Non paghiamo le tasse … Secondo ISTAT i redditi prodotti nel 2022, dichiarati nel 2023 ai fini IRPEF, sono stato pari a 970 miliardi, per un gettito IRPEF generato di 189,31 miliardi, in aumento del 6,3% rispetto al 2021, ma inferiore alla crescita del PIL nominale (+7,7%). L’indice IPCA, Indice armonizzato dei prezzi al consumo è stato apri a +8,7% contro un aumento del + 34,5% dei prezzi alla produzione.
Nella piramide dei redditi dichiarati salgono i contribuenti con redditi compresi tra i 20 e i 29mila euro (9,5 milioni) e quelli con redditi medio-alti dai 29mila euro in su, mentre diminuiscono i dichiaranti per tutte le fasce di reddito fino a 20mila euro, che calano da 23,133 a 22,356 milioni.
Il 45,16% degli italiani non ha redditi o non li dichiara! Ne consegue che questi cittadini sono a carico di qualcun altro, rappresentato dal 15,26% dei contribuenti, che dichiarando redditi superiori a 35mila euro pagano il 63,39% dell’IRPEF italiana. Quindi abbiamo una minoranza di “fedeli contribuenti”, che paga sanità e welfare per tutti gli altri ed è stata, fin qui, esclusa da ogni forma di agevolazione.
Pure il Report realizzato dal Centro Studi e Ricerche, presentato alla Camera dei Deputati in data 29 ottobre 2024, denuncia questo squilibrio che rappresenta un problema non trascurabile per l’intero sistema fiscale italiano. Ne deriva che se il 75,80% dei contribuenti dichiara redditi da zero fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 24,43% di tutta l’Irpef come si coprono i costi del welfare e della sanità?
Invece chi guadagna dai 55mila euro in su, poco più del 5% del totale, si fa carico solo di circa il 42% del gettito fiscale e non riceve nulla in cambio.
La composizione dell'evasione fiscale - Come è composta l'evasione fiscale in Italia
Reddito pro-capite degli italiani
Il 2022, come riportato su “Il Sole 24 Ore”, superata la crisi pandemica, è stato l’anno del ritorno alla normalità anche da un punto di vista delle attività economiche e sociali; al tempo stesso, il 2022 è stato tuttavia segnato dall’invasione russa in Ucraina e dall’inizio di una guerra dalle pesanti ricadute anche economiche, a partire dall’accelerazione dei prezzi dei beni di consumo e dall’escalation dei costi energetici.
Redito pro capite degli italiani 2008 - 2022
Reddito nazionale e welfare
Con una popolazione di 59.030.133 cittadini residenti sono 42.026.960 quelli che hanno presentato una dichiarazione dei redditi nel 2023. A versare almeno un euro di Irpef è stata poco più della metà degli italiani.
ùSecondo i dati dell’Osservatorio Itinerari Previdenziali, quasi la totalità delle imposte dirette, 86,33% pari a circa 278 miliardi, va con l’attuale sistema principalmente a beneficio delle prime tre fasce di reddito entro i 20mila euro (circa il 53,19% degli italiani) e in parte a chi dichiara tra il 20 e i 29mila euro (22,61% dei cittadini). Viene da sé che chi paga più imposte, cioè le fasce di reddito più elevate, non beneficia dei servizi che esso stesso ha contribuito a finanziare.
Se si guarda alla sola spesa sanitaria, coloro i quali hanno redditi fino a 15mila euro godono di una differenza tra l’IRPEF versata e il costo della sanità pari a 50 miliardi. Questo valore sale a 57,8 miliardi se si sommano i redditi da 15 a 20 mila euro.
L’ultima Relazione sull’Economia Non Osservata e sull’Evasione Tributaria e Contributiva realizzata dalla Commissione istituita presso il Ministero dell’Economia, che viene pubblicata in parallelo con il Piano Strutturale di Bilancio (PSB), segnala che l’ultimo dato disponibile relativo al 2021 su quanto sfugge all’Erario è complessivamente pari a 82,4 miliardi di euro!
Il valore dell'evasione fiscale - Quanto vale l'evasione fiscale e contributiva in Italia 2015-2019
Il reddito e l’inflazione
Secondo il Report ISTAT nel 2023, il 22,8% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale: valore in calo rispetto al 2022 (24,4%) a fronte di una riduzione della quota di popolazione a rischio di povertà, che si attesta al 18,9%, contro il 20,1% dell’anno precedente.
Nel 2022, il reddito medio delle famiglie (35.995 euro) aumenta in termini nominali (+6,5%), mentre segna una netta flessione in termini reali (-2,1%) tenuto conto della forte accelerazione dell’inflazione registrata nell’anno). Il 4,7% della popolazione (circa 2 milioni e 788mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, ossia presenta almeno sette segnali di deprivazione dei 13 individuati dal nuovo indicatore Europa 2030. Rispetto al 2022 si osserva un aumento delle condizioni di grave deprivazione (la quota era del 4,5%) in particolare al Centro e al Sud e nelle Isole.
Nel 2022, il reddito totale delle famiglie più abbienti è 5,3 volte quello delle famiglie più povere (era 5,6 nel 2021). Quindi aumenta la polarizzazione della ricchezza, come denunciato nel Rapporto OXFAM 2024.
Quindi abbiamo in sintesi:
Autonomia differenziata e “sanità integrativa”
Non è chiaro come tutto questo possa conciliarsi con l’applicazione della recente Legge sull’”Autonomia differenziata” senza per ora affrontare il finanziamento dei LEPS – e neppure una loro accurata definizione – e senza un rapido ed ampio adeguamento dei LEA. È una domanda che ci dobbiamo porre con preoccupazione.
Assistiamo in tutte le Regioni ad un ricorso alle prestazioni erogate da soggetti privati ed una esternalizzazione dei servizi. Nel 2021 il rapporto % tra sanità “pubblica” e sanità “privata accreditata” era nell’assistenza ospedaliera 51 a 49, nella assistenza ambulatoriale 40 a 60, e nell’assistenza territoriale 25 a 75. Solo nelle reti di emergenza e urgenza (PS e DEA) la sanità “pubblica” era al 97% contro il 3% dei privati “accreditati”.
Il WHO Europe nel Report dell’Observatory on health systems and policies - Policy Brief 56 “Coinvolgere il settore privato nella fornitura di beni e assistenza sanitaria - Lezioni di governance dalla pandemia di COVID-19”, propone una riflessione sul rapporto pubblico e privato affermando che “l’obiettivo principale per sfruttare bene le capacità del settore privato è quello di migliorare la fornitura di beni e servizi sanitari, e di farlo in modo da coinvolgere efficacemente il settore privato in linea con gli obiettivi e le priorità del sistema sanitario. Pertanto, dal punto di vista delle politiche pubbliche, l’allineamento degli obiettivi e la compatibilità dovrebbero essere i fattori chiave per stabilire i potenziali impegni del settore privato. Questo è un requisito minimo e può fungere da fondamento per qualsiasi ulteriore sviluppo che possa essere perseguito dai politici e dagli enti attuatori nell’allineare le strutture istituzionali e normative che promuovono o integrano più attivamente gli impegni del settore privato nei sistemi sanitari a fornitura mista. Le evidenze che derivano dai casi di studio sottolineano inoltre come la coerenza e la prevedibilità degli impegni sono elementi chiave per mantenere la fiducia e costruire relazioni pubblico-private di successo”.
WHO ritiene che sia necessario affrontare esplicitamente l’equa condivisione del rischio per proteggere i pagatori pubblici e rafforzare la responsabilità dei fornitori del settore privato.
Con il “Job Acts” del 2016 (Governo Renzi) uno dei punti di maggior vantaggio dei Fondi Integrativi Sanitari – che oggi associano oltre 14.000.000 di assicurati - è la loro deducibilità fiscale, fissata a €. 3.615,20 al 2013, questo mentre l’investimento medio pro-capite pubblico in Italia per la sanità è di circa €. 2.470,00 contro i circa €. 3.473,00 pro-capite della Francia e i circa €. 4.477,00 pro capite della Germania.
Quindi lo stato italiano consente alla “sanità integrativa” un tetto pro-capite di spesa deducibile fiscalmente, ovvero pagata con le tasse, che è circa 2,5 volte il tetto di spesa pro-capite previsto nel FSN per tutti i cittadini.
Quindi il lavoratore con CCNL in cui è previsto un tetto di deducibilità delle polizze collettive da “sanità integrativa” può accedere al SSN per un contributo pro-capite pari a €. 2.470,00 come tutti i cittadini residenti più fino a circa €. 3.615,20 di tetto delle polizze collettive della sanità “integrativa” = €. 6.085,20!
Ci sarebbero da fare delle considerazioni sui “garantiti” e sui “precari” a proposito di diseguaglianze di salute.
Ricordiamoci inoltre che il peso della sanità “accreditata” nella spesa complessiva del Servizio Sanitario Nazionale nel 2018 è stato pari a “€. 392,00 per abitante, pari al 20,3% della spesa complessiva del SSN in aumento rispetto al 2017 (€.362,00, 18,8%)”.
Secondo la ricerca “Pubblico e privato nella sanità italiana” condotta dall’Università degli Studi di Milano, il SSN fornisce a “gestione diretta” il 63% dei servizi richiesti dai pazienti (€ 69,8 mld), mentre “acquista” dal settore privato “accreditato” il restante 37% (€ 41,5 mld). Quindi il SSN e i SSR sono i primi clienti per la sanità privata “accreditata” acquistando il 60% delle sue prestazioni, pari a un valore, appunto, di €. 41,5 mld.
In media, secondo i dati CENSIS, bisogna aspettare più di 60 giorni per poter accedere alle strutture del SSN, mentre si ricorre spesso a visite specialistiche e ad analisi sia in strutture private “accreditate”, che spesso hanno il doppio regime, sia private “private” o “convenzionate” con Assicurazioni e Mutue – vedi “sanità integrativa” - perché non si trova posto nel pubblico, o non lo si trova nei tempi che servono, spendendo circa €. 580,00 all’anno pro capite.
Il Piano Strutturale di Bilancio 2025-2029
Le nuove regole impongono un cambio di paradigma nella politica economica europea e nazionale. La programmazione di bilancio viene orientata a medio termine, superando i vincoli e i parametri del precedente Patto di Stabilità e Crescita (PSC) preesistente. Si dà centralità alle proiezioni di lungo termine della spesa che tengano conto delle tendenze demografiche. Questo è il risultato di una lunga trattativa che ha portato alla definizione della nuova governance economica europea. La soluzione di compromesso raggiunta a ventisette Paesi ha definito un insieme di regole complesse sia a livello comunicativo sia tecnico.
La programmazione della spesa pubblica nei singoli Paesi UE viene integrata con piani di riforme e di investimenti pubblici finalizzati a garantire una maggiore coerenza dell’intero impianto delle politiche economiche nazionali e una sostenibilità della finanza pubblica basata non solo sulla disciplina di bilancio, ma anche sulla crescita sostenibile e le riforme strutturali.
L’Italia è il Pase UE con il maggiore debito pubblico. Il Piano strutturale di bilancio ha fissato il target del debito pubblico per il 2024 al 135,8% del Pil nominale, il che corrisponde a circa 2.973 miliardi di euro.
Il PIL però è fermo nel 3° trimestre 2024:
Prospettive di Piano e dinamiche macroeconomiche per l’Italia
Il deficit della PA per l’Italia per il 2024 era stato previsto dalla Commissione UE era pari al 4,4% del PIL. La stima è stata poi aggiornata al 3,8% del PIL. Il miglioramento è dovuto sia a un più favorevole andamento delle entrate sia a una dinamica più contenuta della spesa.
Viene confermata la previsione di crescita del PIL per quest’anno (1,0%) alla luce dell’aumento già acquisito sui dati trimestrali nella prima metà del 2024 (pari a 0,6%) e del maggiore numero di giornate lavorative.
La previsione macroeconomica per gli anni 2025-2027 non contiene variazioni di rilievo in confronto al DEF.
Nelle proiezioni del Governo, tuttavia, il saldo primario strutturale è migliore già nel 2024 rispetto alla stima della Commissione (-0,5 % del PIL vs -1,1 %) e raggiunge, come detto, il 2,2 % nel 2029, contro il 2,1 % stimato dalla Commissione.
I corrispondenti saldi nominali (indebitamento netto della PA) dello scenario programmatico migliorano dal -3,8 % del PIL di quest’anno al -3,3 % nel 2025, al -2,8 % nel 2026, al -2,6 % nel 2027 e poi fino al -1,8 % nel 2029. I deficit nominali previsti per gli anni 2024-2026 sono inferiori a quelli dello scenario a legislazione vigente del DEF di aprile.
Le scelte del Governo
Il Governo Meloni conferma e intende rendere strutturali gli effetti del cuneo fiscale sui redditi da lavoro dipendente fino a 35 mila euro e l’accorpamento delle aliquote IRPEF su tre scaglioni già in vigore quest’anno. Il Governo si impegna a salvaguardare il livello della spesa sanitaria assicurandone una crescita superiore a quella dell’aggregato di spesa netta. Per gli anni successivi al 2026, intenderebbero stanziare le risorse necessarie a mantenere gli investimenti pubblici in rapporto al PIL al livello registrato durante il periodo di vigenza del PNRR.
La discesa del rapporto tra debito pubblico e PIL nei prossimi anni, soprattutto nel periodo 2024-2026, sarà frenata dall’impatto dei superbonus edilizi introdotti a partire dal 2020. Le previsioni del Piano scontano, pertanto, un moderato aumento del rapporto debito/PIL fino al 2026, che negli anni successivi sarà seguito da una discesa in linea con le nuove regole che richiedono una riduzione annuale media di almeno un punto percentuale di PIL.
Primo obiettivo macro assunto nel PSB è la piena attuazione degli impegni assunti con il PNRR e l’individuazione di iniziative aggiuntive che il nostro Paese dovrebbe assumere in continuità con il PNRR a fronte dell’estensione del periodo di aggiustamento di bilancio a sette anni.
Il secondo obiettivo, come indicato nel Piano, sono le riforme e le misure di politica economica che dovrebbero essere adottate in risposta alle Raccomandazioni del Consiglio UE specifiche per ogni singolo Paese, oltre alle iniziative in merito che fanno parte del programma dell’attuale Governo.
Al momento la situazione economica, occupazionale e di finanza pubblica dell’Italia è in declino per la caduta dei livelli produttivi dell’industria, il preoccupante allargamento dei conflitti internazionali e sfide tecnologiche e ambientali di crescente complessità. Difficile dire se la “traiettoria” futura negoziata con la UE sarà favorevole o meno, così come se i benefici attesi ricadranno in modo equo su tutti i cittadini.
Il potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale
Partendo dagli obiettivi PNRR, il Governo sembra voler perseguire il potenziamento di alcune misure per il Sistema Sanitario Nazionale, tra cui l’efficientamento delle reti di medicina generale, delle reti di prossimità, delle strutture per l’assistenza sanitaria territoriale (Case della Comunità, le Centrali Operative Territoriali e Ospedali della Comunità), l’implementazione della sanità digitale, ed in particolare la telemedicina, con estensione anche ai Dipartimenti di Emergenza e Accettazione di I e II livello.
Così come si prevede di continuare nel processo di ammodernamento delle grandi apparecchiature sanitarie.
Anche gli investimenti sulla ricerca e per la formazione e lo sviluppo delle competenze tecniche, professionali digitali e manageriali del personale del sistema sanitario dovrebbero avere un ruolo primario.
Inoltre, per permettere un maggiore efficientamento della sanità italiana, il Governo si impegna ad attuare:
Margini di manovra e vincoli strutturali …
È evidente come i margini di manovra a livello economico e finanziario per l’attuale Governo - e ciò varrebbe per qualsiasi governo ci fosse oggi o nei prossimi anni - sono molto ridotti. Il deficit di finanza pubblica è un macigno che condiziona le scelte al di là delle volontà dei policy maker.
Attualmente per la sanità abbiamo una proposta nel Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 che prevede comunque un contenimento della spesa reale salvo scelte politiche extra budget dichiarato e previsto che ci sembrano improbabili e comunque di entità finanziaria molto contenuta. Un esempio lo stiamo vedendo adesso con la legge per il contenimento delle liste d’attesa.
Nel PSB è in previsione un aumento della spesa per defiscalizzare le quote associative delle Mutue nell’ambito della così detta “sanità integrativa”. Rammentiamoci che un indirizzo di questo tipo, se non avviene in una cornice regolatoria ben congegnata e rigorosamente applicata e con metriche in grado di valutare l’effettiva qualità dei servizi erogati, costituisce un pericolo di spreco ed inappropriatezza che non deve essere considerato con leggerezza.
Non siamo contrari di principio alla cooperazione tra soggetti pubblici e privati, sarebbe anacronistico, ma senza indirizzi programmatori pertinenti e senza flussi informativi specifici sarebbe impossibile capirne lo sviluppo, se non per stime che potrebbero risultare fallaci.
Per la cornice regolatoria c’è da fare subito un lavoro per correggere la sua attuale inconsistenza. Il rapporto pubblico-privato in sanità va regolato con una disciplina che ci faccia evitare sprechi, differenze e diseguaglianze di accessi ai servizi ed equità e universalismo nelle prestazioni, almeno per quanto riguarda il ruolo della sanità privata “accreditata”.
Nuove direzioni per la sostenibilità del SSN
Per un servizio sanitario nazionale in affanno le misure ad oggi ipotizzate e tradotte in atti di governo non basteranno.
Non si discostano da un approccio tradizionale che, sebbene abbia i suoi meriti, sembra aver raggiunto i suoi limiti. Ipotizzano cambiamenti marginali quando invece abbiamo necessità di introdurre innovazioni dirompenti. Siamo ad una svolta che richiede intelligenza e coraggio.
Abbiamo a disposizione le opportunità che ci vengono offerte dalla rivoluzione digitale, se siamo capaci di comprenderne la portata e di farne un’implementazione “democratica” rivolta al bene comune. Se non ci riusciremo i rischi di diseguaglianze di salute cresceranno.
Quali strade dobbiamo, in sintesi, seguire e come? Ecco un elenco di quelle che consideriamo le più importanti.
Andiamo a cercare risorse con l’introduzione di nuove forme di tassazione legate alla salute, come ad esempio una tassa sulle bevande zuccherate o sul tabacco, vincendo finalmente le resistenze delle lobbies e dando conto ai cittadini di come quei soldi li usiamo per finanziare la ricerca e la prevenzione.
Sviluppiamo partnership con le aziende private per lo sviluppo di nuove tecnologie e la realizzazione di progetti di ricerca. Se ne parla ma permangono incertezze e diffidenze che andrebbero superate.
I cittadini vanno coinvolti attivamente nella progettazione dei servizi sanitari non limitandosi a organizzare incontri per raccogliere le loro opinioni e suggerimenti ma come “progettisti” di nuovi servizi o nella riorganizzazione di quelli esistenti.
A queste iniziative andrebbe assegnato un “budget partecipativo”, cioè una parte del budget sanitario riservato alla realizzazione di progetti proposti dai cittadini che anche come testimonianza di quanto le istituzioni credano alla partecipazione sociale.
Coinvolgimento dei cittadini significa anche stringere partnership innovative nei modi e nei ruoli con le associazioni di volontariato e le organizzazioni no profit per offrire servizi complementari e supportare le persone più fragili, per rafforzare risorse ed azioni che vedono insieme aumento della domanda e dell’efficacia ed efficienza delle risorse, basti pensare allo sviluppo delle cure domiciliari e al potenziamento delle cure palliative.
È vero che c’è molto da fare ma possiamo credere che si può fare. Professionisti e manager della sanità abbandonino una volta per tutte la convinzione che le soluzioni e i rimedi possano essere trovati all’interno del sistema ed imparino a guardare fuori per trovare idee nuove.
Governanti, politici, amministratori si liberino dalla presunzione del sapere come si fa e aderiscano ad un confronto aperto e costruttivo tra tutti gli attori coinvolti, dalle istituzioni ai professionisti sanitari, dai cittadini alle aziende.
Antonio Giulio De Belvis,
Presidente Nazionale ASIQUAS, Docente Univ. “Gemelli”, Roma
Giorgio Banchieri,
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma
Silvia Scelsi,
Pass President ASIQUAS e Presidente ANIARTI
Andrea Vannucci,
Membro CTS ASIQUAS, Docente DISM, Università Siena.