Negli ultimi anni, il sistema sanitario italiano sta vivendo una trasformazione che rischia di diventare una vera emergenza silenziosa: la crescente difficoltà a reclutare e trattenere professionisti sanitari. Infermieri, tecnici di radiologia, ostetriche, fisioterapisti e molte altre figure essenziali sono sempre più rare.
Le iscrizioni alla stragrande maggioranza dei corsi di laurea calano, molti professionisti scelgono di lasciare il lavoro entro i primi anni di carriera, e un numero crescente decide di trasferirsi all’estero in cerca di condizioni migliori. Il problema non è solo quantitativo, ma qualitativo: senza un personale motivato la qualità delle cure inevitabilmente si abbassa, i tempi di attesa si allungano, e il sistema perde la sua efficienza; la tragica vicenda della pandemia sembrava che si fosse capito non solo l’importanza della sanità pubblica, universale e solidaristica ma anche che il capitale umano e professionale era la risorsa strategicamente determinante per garantire il diritto alla salute: la speranza divenne ben presto un’illusione, purtroppo.
Le radici del problema
- Retribuzioni inadeguate
Le professioni sanitarie in Italia hanno stipendi nettamente inferiori rispetto alla media europea. Un infermiere o un tecnico sanitario guadagna, a parità di competenze e responsabilità, molto meno di un collega in Germania o Francia. Questo divario economico diventa ancora più evidente se confrontato con il carico di lavoro e il livello di responsabilità. Adeguare gli stipendi agli standard europei non è solo una questione economica, ma un segnale di rispetto per il valore del lavoro svolto. Introdurre indennità legate alla complessità, al rischio e alla reperibilità sarebbe un passo concreto.
- carichi di lavoro
La carenza di personale porta a turni più lunghi, notti e festivi inclusi, con poche possibilità di recupero. Questo genera stress cronico e aumenta il rischio di burnout. L’equilibrio tra vita privata e professionale diventa difficile da coniugare. Prevedere orari più flessibili per favorire la conciliazione vita-lavoro potrebbe invertire la fuga del personale.
- Scarso riconoscimento sociale
Molte professioni sanitarie continuano a essere percepite come “di supporto” al medico, piuttosto che come ruoli altamente specializzati e autonomi. Questa visione riduttiva penalizza la dignità professionale e disincentiva i giovani a intraprendere questi percorsi. Attivare campagne di comunicazione per mostrare alla cittadinanza l’importanza e le competenze di ogni professione sanitaria e dare visibilità alle storie positive e ai successi professionali aiuterebbe.
- Mancanza di prospettive di crescita
Per la quasi totalità dei ruoli non esistono percorsi chiari di carriera, nonostante che siano previsti dalla legge e negli ultimi contratti nazionali di comparto, applicato in questo caso a macchia di leopardo. Le opportunità di avanzamento sono così limitate, la formazione continua è spesso a carico del singolo e non sempre riconosciuta o premiata economicamente. Sviluppare percorsi di crescita, manageriale e di ricerca, oltre che specialistica (L.43/06) ed esperto (CCNL comparto sanità), ben incastonati nelle organizzazioni offrendo formazione continua finanziata e riconosciuta con progressioni economiche.
- Burocrazia e tecnologia mal gestita
Molti professionisti passano più tempo a compilare moduli o inserire dati nei sistemi informatici che a interagire con i pazienti. Le nuove tecnologie, se mal implementate, finiscono per aumentare il carico di lavoro invece di alleggerirlo. Digitalizzare per semplificare, non per complicare. Introdurre strumenti che riducano la burocrazia e restituiscano tempo alla relazione con il paziente, potrebbero restituire dignità operativa
Come invertire la tendenza
E’ necessario, invece, riprendere il cammino per mettere al centro la risorsa del personale del SSN, per invertire la tendenza e per affrontare e risolvere la questione delle professioni sanitarie; ci sono risposte tattiche, periodicamente adottate da più governi : richiedere professionisti sanitari da altri Stati (che hanno un rapporto cittadino/professionista sanitario più preoccupante del nostro), anche senza verificarne i reali titoli abilitanti, anche se, sembrerebbe originale che uno Stato che ha una forte “evasione” di professionisti sanitari, considerati tra i più preparati, non faccia una politica seria per trattenerli o valorizzarli in patria .
Affinchè si affronti nel medio e lungo periodo la questione delle professioni sanitarie sia è opportuno che programmare e realizzare concretamente una strategia che sia realmente incisiva e di rottura con certi schemi attuali e, che rimetta al centro un “Patto per il Lavoro sanitario” condiviso e partecipato tra i decisori pubblici e le istituzioni Ordinistiche che rappresentano le professioni sanitarie, il cui orizzonte sia rappresentato da una sorta di impegno solenne che salpi con solide basi normo giuridiche: “la Repubblica considera la professione sanitaria centrale e strategica per garantire il diritto alla salute individuale e collettiva in attuazione dell’articolo 32 della Costituzione e della legge 833/78 e successive modifiche ed integrazioni e a tal fine ne promuove la valorizzazione attraverso la piena integrazione ai modelli più avanzati di formazione, organizzazione del lavoro e implementazione delle competenze adottati e positivamente verificati in altri Stati europei ed extraeuropei adottando, anche, provvedimenti straordinari e limitati nel tempo al fine di superare emergenze formative ed occupazionali.”
Un impegno solenne che dovrebbe avere come primo adempimento il fatto per cui il Ministero della Salute, con la partecipazione dei Ministeri dell’Università, del Lavoro e delle politiche sociali nonché dell’Economia e Finanze, della Conferenza delle Regioni e della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni sanitarie con i sindacati rappresentativi delle professioni sanitarie attivi periodici tavoli di confronto con la finalità di monitorare l’attuazione dei provvedimenti di seguito descritti e, se del caso, proporre correzioni o integrazioni degli stessi.
Di seguito una parziale enucleazione dei contenuti da proporre in questo “Patto per il Lavoro”, ovviamente conditio sine qua non , occorre sia la stipula di un impegno volto all’adeguamento delle retribuzioni contrattuali adeguandole in tempi brevi e certi a quelle più avanzate degli altri Stati europei , immaginando un’evoluzione del comparto della sanità in una nuova specifica “area” con proprie regole diverse da quelle degli altri comparti pubblici.
Ritorno al futuro
Il problema principale è dove e come formare i professionisti sanitari : lasciare al sistema universitario, sulla base delle sue esigenze e potenzialità, di decidere o condizionare la capacità formativa è quanto mai una scelta discutibile per questo è opportuno riprendere il “lodo” che ha portato la formazione nelle università: il mitico terzo comma dell’articolo 6 del dlgs 502/92, in grado di rimettere al centro la capacità formativa del SSN, naturalmente in convenzione con gli Atenei, i cui compiti istituzionali storicamente riconosciuti spaziano dalla prevenzione alla cura alla riabilitazione includendo anche formazione e ricerca.
Novellare il patto Università Regioni
Varrebbe la pena realizzare in attuazione del terzo comma dell’articolo 6 del dlgs 502/92 che la formazione universitaria possa essere gestita da una dedicata Unità Operativa Complessa di funzione formativa universitaria delle professioni sanitarie diretta da un direttore, dirigente sanitario ex articolo 6 della legge 251/00, organicamente inserita nel Dipartimento delle professioni sanitarie laddove esistente. Tale Unità Operativa svolgerebbe tutte le funzioni previste dalla normativa in materia di formazione; il direttore di tale struttura è anche direttore di uno dei corsi di laurea. Prevedere che gli Atenei incrementino l’assunzione di professori appartenenti alle professioni sanitarie, e i docenti in questi corsi di formazione dipendenti delle Aziende sanitarie usufruissero dei medesimi diritti e doveri dei docenti dipendenti dalle Università, compresa la partecipazione agli organismi accademici.
Gli studenti dei corsi di laurea: un valore aggiunto
Desiderabile pensiamo sia da concretizzare in una specifica sezione del CCNL del personale del comparto sanità, uno specifico contratto di formazione lavoro, regolato economicamente e normativamente, destinato agli studenti del terzo anno di corso di laurea, per il tirocinio svolto,
Le Aziende sanitarie dovrebbero attivare nel limite del 50% dei posti disponibili della propria dotazione organica contratti di formazione lavoro, come previsto dal CCNL del comparto sanità, per i neolaureati delle professioni sanitarie con la previsione al termine del primo triennio, se in presenza di un giudizio positivo il passaggio a tempo indeterminato, al fine di velocizzare le procedure concorsuali.
Rendere reale e cogente la carriera professionale
Infine a parere degli scriventi le Regioni dovrebbero fissare tra gli obiettivi da raggiungere da parte dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie:
- garantire al personale docente del SSN e ai tutor la valorizzazione economica e normativa, con particolare riferimento agli incarichi di alta professionalità di professionisti i specialisti e di professionisti esperti, riconoscendo altresì, ai Direttori della Didattica professionalizzante dei Corsi di Laurea, lo stesso inquadramento in relazione art.6 della legge 251/00 .
- la revisione dell’organizzazione del lavoro sanitario e sociosanitario anche attraverso la digitalizzazione liberando i professionisti sanitarie da competenze che possano svolgere altri professionisti e operatori affinché la risorsa professionale sia valorizzata per le proprie specifiche potenzialità di tutela e promozione della salute.
I rinnovi contrattuali dei comparti in cui siano presenti dipendenti esercenti le professioni sanitarie ex lege 251/00 è opportuno che riformulino l’istituzione di una specifica indennità professionale da erogare in forma progressiva in relazione al maturarsi di un’anzianità per scaglioni quinquennali finanziati in sede di approvazione della legge di bilancio statale e distinta dal finanziamento del rinnovo contrattuale, non solo per valorizzare ma per scoraggiare l’uscita anticipata dal rapporto di lavoro con il SSN .
Conclusione: un investimento nel futuro
Rendere di nuovo attrattive le professioni sanitarie non è un lusso, ma una necessità.
Significa investire in chi ogni giorno sostiene la salute della collettività.
Significa garantire un sistema sanitario capace di rispondere alle sfide del presente e del futuro.
Se il decisore saprà ridare valore, riconoscimento e dignità a queste figure, non solo eviteremo la fuga dei professionisti, ma costruiremo un sistema più forte, equo e umano.
Perché la cura, prima di tutto, passa dalle persone che la rendono possibile.
Saverio Proia
Roberto Di Bella