Ogni anno l’Annuario Statistico della Ragioneria Generale dello Stato ci restituisce una fotografia dettagliata della macchina pubblica italiana: numeri, saldi, flussi di cassa. Ma al di là delle grandi cifre, ciò che più ci tocca da vicino è come queste risorse vengano distribuite e impiegate per i servizi essenziali, primo tra tutti quello sanitario. E proprio la spesa per la salute racconta, anche quest’anno, una storia fatta di contrasti, fragilità strutturali ma anche segnali di investimento.
Nel 2024, la spesa sanitaria pubblica si è confermata una delle voci più rilevanti del bilancio pubblico, pur registrando una crescita moderata rispetto agli anni pandemici. Dopo il picco del 2020-2021, alimentato dall’emergenza Covid, nel 2023-2024 si osserva una tendenza al riequilibrio: la spesa è aumentata, ma l’incidenza sul PIL è calata al 6,4%, rispetto al 7,4% del 2020. Questo non significa che si spenda meno, ma che la ripresa dell’economia ha ridotto il peso percentuale della sanità sul totale del prodotto interno lordo.
Uno dei dati più interessanti — e preoccupanti — riguarda la forte disomogeneità nella spesa pro capite tra le diverse regioni italiane. Secondo le tabelle sulla spesa statale regionalizzata, mentre la provincia autonoma di Bolzano supera i 2.400 euro per abitante, regioni come la Calabria si fermano ben al di sotto di questa soglia. In mezzo, un’Italia “a due velocità” in cui l’accesso ai servizi sanitari pubblici varia sensibilmente in base alla geografia.
Se si guarda alla composizione della spesa, gli ospedali continuano ad assorbire la fetta più importante. La spesa ospedaliera e i costi per il personale sanitario rappresentano oltre il 45% del totale, mentre l’assistenza territoriale, la medicina generale e soprattutto la prevenzione sanitaria restano in secondo piano. Un dato che lascia intendere quanto il sistema italiano sia ancora centrato sulla “cura” più che sulla “prevenzione”.
Nel 2023 e 2024, grazie anche ai fondi del Pnrr, sono stati avviati diversi progetti di rinnovamento: digitalizzazione delle strutture sanitarie, investimenti in telemedicina, rafforzamento della medicina territoriale. Tuttavia, l’attuazione concreta di questi programmi si scontra con due limiti strutturali: la burocrazia complessa e la carenza di personale tecnico e sanitario, che rischiano di rallentare l’impatto delle riforme.
Altro elemento chiave emerso dall’annuario è la pressione che la sanità esercita sui bilanci regionali. Otto regioni italiane risultano in piano di rientro, con tre casi commissariati, a causa della difficoltà nel sostenere i costi del servizio sanitario. La compartecipazione statale, pur significativa, non riesce a colmare il gap tra fabbisogno e risorse effettivamente disponibili. Questo obbliga molte amministrazioni a manovre restrittive, spesso a discapito dell’offerta sanitaria locale.
L’Annuario Statistico 2025 mostra con chiarezza che la sanità continua a essere uno dei pilastri della spesa pubblica italiana. Ma ci ricorda anche che investire in salute non significa solo aumentare i fondi: serve una visione strategica che punti sull’equità territoriale, sull’efficienza della spesa e sul rafforzamento della medicina del territorio.