Il Sud soffre: sanità in ginocchio

Il Sud soffre: sanità in ginocchio

Il Sud soffre: sanità in ginocchio
Il Ssn mostra profonde disuguaglianze territoriali: al Sud solo il 60-70% della popolazione accede ai Lea base, contro il Nord che integra con fondi propri. Il 9,9% degli italiani rinuncia alle cure, con picchi dell'11,4% al Centro-Sud, mentre la mobilità sanitaria raggiunge i 300 milioni di euro. La differenza di aspettativa di vita tra Trento (84,7 anni) e Campania (81,7) conferma un divario che richiederebbe un patto nazionale e maggiori investimenti strutturali

L’attuale situazione della nostra Sanità è stata affrontata ampiamente in questi ultimi mesi ed è ormai chiaro a tutti che il nostro SSN soffre di numerosi gravi problemi sia acuti che cronici che colpiscono direttamente milioni di italiani. Dato il progressivo aumento di età previsto per i nostri cittadini (attualmente più del 35% della popolazione generale ha un’età superiore a 64 anni e questi numeri sono destinati ad aumentare) sarà ben difficile, perdurando l’attuale situazione poter far fronte con efficacia alle patologie croniche che maggiormente colpiscono queste fasce di popolazione.

Il gravissimo definanziamento peggiora sempre di più con conseguente enorme crescita della spesa out of pocket da parte delle famiglie, che ormai ha raggiunto i 41 miliardi di euro a cui vanno aggiunti circa 6 miliardi per la spesa privata intermedia cioè per l’acquisto di servizi che solo parzialmente sono rimborsati dal SSN (dati ISTAT giugno 2025).

I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) aggiornati solo un anno fa e precisamente in data 30.12.2024 in relazione alla emanazione del DPCM 12 gennaio 2017 per le prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica, si riferivano in realtà all’applicazione dei LEA individuati nel DM n. 322 del 22.7.1998 e tutte le analisi dei dati a riguardo, comprese le ultime relative al 2023 riguardano appunto esclusivamente i LEA come individuati circa 30 anni fa. E nonostante l’insufficienza e la vetustà dei LEA considerati, questi mostrano livelli di applicazione che oscillano per le Regioni Meridionali ed il Lazio a solo il 58%-72%, mentre le Regioni del Nord offrono dati migliori ma neppure nessuna di esse si avvicina al punteggio massimo (dati del Ministero della Salute, maggio 2025). E le Regioni più ricche del Nord possono garantire ai propri cittadini con altri fondi sia gli ultimi LEA approvati risalenti al 2017 ed anche quelli già pronti dal giugno 2023, tutt’ora inspiegabilmente fermi tra Ministero della Salute e Conferenza Stato-Regioni, nonché eventualmente anche altri riguardanti le nuove acquisizioni ed innovazioni degli ultimi 2 anni, tutt’ora ancora non considerati a livello normativo, mentre le Regioni del Sud sottoposte a commissariamento ed in piano di rientro, appesantite dai tetti di spesa su tutti i fattori produttivi non lo possono fare per ovvie ragioni di bilancio. In sostanza i LEA di 30 anni fa vengono applicati e rimborsati nelle Regioni del Sud solo nel 60-70% della popolazione che ne avrebbe diritto, mentre il resto del Paese attinge ad altri fondi che consentono l’utilizzazione parziale o completa dei LEA aggiornati.

Dati sconfortanti provengono anche in tema di prevenzione e diagnosi precoce, relativamente ai livelli di adesioni nel Lazio e nelle Regioni del Sud-Isole ai tre screening per i tumori della mammella, colon e cervice, tutti abbondantemente inferiori rispetto ai valori espressi dalle Regioni del Nord (47-63%) ed aggirantesi attorno ad una media rispettivamente del 21%-40% per le tre patologie oncologiche in questione (Rapporto ONS 2024) e valori anche nettamente subottimali sono riportati per le vaccinazioni anti HPV.

Tutto ciò si riflette nei valori economici dei saldi della mobilità sanitaria (dati Agenas 2022) che vedono sempre le Regioni del Sud ed il Lazio con saldi negativi molto consistenti di mobilità passiva. Ciò significa che migliaia di cittadini e famiglie sono costretti per motivi di salute ad abbandonare la propria Regione e recarsi altrove affrontando notevoli spese e disagi. Prevalentemente Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana sono le Regioni che presentano i maggiori saldi attivi di mobilità interregionale mentre Lazio, Puglia, Sicilia, Calabria e Campania mostrano i peggiori saldi negativi oscillanti tra 200 e 300 milioni (dati Agenas 2022). Ed è proprio di questi giorni la notizia che alcune Regioni verso le quali la mobilità dalle Regioni del Sud è maggiore manifestano il proposito di porre limitazioni al fine di soddisfare al meglio i bisogni della domanda interna. È intanto lodevole il tentativo effettuato tra mille difficoltà dalla Regione Calabria di rafforzare il suo assetto sanitario con la costruzione di nuovi complessi ospedalieri anche di alta specializzazione e con attività di eccellenza ed istituendo anche un patto organico di collaborazione con altra Regione più solida nell’organizzazione della sua struttura sanitaria ciò al fine di ridurre l’impatto particolarmente gravoso della mobilità passiva.

Nell’anno 2024 ben 5,8 milioni di italiani (9,9% dell’intera popolazione) hanno rinunciato alle prestazioni sanitarie ed alle cure per mancato accesso alle prestazioni fornite dal sistema pubblico e per indisponibilità economica all’accesso al sistema privato. Le Regioni del Centro-Sud sono maggiormente interessate da questo fenomeno, (11,4% della popolazione residente) e Sardegna, Umbria e Lazio presentano i numeri più elevati rispetto a quelli del Centro-Nord (8,4%), con Bolzano, Trento e Veneto che sono le meno gravate (dati ISTAT).

Un dato molto crudo e doloroso è poi quello della forte correlazione tra l’aspettativa di vita media alla nascita dei cittadini italiani con il luogo di nascita e la loro residenza. Questa oscilla da 84,7 anni della Provincia Autonoma di Trento fino agli 81,7 della Campania, purtroppo ben 3 anni di differenza che sono davvero tanti (dati ISTAT 2025). Si tratta in questo caso di un dato molto preoccupante che sta a significare quali profonde difformità esistono sia nella prevenzione che nella cura delle più importanti patologie tra Regioni più ricche e quelle con problemi molto seri di sostenibilità economica sulla Sanità ed alle prese con piani di rientro che hanno già avuto terribili conseguenze, anche per i mancati recuperi delle spese affrontate durante il Covid, 4-5 miliardi di Euro promessi dal Governo alle Regioni ma sembra mai erogati, come anche i maggiori costi relativi agli aumenti dell’inflazione, che hanno pesantemente colpito anche il settore della Sanità.

Ultimo aspetto è rappresentato dai livelli di utilizzo ed attuazione dei fondi PNRR finalizzati al rafforzamento della medicina territoriale. Solo il 3% delle Case di Comunità, a livello nazionale, risultano al momento pienamente attive rispetto a quelle previste. A questo riguardo come era prevedibile la criticità principale è rappresentata dalla carenza anzi assenza del personale medico ed infermieristico che purtroppo determina la mancata partenza delle attività di quasi tutte le strutture previste dal piano. Ci sono Regioni come Lazio, Piemonte e tutte quelle meridionali nelle quali sono attive con la presenza di medici ed infermieri addirittura solo lo 0-3% delle Case di Comunità per loro previste dal PNRR o lo 0-5% degli Ospedali di Comunità (dati Agenas giugno 2025).

Nelle stesse Regioni inoltre sono pochissimi (dall’1 all’8%) i cittadini che hanno espresso il consenso alla consultazione del Fascicolo Sanitario Elettronico (dati Ministero della Salute).

Il crescente aumento della spesa privata, l’impoverimento di famiglie che rinunciano alle prestazioni sanitarie, la crescente mobilità, sono tutti temi che meriterebbero un accordo unanime delle forze politiche per una riforma di sistema strutturale e condivisa, quindi un nuovo patto politico, sociale e professionale per rilanciare il SSN a motivo della iniquità di accesso da parte di cittadini italiani di fronte agli stessi bisogni di salute. A questo riguardo è estremamente importante acquisire informazioni e quindi diffondere dati sull’attuale squilibrio esistente a livello Regionale dell’applicazione dell’Art. 32 della Costituzione.

Vorrei anche sottolineare come dopo le controriforme della sinistra in tema di sanità, in vigore ormai da quasi 30 anni, oggi stanno per arrivare le controriforme della destra che vanno nella stessa direzione quale per esempio il passaggio dall’assistenza integrativa, che ancora dovrebbe mantenere le caratteristiche della Sanità delineate dalla Carta Costituzionale, essere pubblica, gratuita, solidale ed equa che sta per diventare neoliberista con l’adozione del profilo della sanità sostitutiva che rimette in gioco mutue, fondi sanitari, assicurazioni e terzo settore, escludendo il principio della centralità del servizio pubblico, mettendolo in ampia competizione con quello privato che finirà poi inevitabilmente col sostituirlo.

È quindi invece indispensabile un aumento della spesa pubblica per la Sanità, il cui grave definanziamento è ormai declarato da tutte le più importanti Istituzioni della Repubblica (Capo dello Stato, Corte Costituzionale, Banca d’Italia, Corte dei Conti, ISTAT, Ufficio Parlamentare del Bilancio, CNEL etc.) ed universalmente riconosciuto anche a livello internazionale (OMS, OCSE, Eurostat, etc.). Un programma condiviso che rilanci soprattutto il finanziamento della Sanità pubblica ed iniziando soprattutto dalle Regioni con maggiori difficoltà economiche. Ciò, di necessità, dovrà prevedere l’adozione di riforme di sistema e strutturali e l’abbandono quindi la politica degli interventi spot e focali che oltre che risultare inutili possono essere anche estremamente dannosi per la tenuta del sistema. Occorre bloccare in tutti i modi la fuga del personale sanitario verso il privato e verso Paesi esteri attraverso una politica di attrazione e di forte incentivo delle professioni mediche in particolare di numerose e strategiche specialità mediche e delle professioni infermieristiche, anche con l’introduzione di nuove figure professionali adeguate alle rivoluzionarie innovazioni che stanno trasformando la Sanità, quali la telemedicina, l’intelligenza artificiale, la ricerca clinica avanzata, la registrazione digitale dei dati clinici, etc.

Occorrerà, inoltre, favorire l’accesso equo e tempestivo alle innovazioni farmacologiche, oggi estremamente rallentato da AIFA e dalla persistenza dei Prontuari Regionali e tecnologiche e quindi diminuire le disuguaglianze attualmente in forte crescita tra Regioni più ricche (Centro-Nord del Paese) e quelle meno dotate o mal gestite, frenare il crescente aumento della spesa privata e la rinuncia alle prestazioni sanitarie.

In conclusione, da tutti questi punti di vista le Regioni del Sud sono quelle che stanno pagando il prezzo più alto e sono attualmente in maggior difficoltà, alcune ormai sono sull’orlo del baratro; su di esse lo Stato dovrà agire per ridurre disuguaglianze e sprechi e per garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute. Fortunatamente sulla materia dell’Autonomia Differenziata è entrata decisamente in campo la Corte Costituzionale con la sentenza 192/2024 che ha dichiarato parzialmente illegittima la legge n. 86/2024 che intendeva trasferire in tema di Autonomia Differenziata alle Regioni, intere materie e sollevando in particolare dubbi sulla delega legislativa per la determinazione dei LEP (Livelli Essenziali di Prestazioni), evitando così il definitivo tracollo delle attività di Sanità pubblica delle Regioni più svantaggiate e cioè quelle del Sud Italia. Ma già vengono configurate preintese tra il Governo ed alcune Regioni del Nord su quattro materie, tra le quali una, proprio sul coordinamento della Finanza pubblica in ambito sanitario, che sembra clamorosamente disattendere la sentenza della Consulta.

Francesco Cognetti
Coordinatore Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani (FOSSC)

Francesco Cognetti

21 Novembre 2025

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