La tecnologia è qualcosa di straordinario, ma nell’era digitale il vero motore della trasformazione è il dato. I dati sono il “carburante” e non basta produrli (con continuità e secondo criteri di sicurezza e qualità): occorre governarli, renderli accessibili e interoperabili. La privacy? Un elemento di enorme importanza, ma di cui non si deve avere paura. La sfida è creare un sistema in grado di proteggere il dato senza chiuderlo in cassaforte. Un sistema in grado di rendere il dato utilizzabile in modo sicuro ed etico, per trasformarlo in risposte di salute e di governance. Una sfida complessa ma vincibile. Sono queste alcune delle riflessioni emerse corso del terzo ed ultimo incontro del Forum nazionale salute digitale (Fo.N.Sa.D.) promosso da Inrete, Homnya e Summeet. E se si considera che nel giro di tre anni l’Italia avrà digitalizzato almeno 10 miliardi di referti in ambito pubblico, a cui si uniscono quelli del settore privato, è evidente che non c’è tempo da perdere.
All’incontro, il terzo e ultimo del ciclo, che si chiuderà con un evento nel mese di dicembre nel corso del quale sarà presentato un documento di proposte, hanno partecipato Francesca Ieva, Associate Professor of Statistics MOX – Department of Mathematics Politecnico di Milano; Brando Benifei, Membro del Parlamento europeo, già relatore dell’AI Act; Chiara Basile, Dirigente dell’Area qualificazione, regolazione, identità e portafoglio digitale e coordinatrice del Gruppo di Lavoro AgID Sanità Digitale; Fabio De Lillo, Responsabile del Coordinamento Attività Strategiche Spesa Farmaceutica, Regione Lazio; Francesco Paolo Aureli, Senior Advisor al Dipartimento per la Salute Pubblica relativa alle Migrazioni presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità; Francesco Gabbrielli, Presidente Board Scientifico di MEDITeH Network; Antonio Giordano, Presidente Sbarro Health Research Organization – SHRO; Mauro Moruzzi, Program Manager, Dipartimento della Trasformazione Digitale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; Alessandro Stecco, Direttore Centro Studi Telemedicina e Sanità Digitale UPOTELEMED, Università del Piemonte Orientale; Maria Laura Cantarelli, Government Affairs Director, Abbott; Mario Fazzi D’Orsi, Value Access and Policy Manager, Bayer; Pietro Giurdanella, FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche); Alessandro Livrea, CEO Akamai Technologies Italia; Giuseppe Petrella, Presidente Irccs Crob; e coordinatore del Comitato Scientifico del Forum con Vito De Filippo, già Sottosegretario di Stato alla Salute.
A differenza dei due precedenti appuntamenti, di maggio e luglio, più incentrati sul comprendere cosa sia l’intelligenza artificiale, quali potenzialità abbia e a che punto del percorso l’Italia si trovi, l’incontro del 24 settembre scorso è stata l’occasione per delineare quali siano gli ostacoli che frenano la corsa del nostro Paese verso la completa fruizione dei nuovi sistemi basati sui dati. Un obiettivo che vediamo all’orizzonte, ma resta ancora lontano.
La questione non riguarda tanto le risorse o le tecnologie a disposizione, quanto la burocrazia e il timore che il dato possa sfuggirci di mano e diventare dominio pubblico o addirittura strumento nelle mani di hacker senza scrupoli. Manca, per i relatori del Forum Fo.N.Sa.D, anche una reale e profonda consapevolezza che i dati siano la chiave per sbloccare le potenzialità della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale. Questo perché manca anche, a livello di generale, la completa presa di coscienza sull’impatto che queste tecnologie sono in grado di avere per cambiare, in meglio, le nostre vite sul fronte della salute.
Nel 2025 il settore sanitario sarà primo in termini di crescita nella capacità di generare dati. Nel giro di tre anni l’Italia avrà digitalizzato almeno 10 miliardi di referti in ambito pubblico, a cui si aggiungono quelli del settore privato. Se a questi dati si unissero tutti gli altri potenzialmente raccoglibili in ogni settore e parte del mondo, si potrebbe procedere ad analisi e risultati capaci di portare alla generazione di nuovi farmaci, a modelli di medicina predittiva e personalizzata, a terapie per malattie rare o per altre patologie (o stadi di patologia) per le quali oggi non esistono terapie efficaci. La raccolta e l’interoperabilità dei dati migliorerebbe la farmacovigilanza e lo sviluppo di medical device in grado di generare più sicurezza, più salute e più qualità di vita.
Il punto è che non basta produrre dati, ma occorre governarli, metterli a sistema, renderli accessibili e interoperabili. Il punto è che i dati vanno utilizzati. Ci sono certamente esperienze virtuose, anche in Italia, ma come hanno sottolineato i relatori del Forum, le più innovative ed efficaci risposte di salute non possono arrivare da una raccolta di dati locale, che descriva una realtà limitata per un numero contenuto di pazienti. Occorre che la ricerca e l’osservazione clinica possano tenere conto di gruppi di popolazioni enormi, per fare anche stratificazione sulla base di quei fattori, ad esempio ambientali, che possono avere un impatto sulla salute, ma la cui evidenza emerge tanto più facilmente quanto più grande è la popolazione sotto osservazione. Così come i benefici di una terapia e i suoi livelli di sicurezza sono tanto più evidenti quanto più grande è la popolazione che l’ha utilizzata (all’interno dei trial clinici ma anche in quella che viene chiamata la Real Data Medicine).
Se questi sono gli obiettivi, il modo per raggiungerli è far sì che tutta questa conoscenza venga messa in circolo, condivisa, posta a disposizione di chi ha il compito di creare e offrire salute. Un obiettivo che, è evidente, richiede un grande sforzo non solo a livello di tecnologia, ma anche di regolamentazione, di collaborazione e di cultura. Uno sforzo che riguarda le istituzioni, sicuramente; ma anche le aziende che sviluppano queste applicazioni, i professionisti che le utilizzano e i cittadini che ne sono da una parte destinatari dall’altra creatori (in quanto proprietari dei dati).
Tuttavia la sensazione, secondo i relatori del Forum, è che ancora oggi le istituzioni, né gli operatori, la normativa e la cultura viaggino alla velocità necessaria per raggiungere questo orizzonte e diventare protagonisti di questa rivoluzione.
Cosa è che ostacola questo processo? Forse il timore che l’intelligenza artificiale e le tecnologie possano sostituire i medici? Una paura infondata, per i i relatori del Forum, perché la fase decisionale, che spetta ai medici, è qualcosa di molto più complesso della semplice produzione di evidenza a partire dai dati e le macchine non potranno mai sostituirsi all’uomo nella fase decisionale.
La privacy? La paura che i dati possano finire in mano di hacker senza scrupoli? Sicuramente, ma questo è un rischio da domare, non da cui farsi fermare. L’obiettivo deve essere quello di creare un sistema in grado di proteggere i dati affinché possano esser usati in modo etico e sicuro così da renderli utili per il cittadino. Insomma, è stato spiegato nel corso dell’evento, “tutelare la privacy non rendendo noto che una persona ha una malattia è corretto, ma è anche diverso da impedire l’uso di quel dato in forma anonima per scoprire se per quella malattia è possibile trovare una terapia efficace”.
Il punto è mettere i dati in comune, secondo regole chiare, all’interno di sistemi sicuri. I dati, hanno sottolineato i relatori del Forum, devono appartenere, in modo controllato, al mondo della scienza e a quello delle istituzioni, perché il loro scopo è servire al progresso della scienza medica e al progresso della governance dei sistemi sanitari. I vantaggi sono troppo grandi per accettare che gli ostacoli, pur importanti, possano fermare il percorso.
Su questi aspetti, per i relatori del Forum, occorre aprire al più presto una profonda discussione. Perché oggi, hanno concluso i relatori del Forum, “sembra quasi che ci stiamo difendendo dall’intelligenza artificiale, ma la realtà è che ne abbiamo un grandissimo bisogno. La sfida è difficile? Sì, ma possiamo e dobbiamo vincerla”.
Lucia Conti