Cambiare le regole dell’oncologia per portarla sul territorio
di Michela Perrone
I presidenti di Periplo, Simm, Cipomo e Aiom si sono confrontati sulla necessità di un cambio di paradigma nell’assistenza oncologia oltre l’ospedale con l’obiettivo si capire come realizzare una presa in carico ottimale e continuativa dei pazienti alla luce delle nuove opportunità offerte dal Pnrr e dell’esperienza acquisita nel corso della pandemia
17 GEN - Gestire il paziente oncologico guarito o cronicizzato sul territorio, aggiornare un nuovo Piano oncologico nazionale, implementare le reti oncologiche in tutte le regioni italiane e individuare ‘Lea organizzativi’ che garantiscano livelli minimi su tutto il territorio nazionale.
Sono questi i pilastri su quali costruire un’oncologia oltre l’ospedale, delineati nel corso del confronto organizzato nell’ambito del progetto Smart Care, acronimo che sta per Soluzioni e metodi avanzati di riorganizzazione in sanità, messo a punto dall’associazione Periplo (rete delle reti oncologiche) e realizzato con la Società italiana di leadership e management in medicina (Simm) e in partnership con Roche.
Un incontro che ha visto protagonisti i presidenti di quattro società scientifiche oncologiche:
Mattia Altini presidente Simm, la Società italiana di leadership e management in medicina,
Gianni Amunni presidente dell’associazione Periplo,
Luigi Cavanna presidente del Cipomo, il Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri e
Saverio Cinieri presidente Aiom, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica.
Serve un approccio “sartoriale” per rispondere ai bisogni dei pazienti. Sono 3.600.000 i casi prevalenti per patologia oncologica. Di questi oltre il 30% sono guariti e circa il 30% hanno visto cronicizzare la loro malattia e molti pazienti (o ex pazienti) sono anziani con significativa comorbilità. Uno scenario nuovo che ci porta a collocare le patologie oncologiche in una cornice di cronicità. “Oggi molti pazienti con tumori guariscono e altri riescono a vivere molto più a lungo e con una qualità di vita migliore rispetto al passato – ha ricordato
Luigi Cavanna, presidente del Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) – Queste persone hanno bisogni ed esigenze diverse e noi dobbiamo essere in grado di fornire soluzioni diversificate in base alle necessità. Dobbiamo poi essere in grado di definire requisiti minimi per l’oncologia del territorio: il Covid ci ha dimostrato che i tempi sono maturi per una gestione di una parte dei pazienti al di fuori dell’ospedale, sfruttando anche gli strumenti tecnologici a nostra disposizione”.
Gianni Amunni, presidente dell’associazione Periplo, ha evidenziato come oggi il percorso di un paziente oncologico sia caratterizzato da “brevi e ‘intensi’ periodi ospedalieri e da lunghe fasi domiciliari o territoriali molto meno presidiate rispetto al ricovero o al Day Hospital. Eppure sappiamo che i bisogni dei pazienti si esprimono in larga parte a domicilio o nelle strutture sul territorio. Credo che con una buona riorganizzazione, oggi una buona fetta dei pazienti oncologici possa essere gestito al di fuori dell’ospedale”.
Rivedere le regole. Saverio Cinieri, presidente dell’Associazione italiana oncologi medici (Aiom), ha portato la sua esperienza quotidiana: “Purtroppo ci scontriamo con problemi all’apparenza banali che però hanno un peso sulla nostra attività. Un esempio? I nostri computer non sono dotati di videocamera e per effettuare televisite e teleconsulti abbiamo dovuto provvedere personalmente. O ancora: le visite da remoto effettuate nel periodo pandemico non sono state riconosciute a livello burocratico-amministrativo. Credo che serva una forte sinergia con le direzioni generali e, prima ancora, con i medici di medicina generale, che sono gli unici che in questo momento possono aiutarci a seguire il follow up dei pazienti sul territorio”. Il presidente Aiom ha infatti evidenziato come oggi ci sia carenza di oncologi medici da inviare sul territorio, auspicando un potenziamento di personale che avrebbe dovuto essere compiuto da tempo.
Anche per Cinieri, tuttavia, non si deve provare a fornire una soluzione unica per tutti: “La sanità italiana è una grande macchia di leopardo e quando si vanno a rivedere le regole è necessario farlo in modo da tutelare il paziente e le differenze territoriali”.
Per
Mattia Altini, presidente Simm, facendo questo non occorre però cadere nel rischio opposto e cioè incrementare la disomogeneità e minare l’equità di accesso, uno dei principi cardine del nostro Ssn. “Abbiamo 21 servizi sanitari regionali che godono di margini di manovra importanti e magari anche vantaggiosi per il cittadino – ha premesso – Con questa situazione di partenza, non possiamo fornire soluzioni che vadano bene a tutti, ma dobbiamo identificare alcune linee direttrici da consegnare agli ambiti territoriali in modo che possano metterle in campo tenendo conto del contesto in cui si trovano”, ha affermato l’esperto.
Altini ha poi acceso i riflettori sulle competenze: “Bisogna lavorare sulle professionalità diverse dall’oncologo, formando micro-reti multidisciplinari che coinvolgano i diversi professionisti in un lavoro di squadra value-based e si occupino della presa in carico del paziente a 360°”.
I nuovi setting assistenziali. Insomma occorre pensare una nuova organizzazione della oncologia che, capitalizzando le azioni innovative generate in fase emergenziale, definisca una reale integrazione tra servizi territoriali e sistema ospedaliero. “Dobbiamo mettere a disposizione dell’oncologia nuovi setting assistenziali che, in aggiunta a quelli ospedalieri, siano in grado di dare migliori risposte alle diverse esigenze del paziente oncologico: proiezioni territoriali della oncologia ospedaliera, competenze specialistiche oncologiche territoriali, ad esempio – ha sottolineato Amunni – E in questo nuovo disegno organizzativo devono trovare una logica collocazione a livello territoriale attività centrali quali la psiconcologia, la riabilitazione oncologica, il supporto nutrizionale”.
In questo è importante non solo il domicilio, ma anche “i posti letto di cure intermedie, che possiamo sfruttare per esempio per la gestione delle tossicità da chemioterapia, oppure incrementare sul territorio attività di monitoraggio terapeutico e di controllo dell’aderenza al trattamento. Tutte attività che risparmierebbero al paziente di affrontare chilometri di viaggio per passare pochi minuti in ospedale”.
In tutto questo, però, occorre superare l’idea di un’oncologia di serie A (quella ospedaliera) e una di serie B (quella gestita sul territorio): “Dobbiamo riuscire a lanciare un messaggio importante – ha affermato Amunni – e cioè che esiste un solo percorso oncologico di regia ospedaliera ma che ha a disposizione nuovi setting oggi ancora inesplorati”. Per Cinieri tutto questo è possibile a due condizioni: “Intervenire sulla formazione, in modo da avere a disposizione personale competente, e cambiare le piante organizzative delle aziende, che sono rigide e spesso non permettono di affiancare un amministrativo a un clinico”. A questo proposito, Luigi Cavanna ha portato l’esperienza piacentina nella quale “da quasi 20 anni gli oncologi vanno sul territorio, nei piccoli ospedali periferici e lavorano in sinergia con i medici di medicina interna e con quelli di medicina generale. In questo modo i pazienti sono seguiti da un oncologo anche nei centri più piccoli, il carico dell’ospedale centrale diminuisce e gli specialisti sono gratificati. Dobbiamo essere in grado di proporre soluzioni in modo proattivo”.
Il compito di definire concretamente le priorità di intervento è stato lasciato a Mattia Altini, che ha ricordato come sia fondamentale “elaborare un Piano sanitario oncologico aggiornato e che permetta di lavorare in un modo nuovo, proporre agli aspiranti medici quiz attitudinali e non solo di cultura generale e investire anche sull’organizzazione della sanità e non soltanto sulla struttura. I fondi del Pnrr sono importantissimi, ma insufficienti”. Per il presidente Simm, infatti, “non si possono fare cose nuove con regole vecchie: gli stimoli che arrivano della prima linea devono trovare un assetto giuridico che ci consenta di operare in modo dinamico e flessibile. Per raggiungere questo obiettivo, servono competenze avanzate ed è necessario elaborare tutti insieme un Piano che tenga conto del periodo che stiamo vivendo. Sui fondi, poi, credo che 18 miliardi su 209 siano pochi per realizzare quella traiettoria di cambiamento che abbiamo bisogno. Recentemente anche la Corte dei Conti si è espressa in questo senso in due sue recenti revisioni”.
I ‘Lea organizzativi’. Per poter intraprendere queste azioni garantendo a tutti i pazienti gli stessi diritti, sarebbe fondamentale avere Reti oncologiche uniformi: “Abbiamo bisogno di ‘Lea organizzativi’ e non solo legati alle prestazioni – ha affermato Amunni – devono essere garantiti livelli minimi su tutto il territorio nazionale e per questo è indispensabile potenziale in modo omogeneo le Reti oncologiche, che non sono partite in tutte le Regioni”.
In conclusione, Cinieri ha reso noto che “nelle prossime settimane avanzeremo una proposta al Governo per ottenere il diritto all’oblio per i pazienti oncologici guariti”. Chi ha avuto il cancro, infatti, oggi gode di pesanti limitazioni in ambito assicurativo e finanziario, dove non può accedere ad alcuni strumenti. “La nostra proposta si ispira a quanto succede già in Portogallo, dove chi è guarito gode appunto di diritto all’oblio”, ha concluso Cinieri.
Michela Perrone
17 gennaio 2022
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Studi e Analisi