A pochi mesi dall’entrata in vigore del nuovo Regolamento europeo 2024/1938 sulle sostanze di origine umana (SoHO), l’Ecdc – Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie – ha pubblicato le nuove linee guida tecniche per la prevenzione della trasmissione dell’HIV attraverso sangue, tessuti, cellule e gameti destinati all’uso clinico.
Il documento, frutto del lavoro di un panel multidisciplinare di esperti di numerosi Paesi UE/SEE, fornisce indicazioni dettagliate per rafforzare la sicurezza del percorso donatore-ricevente e si propone di armonizzare a livello europeo pratiche che, finora, hanno mostrato differenze anche rilevanti tra Stato e Stato.
Perché un aggiornamento ora? Nonostante la disponibilità di terapie antiretrovirali efficaci e i progressi nella prevenzione, l’HIV continua a rappresentare un rischio serio nei percorsi clinici che prevedono l’utilizzo di sostanze biologiche umane. Il virus può infatti essere trasmesso attraverso sangue, tessuti, cellule riproduttive e non, e le conseguenze per il ricevente – o per l’eventuale nascituro nei casi di procreazione medicalmente assistita – possono essere gravi e durature.
Per questo motivo, le nuove linee guida insistono sulla necessità di mantenere standard elevati e aggiornati per l’identificazione e la gestione del rischio infettivo, con particolare attenzione ai tempi di rilevabilità dell’infezione e alle situazioni di maggiore vulnerabilità.
In tutte le categorie di donatori – sangue, tessuti e cellule, gameti – viene confermata la necessità di sottoporre ogni donazione a uno screening completo per HIV-1 e HIV-2, utilizzando test sierologici e molecolari (NAT). La soglia di sensibilità raccomandata per i test NAT è pari a una limit of detection di 100 IU/mL o inferiore, per poter individuare anche infezioni molto recenti.
Particolare attenzione viene data alla tempistica. Le linee guida raccomandano che il donatore non venga testato prima che siano trascorse almeno otto settimane dall’ultimo evento a rischio (rapporti sessuali non protetti, uso di droghe iniettabili, ecc.). Il periodo sale a 12 settimane per chi ha fatto uso di PrEP o PEP orale e addirittura a 24 mesi in caso di PrEP iniettabile.
Nel caso in cui un test risulti reattivo, la donazione non può essere utilizzata. Se la positività viene confermata, il donatore viene escluso in maniera permanente e deve essere indirizzato verso cure specialistiche. Per i donatori periodici, è previsto l’avvio di una procedura di look-back, cioè una verifica retrospettiva delle donazioni precedenti, per valutare il rischio di trasmissione e individuare eventuali destinatari da monitorare.
Nel caso in cui la reattività non venga confermata o rimanga indeterminata, le linee guida prevedono una possibile reintroduzione del donatore nei percorsi di screening dopo almeno otto settimane.
Le indicazioni sono particolarmente dettagliate anche per quanto riguarda i percorsi di procreazione medicalmente assistita. Nel caso di donazioni da parte di terzi (sperma o ovociti), viene ribadita la necessità di test ad ogni donazione e di quarantena del materiale per almeno 180 giorni, laddove possibile.
Nel caso dell’uso “all’interno della coppia”, le linee guida sono più flessibili, ma comunque rigorose: entrambi i partner devono essere testati entro tre mesi dalla raccolta del materiale, e il test deve essere ripetuto ogni 24 mesi o in caso di nuovi rischi. Se uno dei due risulta positivo, la decisione di procedere con il trattamento viene rimandata al team clinico, con il coinvolgimento di uno specialista in malattie infettive, seguendo le raccomandazioni della ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embryology).
Un punto chiave delle linee guida riguarda l’esclusione permanente di soggetti con diagnosi di HIV nota, anche se in terapia e con carica virale non rilevabile. Viene infatti ribadito che il principio “undetectable = untransmittable”, valido nei rapporti sessuali, non può essere applicato al contesto delle SoHO, dove le soglie infettive e le vie di trasmissione sono diverse e potenzialmente più rischiose.
Stessa esclusione viene applicata per chi ha partecipato a trial clinici su vaccini anti-HIV o ha ricevuto tali vaccini, vista la possibilità di falsi positivi nei test e l’assenza, al momento, di dati conclusivi su sicurezza ed efficacia.
Le nuove linee guida non hanno solo una valenza clinica, ma anche istituzionale. Uno degli obiettivi principali è infatti quello di uniformare a livello europeo i criteri di selezione, esclusione e gestione del rischio per le donazioni di sostanze biologiche. In questo modo, si punta a garantire lo stesso livello di sicurezza e tutela per i pazienti, indipendentemente dal Paese in cui avviene la donazione o il trattamento.
Un messaggio forte e chiaro: in un’Europa che promuove la mobilità dei pazienti e l’accesso alle cure transfrontaliere, anche la sicurezza deve viaggiare senza confini.