziamento rimangano largamente indefiniti.


Le metriche di misurazione dell’implementazione del PNRR sono focalizzate sul rispetto dei vincoli di bilancio e dei tempi di investimento infrastrutturale e tecnologico, senza rilevare i processi di innovazione, l’evoluzione delle competenze, gli impatti sul tasso di copertura dei bisogni, sugli output e sugli esiti intermedi. Sicuramente alcuni indicatori per misurare le dimensioni appena indicate esistono, a livello decentrato e anche centrale (si pensi alla sezione PDTA del Nuovo Sistema di Garanzia), ma appaiono sostanzialmente scollegati dal processo di investimento e riorganizzazione stimolato e finanziato dal PNRR. 

Fisiologicamente, in uno scenario dove sono divergenti i trend tra bisogni e risorse, dove la narrazione collettiva è inconsistente e consolatoria, ma anche dove si differenziano i bisogni tra territori e nei territori, lo spazio di azione per il management aziendale cresce. Chi guida le aziende, ma anche le sue ormai ampie partizioni organizzative (distretti, dipartimenti, piattaforme, ecc.) ha la mission implicita di determinare ciò che ai livelli istituzionali superiori è lasciato ampiamente indeterminato. Si tratta di una grande responsabilità sociale, che sottolinea il ruolo di rilevanza collettiva del ruolo manageriale. 

Quali possono essere, concretamente, alcuni ambiti di autonomia strategica del management, a differenti livelli?

A livello aziendale, difficilmente la trasformazione digitale dei servizi può riguardare con uguale intensità tutte le componenti dell’organizzazione. Anche a prescindere dalle disponibilità tecnologiche ed economiche, le energie istituzionali e umane deputate alla gestione del cambiamento organizzativo complesso sono limitate. Pertanto è opportuno scegliere quali processi di digitalizzazione privilegiare. La digitalizzazione può essere orientata a nuove forme di erogazione, o piuttosto al governo della presa in carico, anche attraverso forme di knowledge transfer tra professionisti; o ancora, può puntare alla comunicazione verso i cittadini o i pazienti, magari con un accento particolare sull’autocura. 
   
A livello settoriale, ad esempio per quanto riguarda l’applicazione del DM 77/22, la disponibilità limitata di personale delle professioni sanitarie impone di scegliere se rendere pivotali le Case della Comunità, gli Ospedali di Comunità (OSCO), l’ADI o la COT come strumenti dove collocare più personale, o quantomeno quello più qualificato o motivato. Purtroppo non è possibile popolare con uguale intensità tutti questi ambiti territoriali, quindi è necessario definire delle priorità aziendali o di distretto. Inoltre, l’individuazione di uno strumento pivotale può aiutare il management a identificare il luogo fisico o organizzativo deputato a operazionalizzare l’innovazione strategica dei processi di cura. 

A livello di singolo servizio, il management dovrà affrontare il tema della definizione dell’utenza. Ad esempio, l’OSCO può avere una missione più step down, di supporto alla dimissione dall’ospedale, con vocazioni da lungodegenza internistica; può avere una caratterizzazione riabilitativa, oppure può essere una forma di avvio, inizialmente gratuita, alla residenzialità socio-sanitaria. O ancora, può svolgere un ruolo di filtro all’accesso in ospedale rispetto agli anziani fragili del territorio. La scelta è difficile ma necessaria e, all’interno della stessa azienda, è legittimo attendersi OSCO con vocazioni differenti.

In assenza di target e metriche proposte dal livello nazionale o regionale per gli impatti dei processi di innovazione, il management può definire la missione per ogni setting di cura e il mandato per ogni innovazione, a cui collegare una metrica coerente di definizione degli obiettivi e di misurazione dell’implementazione. L’ADI può essere misurata sul piano prestazionale, oppure sulla customer satisfaction, oppure sulla riduzione di accessi all’ospedale, oppure su competenze acquisite dal paziente o dal caregiver, oppure ancora attraverso indicatori di esito intermedi: funzionalità mantenuta da parte del paziente, presenza di piaghe da decubito, eccetera.

L’assenza di una metrica sovraordinata può essere considerata protettiva per le innovazioni, che fisiologicamente, se vere e profonde, devono registrare qualche tasso di insuccesso, resistenza, rallentamento.

Ancora più cruciale è definire il processo e le responsabilità di utilizzo degli indicatori fissati e monitorati. Questi ultimi, di fatto, sono meccanismi di disegno organizzativo, dal momento che assegnano compiti e responsabilità di programmazione, gestione e controllo. Tale assegnazione, di fatto, individuerà il vero middle management delle aziende sanitarie dei prossimi anni.

Siamo davanti a una potenziale profonda stagione di cambiamento, che vede un rinnovato protagonismo del livello aziendale. Il management diventa soprattutto change management. Questo richiede di individuare i leader aziendali del cambiamento, da selezionare, ingaggiare e supportare. Significa disegnare e gestire vasti e profondi processi di cambiamento con prospettive pluriennali che spesso, fisiologicamente, superano l’arco temporale del mandato dei direttori, richiedendo scelte programmatorie di ampie vedute.

Il cambiamento va pianificato, vanno acquisite le necessarie competenze, vanno costruiti gli incentivi alla trasformazione, ma soprattutto va accompagnata la trasformazione cognitiva e identitaria dell’organizzazione e della comunità che la circonda. Promuovere e accompagnare il cambiamento in organizzazioni professionali, brain intensive, pubbliche o con un orientamento al servizio pubblico, costituisce una delle azioni manageriali più interessanti e sofisticate.

Francesco Longo e Alberto Ricci
CERGAS, SDA Bocconi



14 novembre 2022
© Riproduzione riservata

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