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La nuova guerra sulle competenze. È il momento della concertazione, quella vera (prima parte)

di Ivan Cavicchi

Il quesito è: ce ne freghiamo di tutto e di tutti e si accetta la logica della  de-regolazione e della guerriglia e allora botte da orbi,  o da persone serie si fa un accordo vero, nuovo, importante per fare quello che la politica non è riuscita a fare cioè ridefinire il lavoro, le professioni, i loro rapporti e le loro prassi?

09 DIC - Nella legge di stabilità del 2015, come ricorderete, era previsto il famoso comma 566, a causa del quale, i medici e gli infermieri, per mesi e mesi, se le diedero di santa ragione. Lo scontro si concluse con un nulla di fatto.
 
La politica del tempo, vigliaccamente, preferì non avere rogne e non fare scelte. Lasciò il comma 566 su un binario morto, ma quel che è peggio si rifiutò, come sarebbe stato suo dovere, di governare il conflitto tra le due più importanti professioni sanitarie, indifferente alle ricadute sulla qualità dell’assistenza e ai contraccolpi sul sistema in generale.
 
Se allora, la questione delle competenze avanzate, fosse stata governata con senso di responsabilità, sicuramente non ci sarebbe stato il “caso Venturi” e soprattutto non ci sarebbero stati migliaia e migliaia di conflitti tra professioni nei servizi e nelle corsie degli ospedali.
 
Dal 566 al contratto
I sostenitori del comma 566, tuttavia, non si diedero per vinti e, ammaestrati, prima di tutto dai loro errori di approccio e quindi dalle complessità legislative incontrate, trovarono, devo riconoscere con astuzia e intelligenza, un’altra strada: quella del contratto di comparto, rispetto al quale, (QS, 14 gennaio 2019) mi limito a dire che:
• male fecero i medici a sottovalutare questo contratto e a non correre per tempo ai ripari adottando le necessarie contromisure,
• male fece la politica ad accettare di fatto di risolvere la questione delle competenze avanzate attraverso la separazione e la contrapposizione tra due contratti diversi  facendoli diventare praticamente rivali.
 
Nel contratto di comparto, gli errori fatti con il comma 566 questa volta non furono ripetuti: saltò per esempio il riferimento “agli atti complessi”, un criterio davvero troppo ambiguo per funzionare, ma soprattutto saltò l’errore politicamente  più invalidante, l’obbligo, al fine del riconoscimento delle competenze avanzate, della concertazione con le altre professioni.
 
Per me, oggi, la chiave di volta per comprendere la seconda fase della guerra sulle competenze avanzate è la rottura della concertazione. Una rottura che, a sua volta, rompe, una dietro l’altra tante cose, fino a segnare una svolta pericolosa persino nei confronti del modo di essere e di intendere il nostro sistema medico-sanitario.
 
Concertazione
La delibera del Veneto, applicando il contratto di comparto, di fatto dichiara che, sulle competenze professionali, ad esempio degli infermieri, i medici sono incompetenti. Attraverso la dichiarazione di fatto di incompetenza dei medici cade l’obbligo della concertazione o comunque l’obbligo della condivisone o del diritto degli altri di mettere bocca. Cade, da parte dei medici, la possibilità di fare una “obiezione” e si afferma una vera e propria “imposizione”.
 
Per far fuori la concertazione, la regione Veneto è costretta ad effettuare un cambio radicale di paradigma, cioè presumere e ammettere in via di principio che:
• non esiste più nessuna sinfonia da suonare tra operatori diversi,
• non esiste più nessuna orchestra per suonare eventualmente una  sinfonia.
 
In questo senso, la regione Veneto, cambia la propria idea di organizzazione del lavoro, dichiara una separazione, marca una divisione, ma soprattutto afferma una “alterità”: si tratta di sottrarre la definizione professionale, di un qualsiasi operatore sanitario, da quel sistema di regole che, fino ad ora, ha definito di fatto i confini tra le professioni, ma anche le loro relazioni intercorrenti.
 
La delibera si muove in una logica che potremmo definire dell’estensione strumentale auto-riferita:
• estendo delle competenze di qualcuno cioè allargo quelle che egli  può fare prendendole dal sistema di competenze preso nel suo complesso,
• scorporandole da un sistema di riferimento,
• per riferirmi tecnicamente solo ad esse in quanto “mansioni”,
• e disporne a mio piacimento.
 
Banditi
Tutto questo non è fatto per filantropia, ma solo perché la regione vuole le mani libere nell’impiego delle risorse professionali e decidere cosa gli convenga sul piano dei costi. Cioè solo per ragioni gestionali.
 
Per me, lo dico senza mezzi termini, indipendentemente dagli interessi più o meno nobili, sia chi teorizza in medicina la fine della sinfonia e dell’orchestra, sia chi asseconda questo disegno cinico, è semplicemente un bandito.
 
Definisco “servizio”, un sistema multi professionale organizzato, le cui prassi attese, sono coordinate sulla base del principio della complementarietà reciproca tra professioni, in ragione del quale nessuna professione costituisce in sé un principio di sufficienza.
Il perseguimento spregiudicato dei propri interessi mette in pericolo questa nozione di “servizio” e può diventare un grande fattore di destabilizzazione del sistema.
 
Senza condizioni
Con la delibera del Veneto, cadono di fatto due condizioni definitorie storiche, quelle usate per prima nella legge 42 e poi nello stesso comma 566:
• fatte salve le competenze previste per le altre professioni,
• il rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.
 
Cioè cade il valore della “reciprocità” come parametro di definizione per cui le competenze avanzate, in un paradigma senza sinfonia e senza orchestra, si possono definire a livello locale senza tenere conto delle competenze degli altri.
 
Gli altri vengono semplicemente negati ontologicamente, non esistono più. La rottura della concertazione, equivale ad una negazione “dell’altro” e l’affermazione del “sé medesimo” che, come tutti sanno, è un pro-nome tra i più egoisti.
 
La cosa che, in un certo senso, mi sorprende è vedere, come i suoi sostenitori, interpretano la delibera solo a loro vantaggio, ignorando la possibilità che, il principio dell’estensione strumentale auto-riferita, possa essere usato anche contro di loro.
 
Chi impedisce che le competenze avanzate possano riguardare i care giver? O le badanti o gli oss? O altre figure “esperte” appositamente da inventare? O le stesse professioni storiche ma inter cambiandone semplicemente le prassi?
 
Competenze e incompetenze
Tutto il fronte di professioni che sostiene la delibera del Veneto, è accumunato dalla comune convinzione che, la ridefinizione delle competenze degli infermieri, non necessariamente implichi una sottrazione ai medici delle loro competenze. Una tesi complessa e sdrucciolevole sulla quale personalmente ho molti dubbi.
 
Secondo me, lasciando da parte i paroloni, è difficile:
• sia rifare il tetto di una casa senza cambiare i rapporti tra le tegole,
• sia ridefinire una tegola indipendentemente da un’altra tegola.
 
La questione politica di fondo è quella che ho posto, agli infermieri, qualche settimana fa: cooperare o competere? (QS, 4 novembre 2019). Il tetto e le tegole a quale modello di organizzazione si devono ispirare? Ho l’impressione che di scelte non ce ne siano molte: se le tegole non fanno le tegole il tetto rischia di fare acqua cioè di non essere più un tetto.
 
Le tesi di fondo dei sostenitori della delibera veneta sono le più diverse e vanno:
• dalla semplice affermazione apodittica che la delibera del Veneto “non tocca” i medici,
• alla teoria generica della valorizzazione professionale,
• alla logica della sanatoria (la delibera prende atto di quello che c’è, riconosce delle competenze di fatto o “acquisite”) quindi al riconoscimento formale della realtà fattuale attribuendo a ciò che è accaduto da qualche parte un valore esemplare fino a chiederne la generalizzazione.
 
Queste a mio parere sono tutte “giustificazioni” che, sia chiaro, non andrebbero né liquidate né negate, ma esse in nessun modo sono in grado di risolvermi il problema politico a monte del rapporto tra competenza e incompetenza.
 
Che vuol dire valorizzare una professione?
Anche io credo che sia possibile, come dicono alcuni, “valorizzare” una professione, in quanto tale, senza che questo comporti sottrazione di competenze ad altri, un infermiere, nel proprio ambito professionale, può certamente migliorarsi, specializzarsi, perfezionarsi, bene, ma chiarito ciò vorrei sapere:
• cosa vuol dire valorizzare? In tutta la mia vita, in nome della valorizzazione, ho visto solo cambi di inquadramento, livelli più alti, riconoscimenti retribuivi e cambi di qualifica,
• se valorizzazione vale come sviluppo di una professione, e se sì, quali i modi attraverso i quali avviene lo sviluppo,
• se per valorizzare una professione l’unico modo è quello di dargli delle competenze in più,
• nel caso ciò avvenisse, vorrei capire se  davvero la valorizzazione di cui si parla non interferisce con altre professioni.
 
Per me, convinto che nessuna valorizzazione ha senso fuori da un servizio, nel “servizio” che ho definito prima, valorizzare una professione:
• non necessariamente deve avvenire rompendo delle relazioni ma può avvenire anche rinforzando delle relazioni,
• può avvenire in modo co-evolutivo cioè ci si può valorizzare insieme agli altri,
• che non produca un beneficio al malato e al servizio che di quel malato si prende cura, alla fine è una finta valorizzazione,
• i modi per valorizzare una professione sono tanti e a parte la retribuzione, particolarmente importanti sono quelli che riconoscono un grado di autonomia in cambio di un grado di responsabilità.
 
Per me, lo ribadisco, il massimo della valorizzazione non si ha restando dei “dipendenti” definiti per competenze ma diventando degli “autori” definiti per impegni.
 
Mettetevelo in testa, gli spazi di valorizzazione dell’operatore “dipendente” in tutti i sensi sono minori di numero rispetto a quelli dell’operatore “autore”.
 
Rispetto al passaggio epocale paziente/esigente, malattia/malato, complicazione/complessità, il salto vero non si fa sulle competenze ma sull’impegno, le capacità e le abilità e quindi su una nuova organizzazione del lavoro pensata non più per giustapposizioni ma per relazioni, non più pre-prescrizioni ma anche per pro-scrizioni, non più solo per legalità ma anche per legittimità.
 
Ritorno alla concertazione
Sulla delibera del Veneto pongo tre domande:
• Chi decide la differenza tra competenza e incompetenza?
• È possibile decidere tale differenza senza un preventivo confronto tra tutte le parti in causa?
• Nel caso sussistano come dice la legge “sovrapposizioni” tra competenze, che si fa?
 
In ragione della complessità proprio dei rapporti tra competenze e incompetenza, per me, il principio concertativo tra professioni, in realtà, non può essere eliminato pena il rischio di fare imperdonabili sbagli a danno dei malati e ancora una volta di indurre tra le professioni una inutile conflittualità.
 
Oggi la Fnomceo giustamente, contesta la delibera del Veneto, ponendo un problema di metodo, lo stesso posto a mia volta in un articolo solo un paio di settimane fa (QS, 14 novembre 2019). Ma scusate la domanda ingenua: non era meglio coinvolgerla prima di fare la delibera per verificare la pertinenza delle scelte?
 
Non è difficile immaginare l’obiezione dei fautori della delibera del Veneto: e bravo Cavicchi, davvero ganzo, ci sta dicendo di riammette la concertazione del comma 566 che non ci ha fatto concludere praticamente niente.
 
Ammetto che, teoricamente il rischio esiste, anche se pensando, ai prossimi Stati generali dei medici, molte cose sono cambiate e molte stanno cambiando, ma a questo punto bisogna intendersi:
• ce ne freghiamo di tutto e di tutti e si accetta la logica della  de-regolazione e della guerriglia e allora botte da orbi,  
• o da persone serie si fa un accordo vero, nuovo, importante per fare quello che la politica non è riuscita a fare cioè ridefinire il lavoro, le professioni, i loro rapporti e le loro prassi?
 
Ivan Cavicchi
(prima parte)

09 dicembre 2019
© Riproduzione riservata


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