La sanità è diventata la madre dei problemi. Un covid omicidiario lasciato quasi libero per mesi a fare danni irreparabili ovunque, a cominciare dalla Lombardia sino a ieri “campione di incassi” di mobilità attiva. Una sanità territoriale accennata dal DM77 che, per concretizzarsi e trasformarsi in servizio reso, deve fare buon uso dei fondi PNRR, incrementati da quattrini extra per completamento delle opere e di finanziamenti in conto corrente per riempirle del personale necessario e delle attrezzature indispensabili.
Non ci si può credere
Oggi ne ha uno in più: quella di lavorare bene, certamente meglio di come ha fatto nel passato, cominciando però ad attribuire accuratamente idoneità ai futuri direttori generali delle aziende della salute. Guai, per esempio, ad offrire alle Regioni in rovina la opportunità di rinominare alla carica gli stessi dirigenti che ne hanno distrutto il patrimonio, inficiato i conti economici e resa inadeguata l’erogazione dei Lea.
Le difficoltà a realizzare bene tutto questo, nel senso di mettere a disposizione delle Regioni il meglio del management, è stata accentuata dalla implementazione della originaria disciplina del d.lgs. 502/92. Invero, questa non è che fosse satisfattiva per pervenire al massimo del risultato.
Chi si farebbe operare da un chirurgo aggiornato a criteri d’intervento vecchi di un decennio?
Non già per la tipologia della previsione dell’importante attestato da conseguire prevalentemente presso il sistema universitario nell’esercizio di una programmazione didattica da sviluppare ivi bensì per la mancata imposizione della sua validità ad libitum, perché non sottoposto a scadenza. Una violazione sostanziale e formale alle regole generali per la formazione intesa ad aggiornare i discenti alle più attuali discipline, perché dimostrativa dei necessari acquisiti saperi professionali dei novellati processi e percorsi che in sanità divengono obsoleti prima che altrove per la soggezione che ha la stessa a ricorrenti cambiamenti di regole e di organizzazione specifica.
Una opzione, meglio una dimenticanza del legislatore, che è rappresentativa dell’esatto contrario della ratio legislativa che ne ha introdotto l’obbligo che era quello di assicurare il rilascio di un titolo comprovante le conoscenze giuridico-manageriali necessarie, in quanto tali aggiornate al massimo ad un biennio precedente all’avviso di selezione per la formazione dei professionisti idonei.
Così come invece utilizzato esso dimostra la sua perfetta inutilità, atteso che può riferirsi ad epoche risalenti, a conoscenze quindi pressappoco apprese nel corso di studio di laurea universitaria, spesso terminato diversi anni prima.
Tutto questo ha fatto in modo, anche quest’anno a scadenza del previsto turno biennale con l’avviso pubblico per la formazione del previsto elenco di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie (DM pubblicato in G.U. serie speciale n. 25 del 29 marzo 2022), di prevedere inserimenti negli elenchi, quando va bene, anche di possessori di titoli di alta formazione vintage sino ad arrivare persino a quelli acquisiti quasi per “corrispondenza”, intendendo per tali anche quegli attestati regionali guadagnati con procedure adattate all’occorrenza.
Ed è ciò che è avvenuto con la pubblicazione del 15 dicembre scorso dello “Elenco Nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio Sanitario Nazionale”.
Non solo aggiornamenti obsoleti
A proposito del suddetto elenco, se ne sono viste delle belle, tenuto conto anche della leggerezza legislativa della quale si è fatta menzione a ritenere attualizzati nelle conoscenze possessori di attestati “garibaldini” in tutti i sensi. Ci si è trovati di fronte a valutazioni effettuate dalla Commissione esaminatrice alla sans-façon.
Ciò è facilmente deducibile da motivazioni, che non sono affatto suffragate da precisazioni di metodo e di esito sufficienti a giustificare il corretto esercizio di siffatta consentita discrezionalità.
In numerosissimi casi è infatti dato rilevare che l’accaduto finale costituisce il prodotto amministrativo rappresentativo di una legislazione unta di irragionevolezza.
Non si riesce, infatti, a capire la ratio legislativa e lo spirito di esercizio di una funzione pubblica della nominata commissione di penalizzare chi abbia di fatto svolto per anni alte funzioni dirigenziali in enti del sistema sanitario ovvero in altri appartenenti comunque alla PA o al mondo dell’impresa, impedendogli di assumere una inidoneità a svolgere l’incarico nella gran parte delle regioni del Paese ma solo in Valle d’Aosta e nel Molise. Queste sono quelle che contano meno di 500 mila abitanti!.
Tutto questo senza comprendere, per altri versi, la opzione discriminatoria, introdotta dal legislatore del 2017 (d.lgs. n. 126) di integrazione all’originario testo, di ritenere come differenti e differenziati gli oneri dirigenziali previsti a carico di un manager aziendale a seconda se preposto in una azienda ubicata in una regione al di sopra ovvero al di sotto di 500 mila abitanti.
Al riguardo, vale appena la pena di sottolineare che i livelli essenziali di assistenza (i Lea) da garantire all’utenza tutta sono (fortunatamente) uguali su tutto il territorio nazionale. Un obbligo istituzionale non affatto soggetto, pertanto, ad alcuna elusione tanto da non giustificare la presenza di manager, cui affidare il compito erogativo, di fasce di capacità presunta distinti tra titolari e riserve.
Quanto ai compiti di valutazione delle esperienze dirigenziali esercitati c’è tanto da dire. Ma lo si farà nel 2023, sottolineando sin d’ora che gli esiti cui la commissione è pervenuta sono stati di mera e asettica conferma dei risultati estimativi provenienti dai soliti aridi algoritmi.
La certezza è, comunque, quella che ci sarà tanto gravame, dal quale è verosimile attendersi reinserimenti in prima fascia di quelli che sono stati, spesso incomprensibilmente, esclusi e declassati a tal punto da impedirne l’esercizio di DG.
Il tutto a causa di una “intelligente” modifica legislativa intervenuta ad integrazione delle originarie regole ordinamentali e di un inspiegabile lavoro valutativo della Commissione, verosimilmente vittima del solito stupido algoritmo.
Ettore Jorio e Federico Jorio
Università della Calabria