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Riforma del territorio senza personale. Il vero “buco” del Pnrr

di Ettore Jorio

Occorre riconoscere l’errore commesso, di aver pubblicizzato un’assistenza distrettuale  teorica, con Case e Ospedali di comunità e Cot  sprovviste del fattore professionale umano, già difficile, per non dire impossibile, da reperire sul mercato ordinario

04 OTT -

Quando si lavora “senza se e senza ma” ci si guadagna in stima pubblica. E’ quanto accaduto a questo Quotidiano con l’invito di Luciano Fassari a “Presa diretta”. La puntata sul binomio Sanità& PNRR, con quest’ultimo con “Lavori in corsa” lo meritava, così come è da apprezzare l’iniziativa di Riccardo Iacona, sempre sul pezzo. Ieri più che mai..

Il tema trattato rappresentava il nucleo della assistenza sociosanitaria, da assicurare uniformemente alla Nazione,  che rintraccia esclusivamente nel territorio il sito dinamico eretto a garante della salute del cittadino, ovunque e comunque. Un argomento, questo, del quale QS si è reso protagonista, facendone il cavallo di battaglia giornalistico, sin dall’inizio dei lavori sia del Governo che delle Regioni nonché di quelli che li hanno preceduti a livello Unione Europea 

Al di là dei difetti di distribuzione sul territorio, effettuata tuttavia senza il preventivo esame del fabbisogno epidemiologico e rischio clinico occorrenti per individuare le ubicazioni ideali, si è centrato il vero problema: il personale (si veda QS del 26 aprile). Quello per rendere l’edificato servizio pubblico ai cittadini, erogatore delle prestazioni essenziali.

Ebbene, a tal punto, occorre riconoscere l’errore commesso, di aver pubblicizzato un’assistenza distrettuale  teorica, con Case e Ospedali di comunità e Cot  sprovviste del fattore professionale umano, già difficile, per non dire impossibile, da reperire sul mercato ordinario. Un limite serio che sta facendo accadere l’impossibile fino a ieri, ovverosia di ricercare in altri sistemi esteri (cubani, argentini, ecc.) le componenti professionali introvabili (si veda QS del 24 agosto).

Dunque, riconoscere la leggerezza e risolvere, è il primo dei doveri del decisore pubblico. Probabilmente toccherà al Governo che verrà prevedere risorse aggiuntive al fabbisogno standard nazionale per dare vitalità professionale alle strutture individuate dal DM77, altrimenti prive di voce assistenziale.

Un lavoro difficile, perché incidente per diversi miliardi di euro e perché destinato a inciampare con la introvabilità del numero e della qualità di operatori sanitari indispensabili, a causa di una programmazione sanitaria e universitaria che non ha mai saputo prevedere l’occorrente e il necessario.

L’occasione sarà buona perché il/la prossimo/a Premier dia subito il via, unitamente all’iter del regionalismo differenziato programmato e discriminato al meglio, alla definizione definitiva dei livelli essenziali di assistenza sociosanitaria (Lea), all’introduzione del regime dei costi e fabbisogni standard super attrezzati della perequazione necessaria alle Regioni più deboli.

Addendum: si apprende ora dell’ipotesi di decreto ministeriale (!) della Salute che mette a disposizione delle Regioni, per il prossimo anno, un miliardo per riempire (si fa per dire) le strutture territoriali volute dal DM77. Si apprezza l’iniziativa ma relativamente al contenuto economico ci piace ricordare una vecchia frase di Gisberto Govi che in un caso simile disse in genovese “cuschè una musca!” (mi perdonino i liguri!) 

Ettore Jorio

Università della Calabria



04 ottobre 2022
© Riproduzione riservata


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