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La dimensione spirituale della Cura

di Antonio Panti

In quali condizioni opererà il medico tra pochissimi anni? La sua vita sarà ritmata da algoritmi, supportata da servizievoli robot, deciderà la diagnosi e la terapia compulsando l’I.A., la sua relazione col paziente sarà prevalentemente virtuale, raramente lo vedrà e lo toccherà, e dovrà trascorrere molto tempo a rendicontare e a redigere rapporti per l’amministrazione. E invece, come scrive Spinsanti in un suo recente libro, c'è ancora bisogno di una dimensione spirituale della cura

21 APR - Il contrario di spiritualità è materialità, corporeità, un contrasto ben visibile nella medicina moderna, tecnocratica e di conseguenza meccanica, mentre aumenta il bisogno, in questi tempi incerti e ansiogeni, di empatia, di ascolto, di essere presi in cura oltre che curati. Sandro Spinsanti ha affrontato il tema della spiritualità nella medicina e nella sanità moderna in un libro denso di idee e di cultura: “Sulla terra in punta di piedi, la dimensione spirituale della cura”, per i titoli del Pensiero Scientifico Editore.
 
I bisogni spirituali rappresentano il complesso centro della vita affettiva e intellettuale dell’uomo. L’invito a che il medico si prenda cura di questi aspetti della sofferenza è costante nella storia della medicina ma giunge ancor più appropriato in piena pandemia. Che tipo di assistenza uscirà dalla pandemia? A quali bisogni dovrà rispondere? La riflessione di Spinsanti è quanto mai attuale.
 
Se la spiritualità è apertura verso il mondo, capacità di coesistenza, di intendere la guarigione anche come un cammino di autorealizzazione, pur negando ogni coinvolgimento salvifico, la pandemia porta con sé un seguito di diffidenza, di paura dell’altro, di chiusura egoistica, cui fanno da contrasto i tanti episodi di spontanea partecipazione e soccorso.
 
Per questo sembra acconcio l’avvertimento di Spinsanti di stare sulla terra, cioè di rendersi conto delle condizioni di realtà, di porsi traguardi più modesti della conquista del Paradiso, di rifiutare ogni ideologia, di diffidare dei professionisti della spiritualità, per volgersi all’opera di cercare in noi stessi la resilienza alla malattia.
 
Sulla terra in punta di piedi, cioè volgendo con leggerezza il cammino verso la tolleranza, la comprensione, l’affermazione dell’uguaglianza di fronte alla sofferenza. Un percorso di alleanza tra medico e paziente che Spinsanti descrive attraverso l’arte, la psicologia, la sociologia, verso un’antropologia della cura tesa a superare il desiderio individuale per attingere al benessere dell’umanità e delle future generazioni.
 
Il rischio di queste affermazioni è di essere disallineate con la prassi quotidiana. Due questioni si affacciano alla mente. La prima è la formazione del medico. L’attenzione al vissuto del paziente, l’attitudine all’empatia, la capacità di ascolto, entro certi limiti possono essere insegnati però, nel corso di studi, non se ne parla e le occasioni formative sono davvero poche.
 
Inoltre il medico è un professionista, pagato anche per ascoltare e manifestare empatia ma, in realtà, per prendere quelle decisioni a favore della cura del paziente che richiedono competenze e skills specifici. Non si chiama il medico per salvare la nostra anima ma per essere curati. E’ il celebre dilemma del Dr. House, sempre più attuale con il progresso della scienza e, di più, con l’aumento dei costi dell’assistenza che creano ulteriori percorsi obbligati all’agire del medico.
 
Ma vi è una seconda questione. La pandemia ha reso ancor più evidente come la medicina sia ormai una parte, e non minore, dell’assetto economico di un paese. La sanità costa oltre il 10% del PIL delle nazioni sviluppate e coinvolge interessi e investimenti enormi. Mantenere la salute, guarire da ogni malattia, rimanere giovani, ormai è un diritto che è diventato un desiderio collettivo, mentre la percezione antropologica della malattia e della cura cambia e cambiano le condizioni di erogazione delle prestazioni sul piano amministrativo e economico. Il medico si trova sempre più stretto in lacci e laccioli.
 
Viviamo inoltre l’epoca lamentata da molti pensatori, da Anders a Bauman a Heidegger, in cui la tecnica domina la scena e quasi condiziona, con gli strumenti dell’I.A., le decisioni del medico. In questo quadro quanto spazio resta per l’alleanza tra due persone obbligate a mettersi entrambe in gioco, il medico e il paziente, e in cui il professionista, proprio per raggiungere gli scopi che si prefigge, non può non coinvolgere la spiritualità del paziente?
 
Mi sembra che la riflessione dell’autore tenti una sintesi tra una bioetica “ecologica”, ora autorevolmente rilanciata da Papa Francesco, e una bioetica “dell’equità”, cioè dell’uso corretto delle risorse secondo criteri non solo clinici e quindi non appannaggio esclusivo del medico. E’ in tal senso la ricerca di una spiritualità “con i piedi per terra”.
 
Altresì, in quali condizioni opererà il medico tra pochissimi anni? La sua vita sarà ritmata da algoritmi, supportata da servizievoli robot, deciderà la diagnosi e la terapia compulsando l’I.A., la sua relazione col paziente sarà prevalentemente virtuale, comunicherà per mail o per whatsapp, raramente lo vedrà e lo toccherà, e dovrà trascorrere molto tempo a rendicontare e a redigere rapporti per l’amministrazione. Il tempo per la relazione è tempo di cura, sta scritto. Ma è solo questione di organizzazione del lavoro o si dovranno escogitare nuovi strumenti per questo scambio umano che sta alla base del percorso di cura e di cui, credo, ci sarà ugual bisogno anche in questo sofisticato futuro tecnologico?
 
Viviamo un’epoca di passaggio e occorre prevedere per premunirsi. Mi sembra, quello di Spinsanti, un libro volto al futuro, senza visoni distopiche o ucroniche, come spesso accade di leggere oggi, ma profondo per cultura, utile per la visione generale dei problemi umani della cura della persona e delle questioni etiche che affannano la medicina moderna.
 
Un libro scritto con tocco leggero, mai erudito bensì piacevole, rivolto al lettore non specialista e a chiunque sia curioso dell’evoluzione antropologica della relazione tra medico e paziente al tempo della trasformazione epocale che stiamo vivendo.
 
Antonio Panti

21 aprile 2021
© Riproduzione riservata


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