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Le comunità come rimedio alla solitudine  

di S. Scelsi, G. Banchieri, A. G. de Belvis, A. Vannucci

La “comunità”, in quanto tale, quando esiste realmente ed è proattiva: sede delle relazioni di cura, genera energie e opportunità a supporto del singolo, include e supporta, garantisce la sostenibilità dei servizi e li implementa, previene le fragilità e sostiene le cronicità, combatte le solitudini proxy di fragilità, cronicità e patologie legate al disadattamento sociale in particolare nei giovani

07 MAR -

L’uomo è un animale sociale Nel corso della sua evoluzione, l’uomo ha sviluppato un comportamento collettivo basato su relazioni interpersonali complesse e articolate. Ha sviluppato una straordinaria capacità di interagire con il proprio ambiente, utilizzando risorse cognitive ed emozionali al servizio di una mente sociale che gli conferisce la capacità di capire e interagire con i suoi simili dotati di una mente e una intenzionalità simile alla sua. Il fine è quello di consentire una migliore sopravvivenza e l’evoluzione stessa.

L’essere umano è estremamente sensibile alle influenze provenienti dall’ambiente socio culturale che modificano costantemente i suoi circuiti nervosi, l’organizzazione plastica del suo cervello e conseguentemente le sue funzioni mentali. In particolare sono proprio le relazioni sociali che influiscono su sentimenti ed emozioni e questi inevitabilmente influiscono sul corpo.

È ormai ampiamente condiviso il fatto che il benessere o malessere fisico condizionano la sfera emotiva, e viceversa lo stato psichico ha ripercussioni sullo stato fisico. I fattori psico-sociali sono strettamente correlati allo stato di salute o di malattia fino alla morbilità cronica o addirittura alla mortalità. Le relazioni possono essere fonte di appagamento, senso di stabilità e sicurezza, se, al contrario, sono disfunzionali l’individuo si sente insicuro, ne può derivare ansia con perdita della capacità di adattamento sociale, lavorativo e fisico fino alla comparsa di una malattia fisica o mentale che può diventare anche cronica. Quindi emozioni e stress hanno un effetto grandissimo sul nostro stato fisico.

Già Aristotele nel IV secolo a.C. affermava la tendenza dell’essere umano alla socialità. Siamo per natura portati a stare in contatto con gli altri, che hanno un ruolo essenziale nella definizione della nostra identità.

I due anni trascorsi con le restrizioni da Covid-19, in particolare il terribile tempo del lockdown, ci hanno fatto capire quanto poter stare insieme agli altri sia una cosa preziosa e un aspetto irrinunciabile della vita.

A lungo abbiamo creduto che il nostro cervello fosse prevalentemente razionale, logico e “individuale” ma in tempi più recenti le neuroscienze e la psicologia hanno messo in evidenza quanto l’essere umano sia un animale sociale e come il nostro comportamento e la nostra identità siano strettamente costruiti sul rapporto con gli altri.
La ricerca è arrivata alla conclusione che buona parte dello sviluppo cerebrale che ci ha trasformati da primati sia avvenuto seguendo il filo del gioco sociale. Il nostro cervello è cresciuto in base alle necessità di comprendere, interpretare e prevedere come si sarebbero comportati i nostri simili.

Uno degli aspetti più importanti della socialità è stato ed è quello di farci sentire parte di un gruppo, definito come “un insieme di persone che interagiscono tra loro con una certa regolarità”. Le interazioni tra i componenti del gruppo si fondano su una serie di aspettative in merito al comportamento dei singoli membri. Aspettative che invece non riguardano chi non appartiene al gruppo in questione.

«L’individuo è l’essere sociale» L’animale non umano, per K. Marx, «è immediatamente una cosa sola con la sua attività vitale. Non si distingue da essa. È quella stessa attività vitale».

Per l’animale umano, al contrario, questa identificazione fra essenza e individuo non vale, perché «l’uomo fa della sua attività vitale l’oggetto stesso della sua volontà e della sua coscienza. Ha un’attività vitale cosciente. Non c’è una sfera determinata in cui l’uomo immediatamente si confonda. L’attività vitale cosciente dell’uomo distingue l’uomo immediatamente dall’attività vitale dell’animale. Proprio soltanto per questo egli è un essere appartenente ad una specie” (Gattungswesen)».

L’essenza umana si trova oltre il singolo individuo umano, nell’insieme delle relazioni sociali umane. Non soltanto l’uomo è un animale sociale, varie altre specie sono fortemente più sociali; il punto è che l’umano diventa umano soltanto al di fuori di sé, nelle relazioni sociali con gli altri umani. «L’individuo [umano] è l’essere sociale».
Queste considerazioni sono di grande attualità in quest’epoca nella quale l’uomo, per la prima volta nella sua storia, si trova ad interagire con sistemi artificiali d’intelligenza da lui stesso generati ma che stanno dimostrando gradi d’indipendenza di cui nessuno ancora conosce con certezza i limiti.

L’isolamento sociale Il ritiro sociale o l’impossibilità di passare del tempo con le altre persone sono causa di parecchi disturbi psichici, a dimostrazione del fatto che l’inter-relazione è una peculiarità dell’essere umano.
Molte sono le evidenze scientifiche su come l’isolamento sociale abbia un’influenza negativa per l’invecchiamento in salute. Le attività di socializzazione si pongono infatti come protettive rispetto allo sviluppo di patologie neurodegenerative, in quanto permettono da una parte di ricevere maggiori stimoli a livello cognitivo, dall’altra di mantenere un migliore tono dell’umore. La socialità, unitamente all’attività fisica e mentale adeguata, è quindi un fattore decisivo per l’invecchiamento attivo.

Non ci sono solo gli anziani. In Italia abbiamo il 39% di NEET, ovvero, di giovani che non lavorano e non studiano, sono un potenziale di disgregazione sociale, di aggressività e di paure che coinvolgono i ragazzi, le famiglie e le comunità in cui vivono. Sono l’altra area sociale di “solitudini” insieme agli anziani. Questa area di disagi e difficoltà è un cratere che può risucchiare, a fronte della crisi delle famiglie, delle scuole e di altre istituzioni, generazioni intere con conseguenze gravissime per l’assetto solidale e sociale del nostro Paese.

La comunità l termine 'comunità', derivato dal latino “communis”, appartiene al linguaggio corrente ma anche al linguaggio di molte discipline con significati tecnici di non facile definizione.

Nella sociologia contemporanea comunità è in genere sinonimo di comunità locale. La più autorevole proposta di questo dopoguerra di una teoria sistematica, “The social system” di Talcott Parsons, comprende il concetto di comunità solo per indicare quel tipo di collettività "i cui membri condividono un'area territoriale come base di operazioni per le attività giornaliere" (Parsons, 1951; tr. it., p. 97).

La “comunità” come habitat delle relazioni sociali e di cura I previsti Ospedali e Case di “comunità” hanno bisogno di comunità “organizzate, proattive, partecipi, inclusive” e di reti di servizi sanitari, sociosanitari e sociali che si integrano su obiettivi di salute condivisi. Il coinvolgimento dei pazienti e dei cittadini sta mettendo radici in una serie di organizzazioni sanitarie come mostrano numerose esperienze a livello internazionale, nazionale e regionale. Le competenze locali stanno crescendo, così come la comprensione degli elementi chiave che facilitano la creazione di organizzazioni capaci di coinvolgimento a livello delle singole comunità.

La “comunità”, in quanto tale, quando esiste realmente ed è proattiva: sede delle relazioni di cura, genera energie e opportunità a supporto del singolo, include e supporta, garantisce la sostenibilità dei servizi e li implementa, previene le fragilità e sostiene le cronicità, combatte le solitudini proxy di fragilità, cronicità e patologie legate al disadattamento sociale in particolare nei giovani.

La “comunità” come “ecosistema” Nel settore sanitario una prospettiva ecosistemica prevede il coinvolgimento dei pazienti e dei cittadini e ci ricorda che l'assistenza sanitaria, nella sua essenza, riguarda le relazioni tra le persone. Questa prospettiva evidenzia anche l'idea che queste relazioni interagiscono con, e sono influenzate da, il loro ambiente (ad esempio, comunità, ambienti economici e politici, organizzazioni e sistemi sanitari).
A livello individuale, tutti i partecipanti devono scoprire e sviluppare le proprie competenze, abilità e risorse, per potersi impegnare in relazioni produttive con persone che hanno interessi, conoscenze e prospettive diverse.

Frome UK, un’esperienza di comunità attiva e di medicina di comunità in UK Frome è una cittadina come tante altre nel Country side – la campagna inglese – della regione del Somerset. Spazi verdi, tipiche casette a schiera di epoca edoardiana o vittoriana perfettamente preservate nei secoli.
A Frome c’è lo studio di Helen Kingston, una general practitioner, l’equivalente inglese del nostro MMG. Da qualche tempo Helen aveva notato che alcuni dei suoi pazienti si lamentavano di essere trattati con freddezza, come se fossero un insieme di sintomi, piuttosto che esseri umani con problemi.
Alcuni di loro entravano ed uscivano dall’ospedale, in qualche caso le loro condizioni si aggravavano.

Con il sostegno delle autorità locali e dell’NHS, la Dr.ssa Kingston reclutò due categorie di volontari: gli “health connectors”, che aiutano i pazienti nella pianificazione ed attuazione delle cure e alcuni “community connectors”. Questi ultimi iniziarono ad offrire un diverso tipo di supporto, prevalentemente economico e sociale. Non solo operavano come intermediari per la risoluzione di problemi finanziari od abitativi di pazienti e famiglie ma incoraggiavano anche ad entrare a far parte di circoli sportivi, letterari, cori o gruppi musicali. Favorendo, in buona sostanza, la loro piena reintegrazione nel tessuto sociale di Frome.

Il Progetto diventò oggetto di studio per tre anni. Al termine del periodo, l’efficacia di questo programma di supporto contro l’isolamento sociale ha rivelato risultati straordinari sotto il profilo della prevenzione: mentre nel triennio 2013-2016 gli accessi nei Pronto Soccorso (A&E) di tutta la regione del Somerset registravano un aumento del 26%, in quello di Frome erano diminuiti del 17%.

Peter Wilson sul “The New York Times” dedicò un articolo alla storia di Frome: “Combattere l'isolamento in tempo di crisi. Frome, una città in Inghilterra, ha adottato un approccio innovativo alla salute mentale nella lotta contro la solitudine” E fu grazie anche al lavoro della Dr.ssa Kingston e del suo team che l’allora Primo Ministro Theresa May, nel 2018 nominò un membro del Parlamento, Tracey Crouch, come primo “Ministro per la solitudine”.

Da allora altre città in tutta la Gran Bretagna e altre più lontane, dalla Svezia alla Colombia, stanno studiando l'esperienza di Frome e sperano di emulare il suo successo nel ridurre, tra l’altro, i ricoveri ospedalieri d'urgenza, un risultato molto interessante in un periodo di costi sanitari in aumento.

L’esperienza di Frome si basa su un modello che mira a migliorare il benessere emotivo dei pazienti lavorando sulle relazioni nella comunità, avvalendosi di associazioni del volontariato che aiutano le persone ad affrontare la solitudine e l'isolamento sociale, condizioni che non sono considerate problemi medici ma ne possono essere le cause.

Una delle cose più interessanti dell’esperienza di Frome, questa città di poco meno di 30.000 abitanti, è stato ideare il ruolo dei “connettori di comunità”, di cui solo 8 ricevevano un compenso, che a loro volta hanno formato ulteriori 1140 "connettori di comunità" volontari: proprietari di bar, tassisti e altri residenti comuni che hanno imparato come consigliare i loro amici e vicini sui gruppi e servizi della comunità che spesso sono sottoutilizzati per il semplice motivo che le persone non sanno che esistono.

I valori del Frome Medical Practice I 4 “valori” dichiarati dal gruppo di operatori promotori del progetto sono gentilezza, collaborazione, apprendimento, sostenibilità.
Gentilezza, nel senso che vogliono essere un'organizzazione "gentile", un luogo in cui ci prendersi cura gli uni degli altri e del mondo che ci circonda in modo responsabile e sostenibile.
Collaborazione, che significa lavorare per costruire una cultura per il personale e i pazienti che crei un forte senso di appartenenza. Un luogo in cui tutti si sentano orgogliosi di lavorare o orgogliosi di farne parte. Continuano a sviluppare partnership e a cercarne di nuove.
Apprendimento, attraverso un’attività permanente nella cultura della Frome Medical Practice in modo aperto e interattivo. Ci sono sempre tirocinanti in qualsiasi momento, e quindi sono abituati a imparare gli uni dagli Responsabilità, da far crescere nella comunità con tante iniziative come la giornata mondiale della gentilezza, la campagna #hellomynamei, il partenariato locali, i programmi Couch to 5k per i pazienti cronici, la messa a diposizione di programmi assistenziali.
Sostenibilità, attraverso progetti di cambiamento e miglioramenti che aiutano a ridurre la impronta di carbonio.

La Frome Medical Practice ha ottenuto lo status di Active Practice Charter, ovvero ha dimostrato un impegno nel promuovere attivamente la salute fisica per tutti nello studio, pazienti e personale, anticipando l’approccio “One Health”.

La relazione tra professionisti sanitari, operatori sociali, pazienti e cittadini
Anche nel nostro Paese le sinergie tra una buona relazione di cura con i pazienti e buone relazioni tra professionisti sanitari, socio sanitari e sociali sono fondamentali per garantire una gestione efficace dei pazienti e una migliore qualità dell'assistenza sanitaria complessiva in una ottica di “One Health”.

Le condizioni e gli strumenti sono almeno cinque:

  1. Comunicazione e condivisione delle informazioni
  2. Relazione di cura solida tra il paziente e il suo team di assistenza sanitaria e sociale
  3. Coinvolgimento del paziente nel team dei professionisti sanitari
  4. Rispetto reciproco e supporto
  5. Inclusione sociale e socialità.

Una buona relazione di cura con i pazienti e buone relazioni tra i professionisti sanitari e sociali si alimentano reciprocamente, creando un ambiente favorevole per una cura centrata sul paziente, collaborativa e di alta qualità, basata sul suo empowerment e sulla sua proattività.

Esperienze in Italia A Roma un progetto denominato “Anziani in centro”, promosso da Comunità di “S. Egidio”, Charitas Diocesana, Servizi sociali del Municipio Roma 1 (centro storico), Servizi sociosanitari del Distretto 1 della ASL Roma 1, e associazioni di cittadini, cooperative sociali e terzo settore sta’ tenendo sotto osservazione attiva alcune migliaia di over ’75 soli, abitanti nei Rioni del Centro Storico.

I risultati sono simili a quelli di Frome in UK in quanto a riduzione di ricoveri ospedalieri, di diagnostica impropria e di consumo dei farmaci.

In Toscana abbiamo esperienze di Case della Salute, poi diventate Case di Comunità con un forte contributo delle comunità locali e delle loro forme associative e istituzionali. Anche le Società della Salute, dove sono riuscite a decollare, danno un contributo di integrazione sociosanitaria e sociale e agganciano i soggetti delle filiere assistenziali presenti nei territori di riferimento a Piani di Salute, Piani di Zone Piani Territoriali condivisi.
In Emilia a Piacenza e Parma si sono sviluppate esperienze di comunità proattive, di medicina del territorio, proattiva e di comunità con il coinvolgimento di MMG, PLS e operatori sociali. Lo stesso in Romagna.
In Veneto a Padova sono in corso delle esperienze di medicina di comunità e proattiva.
Esperienze sono in divenire anche in Sardegna, in Campania, nel Lazio e in Puglia.

Ogni realtà ha le sue specificità e caratteristiche che sono una ricchezza del tessuto sociale di nostri territori.

Esperienze nel mondo Diverse iniziative nel mondo dimostrano l’efficacia del coinvolgimento della comunità nella progettazione dei servizi sanitari. Alcuni esempi significativi includono:

Avviare un confronto a livello UE e in Italia In Spagna e in Portogallo sono in corso esperienza simili alle nostre di uscita da modelli organizzativi a “sylos” e di medicina d’attesa verso modelli di medicina proattiva e di comunità. Anche in Francia nelle singole Regioni si stanno avviando sperimentazioni. Serve un confronto di esperienze, uno scambio di modelli operativi e una valutazione condivisa delle evidenze e dei risultati sanitari, sociali, economici.

Il coinvolgimento delle comunità nella progettazione dei servizi sanitari è una strategia fondamentale per garantire un sistema sanitario più equo, efficace e sostenibile. Sebbene vi siano ostacoli da superare, i benefici in termini di accessibilità, fiducia e qualità delle cure giustificano l’adozione di approcci partecipativi. Le istituzioni sanitarie devono investire in strumenti e strategie che favoriscano il dialogo con le comunità, promuovendo un modello di sanità centrato sulle persone. Solo attraverso una collaborazione attiva tra cittadini e professionisti della salute sarà possibile costruire servizi sanitari realmente rispondenti alle esigenze della popolazione

Un movimento di operatori sanitari, socio sanitari, sociali, comunità, terzo settore, volontariato può essere un contributo decisivo per mettere a terra sul serio gli obiettivi del PNRR, Modulo 6 e dare forza alle istituzioni dei territori per una loro operatività reale. Stiamo parlando di universalismo, equità appropriatezza, efficacia, efficienza e solidarietà inclusione, socialità, non è poco.

Silvia Scelsi,
Presidente Nazionale ASIQUAS, Presidente ANIARTI, Responsabile Professioni Sanitarie Istituto “Gaslini”, Genova,
Giorgio Banchieri,
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma
Laura Franceschetti,
Professoressa, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma,
Andrea Vannucci, Membro CTS ASIQUAS, Docente DiSM, Università Siena, Membro CD Accademia di Medicina, Genova.



07 marzo 2025
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